MEDIO ORIENTE IN FIAMME /2

Due Popoli due Stati
per Palestina e Israele

Due Popoli due Stati per Palestrina e Israele. Aumenta in numero dei civili morti e feriti per i bombardamenti israeliano sulla striscia di Gaza.

 

L’abusato slogan due Popoli due Stati è spesso l’uscita di sicurezza in ogni discussione riguardante l’argomento del conflitto Israele/palestinesi. Tornato in auge con l’offensiva di Hamas del 7 ottobre, è stato ripreso da personaggi autorevoli, e si intreccia con quanto affermato dal segretario dell’Onu Antonio Guterres riguardo le sofferenze del mai riconosciuto Stato di Palestina.

L’Idf e l’attacco all’ospedale di Gaza

L'Ospedale di Gaza City distrutto il 17 ottobreUn’inchiesta del New York Times sembra screditare la «prova» fornita dall’Esercito di Difesa Israeliano (Idf), ritenendo sempre possibile che un razzo palestinese possa aver colpito l’ospedale, ma non il razzo ripreso nel video israeliano, esploso in aria due miglia distante dal punto di impatto.

Viene inoltre confermato da fonti israeliane (e anche dalle risultanze video) che Israele bombardava nei pressi dell’ospedale, nei momenti dell’esplosione, anche se l’ufficiale israeliano intervistato si è rifiutato di specificare quanto vicino.

Inoltre, viene identificato il punto di lancio del presunto razzo del video israeliano oltre il confine palestinese di Gaza, nella città israeliana di Nahal Oz, da cui l’intercettazione del medesimo con l’Iron Dome.

Sull’opportunità di un’inchiesta internazionale riguardante l’esplosione vicino l’ospedale Al Ahli di Gaza ci eravano espressi nel nostro precedente articolo.

Le parole del segretario dell’Onu

Proseguono i bombardamenti israeliani sulla striscia di GazaProprio per evitare le classiche (e spesso pretestuose) accuse di giustificazionismo nei confronti di quanto compiuto contro i civili il 7 ottobre da parte di Hamas, il segretario delle Nazioni Unite Guterres fa un lungo preambolo condannando apertamente e senza mezzi termini l’attacco contro la popolazione civile israeliana, ribadendo il concetto anche dopo aver detto testualmente che tali attacchi non sono arrivati dal nulla.

«Il popolo palestinese è stato sottoposto a 56 anni di soffocante occupazione». Deplorando quindi le chiare violazioni del diritto umanitario internazionale che si stanno consumando nella Striscia di Gaza ha insistito con la richiesta di un «cessate il fuoco umanitario».

La reazione scomposta, ma prevedibile, di Israele, che ha negato i visti ai funzionari Onu come ritorsione, ha avuto molta eco in Italia, tanto da portare allo screditamento compulsivo delle massime organizzazioni internazionali.

Ad esempio, nel mirino de Il Foglio non è finito solo il Segretario Onu e la sua corpulenta stazza (definito «massiccio coso umanitario» «tronfio cialtrone alla guida di un inutile e nociva organizzazione internazionale», e non sono nemmeno gli epiteti peggiori usciti dalla penna di Giuliano Ferrara), ma anche l’Unicef, rea di aver ammonito che la sorte dei bambini palestinesi pesa come una «macchia crescente sulla nostra coscienza collettiva».

Un virgolettato che, peraltro, era quasi passato inosservato, mentre, giustamente, ci si focalizzava sulle esponenziali conseguenze sui bambini qualora non si fossero allentate le estreme misure d’assedio (che ricordano Masada, luogo simbolo, per il sionismo e il suo esercito, che giura fedeltà citandone l’epilogo, al grido «Mai più Masada cadrà», in ebraico: «Metzadà shenìt lo tippòl»).

L’eccidio di giornalisti

Il reporter di Al Jazeera Wael Al-Dahdouh mentre era in onda per raccontare gli attacchi israeliani senza sosta su Gaza ha ricevuto la tragica notizia che un raid ha sterminato tutta la sua famiglia: la moglie, la figlia e il figlio, entrambi minorenni, morti quando è stata colpita la casa in cui si erano rifugiati.Tra gli obiettivi civili si sono contati molti giornalisti, rispetto al numero totale tra free lancers e inviati sul posto delle maggiori testate, una denuncia di Reporter senza Frontiere citata dalla Federazione nazionale della Stampa italiana, parla di obiettivi mirati, soppressione della copertura mediatica con distruzione delle sedi, imposizione del black out, censura del canale Al Jazeera, impedendo la diffusione di immagini, l’unico antidoto alla disinformazione.

Proprio il 25 ottobre, dopo l’arresto di un’attrice araba israeliana, rea di aver fatto un commento e messo una faccina in modo sicuramente superficiale, ma certo senza «inneggiare ad Hamas», sopra un’immagine tratta da Al Jazeera, si è discusso di rendere inattiva l’emittente, oscurandone il segnale in tutto lo Stato di Israele (zone arabe, che da questo dipendono, comprese).

La sera, un giornalista di Al Jazeera a Gaza ha visto sterminata la sua famiglia. Le prove di attacchi deliberati verso civili a Gaza non possono certo essere mostrate, né si possono presumere da parte di osservatori esterni.

Tuttavia, la circostanza che 26 bambini siano stati colpiti e uccisi in Cisgiordania (sede della rivale di Hamas, l’Olp), e le espressioni usate da alti esponenti politici ebraici, sembrano lasciare poco spazio ad alternative.

Oltre all’epiteto suprematista «animali umani» pronunciato in mondovisione dal Ministro della difesa, e purtroppo non isolato, anche l’ex ambasciatore israeliano (fino al settembre 2022), Dror Eydar, intervenuto a Stasera Italia, ha chiaramente dichiarato che l’obiettivo è distruggere Gaza, senza troppi argomenti razionali, e i civili (quelli sopravvissuti ai bombardamenti), se si vogliono salvare, devono scappare a sud e lasciare la terra.

Una condanna a morte non dissimile da quelle lanciate agli occupanti da parte di Hamas.

Gli ebrei del mondo arabo

La percezione distorta dell’Occidente rispetto alla questione palestinese è evidente dalle reazioni sdegnate alle parole dell’Onu, e dal discredito riversato su questa Istituzione, nata sotto l’auspicio di quel mondo plurale e democratico di cui ci si crede ancora alfieri.

Rinchiusi nella bolla occidentalista non si riesce a percepire la questione dal punto di vista del mondo arabo, per il quale, pur con le numerose divisioni (basti pensare a quelle tra Erdogan e Assad, Presidente della Siria), i palestinesi rappresentano gli ebrei, i vessati, ai quali molto si può concedere, proprio in virtù di quanto subito da più di mezzo secolo.

Evidentemente, l’attacco deliberato contro civili innocenti, colpevoli di essere israeliani, consente ancora di non porre uguaglianze con le sproporzionate conseguenze dei bombardamenti, ma il confine si sta pericolosamente assottigliando, e dobbiamo prenderne coscienza e ammonire quelli che reputiamo nostri alleati.

Anche perché uguale beneficio deve essere consentito all’altra parte che non ha rivendicato l’uccisione deliberata di civili (ribadendo che per Hamas gli obiettivi sono i soldati, e non uccide di proposito i civili), facendo intendere, pur senza ovviamente condannare, che o è stata un’iniziativa vendicativa di singoli militanti, oppure conseguenza delle sparatorie con i presidi di difesa, presenti, o presunti.

Anche il facile slogan «Hamas è come l’Isis» non considera che, mentre l’Isis e il suo fondamentalismo sono stati lasciati proliferare contro gli stati arabi laici, la Siria, la Libia e l’Iraq, facendo sì che si creasse una galassia internazionalista con uno territorio sottratto ai predetti, Hamas ha come unico scopo la liberazione della Palestina, la difesa dall’occupazione in primis, ma senza velleità da califfi.

Anche l’appoggio esterno è simile a quello dei paesi occidentali della regione (anche se Israele ha territori occupati e non riconosciuti dalla comunità internazionali, come le alture del Golan, in Siria, o le fattorie di Sheb’a in Libano).

Le parole di Papa Francesco

Invito a tal proposito a leggere l’intervista del Papa su quest’argomento contenuta nel suo ultimo libro «Non sei solo, sfide, risposte, speranze».

Personalmente, ritengo che non sia estranea ad ambedue le parti dell’odierno conflitto (pur disponendo di potere bellico assolutamente non comparabile) la logica di fare più male possibile all’avversario.

In psicologia si è analizzato in chi ha subito violenti traumi una coazione a ripeterli, in situazioni in cui l‘Io può anche risolversi come carnefice, ribaltando la passività in attività.

L’Olocausto ebraico ha sicuramente rappresentato un trauma collettivo, spesso rielaborato con una postura aggressiva e militare dal sionismo. L’unicità dell’evento, più volte rivendicata dagli esponenti israeliani, ha portato spesso a non identificarsi con nessun altro popolo-vittima, come con gli armeni, che hanno subito la pulizia etnica dal Nagorno Karabach (quelli sopravvissuti al genocidio del 15/18 per mano turca), o gli ucraini che nel 1932-33 hanno subito Holodomor, lo sterminio per fare ordinato dal Stalin.

Shalom – Salam

La stretta di mano e il saluto Shalom rivolto dall'anziana israalo-americana ostaggio a Gaza al momento del rilascioUn saggio recente cerca di fare leva su chi, anche nello Stato di Israele, ha provato di superare i ristretti orizzonti del ripiegamento su sé stessi. Che questo sia un discorso ormai di retroguardia, in Israele lo dimostra, la reazione all’iconica scena dell’anziana signora rapita da un kibbutz, erede ovviamente di una mentalità che sta rapidamente evaporando.

Ci si è sforzati angosciati di giustificare la sua umanizzazione nientemeno che dell’odierno «male assoluto», ripetendo che era una reazione dovuta alla paura per il marito ancora prigioniero, come se quel doppio pace, shalom/salam non sia, invece, abbastanza eloquente: vuol dire, basta sterminio nel mio nome, odio, provoca odio, è una spirale che qualcuno si deve prendere la responsabilità di spezzare.

Guardare avanti, pensare al dopo, avere un obiettivo coerente.

La soluzione dei due Stati

Tutto quello che precede, ci conduce a considerare senza pregiudizi le alternative rispetto al presente conflitto. Senza ipocrisie, dobbiamo prendere atto che si possono avere, a livello generale, solo due esiti: 1) lo sterminio e la deportazione della popolazione palestinese rimasta; 2) la concessione dei diritti al popolo palestinese con il riconoscimento, da parte di Israele in primis, di uno Stato palestinese, con confini e risorse analoghe a quello di Israele, secondo i proponimenti dell’Onu.

Si ribadisce che il riconoscimento da parte di Israele è imprescindibile e non più rinviabile, o evitabile: le enclaves palestinesi dipendono totalmente da Israele che, infatti, ha potuto, dall’esterno, chiudere ogni rifornimento vitale alla popolazione.

La prima opzione potrebbe comunque articolarsi anche in maniera «meno brutale», con l’annessione di Gaza prima e in seguito della Cisgiordania da parte di Israele dopo un’operazione di terra, e la creazione di un unico stato ebraico.

La seconda opzione si può declinare in vari modi:

  • Due Stati, uno palestinese e uno israeliano con i confini reciproci controllati a livello internazionale (secondo i confini del 1947, i territori sono discontinui), e Gerusalemme capitale a statuto speciale sotto l’egida Onu;
  • Uno stato laico, dal doppio nome Israele/Palestina, con proporzionale rappresentanza di Governo dei popoli e delle religioni presenti, sul modello libanese;
  • Una confederazione dei due Stati di cui al punto uno, con autonomo governo degli stessi.

Ostacolo fortissimo ad ogni forma di convivenza è stato il recente riconoscimento dell’ebraicità di Israele, un concetto che pone non pochi problemi. L’identificazione tra la religione e l’attuale Stato di Israele non è infatti pacificamente riconosciuta da alcuni esponenti dell’ebraismo tradizionale che, anzi, considerano la politica sionista un’empietà, una forzatura umana, come i famosi Naturei Karta.

Inoltre, il termine, in chiave etnica, mal si presta al necessario riconoscimento della popolazione autoctona, araba e semita, generando pericolose categorie tra popoli.

Per quanto riguarda invece l’opzione della confederazione, rimando a quanto risposto al direttore de La Repubblica da parte di Uri Davis, consigliere di Abu Mazen, presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese (Anp). Dichiarandosi rappresentante delle istanze del popolo palestinese, premettendo che ogni soluzione deve passare per il rispetto delle risoluzioni Onu, ha precisato che la soluzione non sarebbe quella di due popoli per due Stati, divisi e vicini, e neanche uno Stato binazionale per far coesistere identità così differenti, bensì una federazione sovrana che contiene due stati diversi, uno arabo e uno ebraico.

Garantire sicurezza e convivenza

La chiave per ogni opzione di convivenza (necessaria) e di riconoscimento reciproco, sembra trovarsi nelle mani dei cristiani, che condividono spesso con gli arabi le medesime espressioni idiomatiche che, in Occidente, tendiamo a associare al fondamentalismo (mentre è un diffuso intercalare, come «Dio è grande», «se Dio vuole», eccetera) e che possono fare da cerniera in una delle tante linee di faglia che chiudono il limes occidentale nel mondo.

A dispetto delle parole coraggiose del Papa, che si è espresso senza mezzi termini per il riconoscimento dello Stato Palestinese, invocando la soluzione dei due Stati (step necessario anche per un’eventuale confederazione), e uno statuto speciale per Gerusalemme, siamo di fronte alla più grande crisi umanitaria di questo, ancora giovane, secolo.

Un esito, che, se non congiurato, farebbe pendere pericolosamente l’inerzia verso l’assimilazione del territorio di Gaza, generando un punto di non ritorno verso lo Stato unico ebraico.

È indifferibile che lo Stato israeliano chiarisca la sua posizione rispetto ad uno Stato palestinese, ora, per evitare ogni equivoco rispetto alla finalità delle sue operazioni militari, dovendosi prendere atto dell’incongruenza di una risposta tanto indiscriminata nel perseguire, e giustiziare, pochi esponenti, la cui popolarità non farebbe che aumentare, ulteriormente, come ci ha dimostrato il «pragmatico» Erdogan.

Armando Mantuano

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