MEDIO ORIENTE IN FIAMME

Il riconoscimento dei diritti altrui
come presupposto per la pace

Aumentano i morti nello scontro tra Hamas e Israele

 

Se il 7 ottobre 2023 è certamente considerato dagli israeliani il giorno nero dello Stato di Israele, minato in maniera irreparabile nella sua sicurezza, il 17 ottobre potrebbe essere analogamente considerato dai fautori dei diritti umani, tra i quali non dovrebbero proprio mancare, oltre alla comunità internazionale e all’occidente, i cittadini di Israele.

I fatti sono noti, l’ospedale battista di Gaza city è stato oggetto di bombardamento, involontario o volontario, che ha causato quasi 400 morti tra la popolazione palestinese che ivi aveva trovato rifugio e tra i numerosi feriti causati dai pesanti bombardamenti precedenti.

La distruzione dell’ospedale di Gaza

La distruzione il 17 ottobre dell'ospedale anglicano di Gaza CityNell’imminenza dell’attacco, Hamas ha reso note le conseguenze lamentando che si fosse compiuto un crimine di guerra, riportando anche un numero più alto di deceduti e feriti rispetto a quello che poi sarà accertato come più verosimile.

Israele, dal canto suo, ha dapprima fornito alcuni video che riprendono il lancio dei razzi di alcune fazioni militanti palestinesi verso i territori dove vivono gli israeliani, facendo desumere che la responsabilità fosse di «quelli dell’altra squadra», come affermato proditoriamente dal Presidente degli Stati Uniti, e, infine, addirittura, ha diffuso un audio in cui presunti militanti di Hamas discutevano sulle proprie responsabilità dell’accaduto.

Le ipotesi più verosimili

Un bambino palestinese estratto dalle macerie Senza voler esaurire un contraddittorio, o presentare una versione come definitiva, si può sgombrare il campo da ipotesi ulteriori e circoscrivere i fatti ad una grande esplosione che ha interessato il parcheggio dell’ospedale, causata, o da un bombardamento israeliano, o da un razzo sparato dalla Jihad Islamica che ha colpito accidentalmente un serbatoio di benzina, provocando un’esplosione simile ad un bombardamento.

Il quadro si complica constatando che il contesto su cui indagare, e il quadro che necessariamente ne consegue, è condizionato dal controllo di una delle parti in campo che potrebbe anche modificare i luoghi per rendere più credibile la propria versione.

Il precedente del massacro di Bucha

La guerra in Ucraina è stata esemplare sotto diversi aspetti, uno di questi è stata la gestione della notizia del ritrovamento di cadaveri di civili ai lati delle strade, dopo l’uscita preordinata dell’esercito russo dalla zona di Bucha.

Anche in quel caso ci si è trovati di fronte ad un rimpallo di accuse, con coinvolgimento diretto della comunità internazionale perché procedesse per crimini d guerra, eventualità che, non solo sembra attuale, ma nemmeno evitabile dalla Russia, qualunque sia l’esito dei combattimenti in corso (e condizionandoli, di fatto, come già avvenuto per le accuse di «rapimento di minori»).

In quello come in questo caso, poi c’è da considerare l’inerzia del procedimento, dove, chi bombarda, è chiamato a difendersi dalle accuse, non potendo invocare un’astratta parità.

La contaminazione della propaganda

Soldati israeliani recuperano i cadaveri in un kibbuz assaltato il 7 ottobre dai miliziani di Hamas

Si dice che la prima vittima della guerra sia la verità, ma si può anche replicare come sia proprio la mancanza di una verità condivisa a permettere il perpetuarsi dei conflitti.

Quello che è accaduto a seguito del bombardamento dell’ospedale è sintomatico, quindi, anche di una sempre maggiore polarizzazione dell’informazione, dove il peso degli eventi sembra distribuito a seconda dell’emisfero di copertura dell’emittente.

Non può essere un caso, infatti, che Al Jazeera da una parte, la Bbc e il Wall Street Journal dall’altra, rivendichino paternità opposte dell’eccidio (anche se la britannica Channel 4, ha smentito l’autenticità dell’audio dei presunti militanti di Hamas).

In tutto ciò sembra che l’unica soluzione possa essere una credibile inchiesta internazionale che permetta soprattutto di affrontare i nodi più spinosi della vicenda.

Soprattutto, sembra che questa sia l’unica soluzione per non scavare ancora di più un solco, non solo tra un occidente sempre più in ridotta e il «resto del mondo», ma tra la società civile e la classe politica del primo regno, brodo di coltura, già collaudato, del tanto deprecato populismo.

Le sempre più imponenti manifestazioni a favore della Palestina non possono certo lasciare indifferenti, anche perché, per molto meno, si invocavano i regime change in altre latitudini.

I punti fermi e le contraddizioni

La chiesa ortodossa di Gaza distrutta dalle bombeTornando ai gravi fatti del 17 ottobre, se è data per assodata la presenza di jet israeliani (come riportato anche dal nostro giornalista Daniele Piervincenzi su Porta a Porta) e di razzi sparati da Gaza vicino al momento dell’esplosione, è stata confermata (persino dall’Oms) anche la circostanza che l’ospedale era stato avvertito nei giorni precedenti che sarebbe stato obiettivo dei bombardamenti dell’esercito.

Israele, infatti, avverte anche tramite un attacco a bassa intensità sul tetto dell’edificio che vuole colpire, asseritamente per minimizzare le vittime civili, spesso però impossibilitate a rifugiarsi altrove e, comunque, ancor più terrorizzate ad ogni scoppio riconducibile alla propria «campana a morto».

Ciò sarebbe quanto avvenuto all’Ospedale di Gaza, danneggiato dall’esercito israeliano già i giorni precedenti il 17 ottobre, secondo quanto riporta Le monde: sarebbe quindi falso quanto affermato nell’imminenza della tragedia dall’Esercito di Difesa Israeliano(Idf), e riportato dalla Bbc, cioè che l’ospedale non era un obiettivo dell’esercito (link).

Tra l’altro la stessa postura bellica di Israele, lungi dal confermare una finalità chirurgica di «estirpare il terrorismo» (e non potrebbe essere altrimenti, la storia, soprapttutto americana, peraltro, ha insegnato a riguardo), è orientata al bombardamento a tappeto, indiscriminato, come dimostrano gli obiettivi successivi (anche un’antica Chiesa ortodossa), nell’annuncio, e successiva esecuzione, anche di pratiche di punizione collettiva e di vero e proprio assedio, in contrasto con le più elementari leggi di guerra, e senza alcuna remora.

La guerra sui social media

 

Inoltre, proprio il media manager israeliano, e responsabile dell’«offensiva» sui social, aveva confermato, nell’imminenza, che l’esercito israeliano aveva colpito l’ospedale, automaticamente ribaltando la responsabilità su Hamas che si sarebbe servito del luogo come copertura (e i feriti sarebbero stati suoi «scudi umani»).

Al di là della leggerezza dello scambio di versioni, ambedue a costo zero per l’esercito israeliano, avendo il minimo comune denominatore della responsabilità altrui, è da notare che successivamente i portavoce dell’esercito non si sono limitati a negare un proprio coinvolgimento, ma è stata fornita una precisa versione: il fallito tentativo di lanciare un razzo da parte della Jihad islamica.

In conseguenza di ciò, l’accertamento di un’eventuale esclusione di tale ipotesi comporterebbe una quasi automatica colpevolizzazione dell’aviazione israeliana.

Al di là del fatto che erano stati allegati anche video con timeline non coincidenti con l’esplosione, il video messo a dimostrazione di questa alternativa ipotesi non sembra portare a tale conclusione: almeno, il razzo scoppia in aria, la sua detonazione non avviene nel suolo, mentre si susseguono altre due detonazioni a terra di cui l’ultima presenta un volume notevole e una fiamma persistente, che sembrerebbe alimentata da combustibile, oppure frutto di una grande potenza di fuoco.

Al Jaazera aggiunge a questo quadro il fatto che l’aviazione bombarda ripetutamente Gaza nei minuti precedenti l’impatto.

Altra contraddizione, quella degli 007 statunitensi, che il giorno dopo convincono Biden che il razzo che ha colpito l’ospedale era sicuramente palestinese e, successivamente, non confermano questa ipotesi, pur ritenendo «probabile», ma non certa, l’esclusione di Israele.

La diatriba sul cratere dell’esplosione

Dall’altro lato l’assenza di un cratere (o meglio, un piccolo cratere) e i danni, contenuti, alla struttura dell’edificio dell’ospedale, hanno portato a considerare più probabile, come causa, un razzo palestinese, secondo alcuni esperti balistici contattati dalla Bbc.

Un altro veterano di guerra americano Dylan Griffith, intervistato dal Middle East Monitor, ha però associato la deflagrazione al sistema Jdams, fornito dagli Usa, e montato sulle bombe dell’aviazione israeliana. Questo sistema di guida di precisione dell’arma può permettere una deflagrazione prima di colpire il suolo.

Nonostante ci sia contestazione sulle vittime coinvolte nella strage, che gli analisti occidentali ridimensionano tra 100 e 300, il loro numero elevato non permeerebbe di associare questo evento con le conseguenze dei soli razzi palestinesi, anche quelli a più alto potenziale, o con maggiore carburante, almeno dai raffronti rispetto a quelli sparati verso le città israeliane.

Si potrebbe forse ipotizzare, oltre ad una maggiore quantità di carburante nel deposito, stante il poco tragitto compiuto, di un ipotetico razzo lanciato da un luogo ancora imprecisato di Gaza (non considerando però il razzo del video di Israele, che scoppia in aria), anche un effetto moltiplicatore dovuto alle auto che si trovavano nel parcheggio insieme agli sfollati. Tuttavia, l’istantaneità della propagazione sembrerebbe escludere un effetto a catena, seppur ravvicinato.

Non ci sono invece notizie circa la presenza di riserve di carburante nel suddetto parcheggio (eventualità che emergerebbe comunque facilmente da eventuali testimonianze).

Sarebbe poi estremamente improbabile, anche se non si può escludere a priori, che la traiettoria casuale di un razzo fuori controllo, o addirittura di un suo detrito, possa aver centrato l’unico punto x capace di produrre un tale danno.

Certamente, però, in mancanza di un’inchiesta autorevole e indipendente, una ricostruzione volontaristica, anche se appoggiata a risultanze altrui (tra versioni di parte, e presunti esperti), non può sopperire a quella sete di verità che richiede questo e altri casi (come quello dei “bambini decapitati”, più volte ritrattato e smentito dagli organi di informazione).

Il blocco alimentare ed energetico

Certamente, però, il pensiero di questo fatto è già superato dagli eventi che si susseguono ad una rapidità impressionante, in cui sembra dominare l’indifferenza per la vita altrui.

Con sconcerto è stata ripresa dal Washingon Post un’accusa dettagliata di un’agenzia umanitaria nei confronti di Israele (che ha negato, link): di usare armi al fosforo bianco per i bombardamenti nelle zone densamente abitate.

Tale utilizzo, vietato dalla Convenzione Onu (sottoscritta con riserva da Israele proprio con riguardo alle bombe incendiarie), potrebbe configurare un crimine contro l’umanità e, pertanto, sarebbe d’obbligo, anche in questo caso, un’indagine imparziale.

Non mancano di contro degli spiragli di un’evoluzione positiva, ma sembrano insignificanti rispetto alla crisi umanitaria in atto.

Una crisi che sembra anche di coscienza, almeno della società civile israeliana se il suo più alto rappresentante per la difesa ha definito «animali umani» gli assediati a cui si può indiscriminatamente togliere cibo, acqua, energia elettrica e carburante (link).

La sicurezza nel riconoscimento dei diritti altrui

Il rilascio di due ostaggi israelo-americani, madre e figliaUn sussulto, forse, potrebbe venire proprio da quella cultura dell’incontro e della condivisione, non dell’espropriazione, che sembrerebbe essere propria dell’ideologia sviluppatasi originariamente nei kibbutz, diventando così, da luogo di morte, luogo di rinascita.

Il richiamo a delle regole comuni, anche in uno «stato di eccezione» come è, sempre di più, quello della guerra permanente in cui sembra di identificare la stessa storia dello Stato di Israele, non sarebbe poi solo utile per arginare gli eccessi e solidificare una Comunità internazionale a corrente alternata e priva, ad oggi, di alcuna credibilità.

Si produrrebbe, infatti, un’imitazione positiva anche nel resto del mondo, oltre che ad una progressione di istanze sempre più condivise e universali.

Un’ultima riflessione: la lezione pragmatica più importante da trarre dagli eventi del 7 ottobre è che, contrariamente all’illusione del controllo totale (anche con il miglior servizio segreto al mondo), la sicurezza si paga con il riconoscimento dei diritti di base altrui.

Al contrario, i massacri indiscriminati (70% donne anziani e bambini, una percentuale che supera ogni “effetto collaterale”), l’impedire, da sempre, le normali condizioni di vita, radere tutto al suolo in una distruzione totale, alimentare il terrore dei minori, non farà che alimentare maggiormente la spirale d’odio. Ci sveglieremo, allora, ancora una volta, (ipocritamente) increduli di fronte ad attacchi condotti oltre la gabbia dove avevamo pensato di rinchiudere i nostri problemi.

Armando Mantuano

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