MEDIO ORIENTE IN FIAMME

La Palestina
tra storia e propaganda

Israele e Palestina. Il più grande campo profughi di Gaza bombardato dagli israeliani.

 

Parafrasando il più famoso teorico militare, Von Clausewitz, la storia è la continuazione della propaganda con altri mezzi. Eminentemente, ciò si applica anche al conflitto tra Israele e Palestina. Come dimostra le polemiche seguite ad una frase twittata (anche se è X il nuovo nome del social) il giorno di Natale da Alessandro Di Battista.

Bombardamento israeliano a GazaL’ex rappresentante del M5S, ora polemista televisivo, ha scritto: «Il giorno in cui si festeggia la nascita di un bambino nato in Palestina più di 2000 anni fa, sempre in Palestina, l’ennesimo bombardamento criminale israeliano ha fatto l’ennesima strage di bambini. Buon Natale a chi non si volta dall’altra parte».

Se non fosse stato per la cassa mediatica delle risposte a questo post, l’intervento virtuale sarebbe passato inosservato.

Risposte stereotipate a Di Battista

Alessandro Di BattistaSi sono, infatti, susseguite invettive che evidenzierebbero la presunta «ignoranza» dell’ex grillino, un cliché, che dopo alcune uscite del fu capo politico del MoVimento, Luigi Di Maio, non abbisogna di specifiche argomentazioni.

Come si può notare, anche dalla didascalia che X aggiunge ai post più controversi, è stato contestato come furono i romani circa un secolo dopo la morte di Gesù, a nominare Siria Palestina la Provincia da loro conquistata, mentre lo stesso territorio, al tempo di Gesù, era suddiviso in più territori come la Giudea, la Samaria, la Galilea.

La storia della Palestina è un argomento che si può definire sensibile, in quanto foriero di ripercussioni geopolitiche.

Si è infatti affermato un principio discutibile, ossia che la legittimazione dello Stato di Israele discenda da ragioni storiche più che dal riconoscimento internazionale. Evidentemente ciò dipende dal seriale mancato rispetto delle risoluzioni Onu da parte dello stesso.

Questo crea un corto circuito per cui si tende a delegittimare la storia della Palestina per rafforzare l’identità ebraica di quelle terre.

Al fine di conseguire questo obiettivo si producono sforzi argomentativi e risposte preordinate raccolte poi da diffusori seriali sul web, vero campo di battaglia dell’immaginario 2.0. Ovviamente ciò avviene da ambo le parti, in virtù di azione e reazione equivalente.

Una situazione complessa

In realtà, se proprio si vuole fare un excursus storico, la Palestina, o Filistea, è richiamata spesso nell’Antico Testamento, dai Salmi a Isaia all’Esodo, ma anche i Filistei lo sono, dalla lotta di Sansone a quella di Davide, con conferme, attraverso gli scavi archeologici, di città Filistee al tempo dello stesso Re Davide.

Erodoto già nel IV secolo chiama Palestina la parte meridionale della Siria (Storie Libro II, specificando che le popolazioni praticavano la circoncisione), e ciò spiega la divisione, della Provincia di Siria in Siria Palestina, da parte dei romani nel 135 d.c.

La divisione amministrativa romana, quindi, non sancisce «l’invenzione» della Palestina, e tanto più dei palestinesi, come si vorrebbe fare credere.

La Palestina, una terra con un popolo

Al tempo di Gesù, peraltro, esisteva lo stesso territorio di Gaza (territorio dove si pensa che la Sacra Famiglia si sia fermata di ritorno dall’Egitto), una delle pentapoli Filistee, definito più o meno come il territorio odierno, la cui popolazione ha mantenuto trazioni pagane (culto di Dagon e di Marnas) fino all’arrivo nel IV secolo del Vescovo Porfirio, la cui antica Chiesa è stata recentemente distrutta nei famigerati bombardamenti israeliani a Gaza.

Peraltro è paradossale che adesso si tenda a dimenticare come il territorio in cui è situato lo Stato di Israele e i territori palestinesi, fosse identificato come Palestina anche prima del riconoscimento Onu dei due Stati e persino da esponenti del movimento sionista.

Non solo Israel Zangwill che dapprima descrisse la Palestina come una terra disabitata (per poi ricredersi), ma anche il primo presidente dello Stato d’Israele Chaim Weizmann disse: «C’è un paese che si dà il caso si chiami Palestina». Lo stesso Jerusalem Post, prima dell’anno 1950, si chiamava Palestine post.

Il Gesù politico e il vero Gesù

L’utilizzo della storia e della religione a fini geopolitici non è prerogativa solo dell’ebraismo. Negli Usa, la lobby evangelica, identifica pienamente il sostegno ad oltranza ad Israele, oltre che con il destino manifesto di «elezione» della propria nazione, con l’imminente ritorno escatologico di Gesù. Ciò spiega, oltre alle univoche scelte in ambito internazionale, le tante tensioni apocalittiche nei moderni conflitti e, sicuramente, questo fenomeno non è disgiunto dagli analoghi fermenti in ambito islamico.

Se la Palestina poteva comunque indicare genericamente il territorio dove visse Gesù, Egli, che peraltro era soggetto all’Impero romano (come indica il censimento che portò Maria e Giuseppe a Betlemme) si identificava certamente con l’appartenenza ebraica, un’identità superiore rispetto a quella civile, politica e persino strettamente etnica.

Nella logica cristiana, se il possesso della terra è la testimonianza della benedizione del Signore verso il suo popolo, quest’ultima necessariamente contraddice ogni appropriazione e accumulo, mentre il suo piano non può che trascendere quello meramente politico.

La figura di Gesù non è quindi riducibile ad alcuno degli attori dei moderni conflitti nella terra in cui egli ha vissuto. Tuttavia la grande dignità che ha impresso in ogni volto sofferente non può che associarsi alle vittime dell’odierno conflitto, le cui bombe effettivamente sono risuonate anche nei sacri giorni del Natale.

Armando Mantuano

 

 

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