IMMIGRAZIONE

L’accordo Italia-Albania
non piace ai «rifugisti»

L'Accordo Italia-Albania per la gestione dell'emergenza immigrazione non piace ai 'rifugisti', i pasdaran del diritto di asilo

 

L’accordo Italia-Albania sull’emergenza immigrazione è un’intesa tra due Paesi amici per collaborare nella gestione del fenomeno dell’arrivo in massa di migranti sulle coste italiane che si trascina ormai da molti anni. Che si è acuito nel 2023 e appare proiettato verso un’ulteriore intensificazione.

L'accordo Italia-Albania firmato il 7 novembre dalla premier Giorgia Meloni e il suo omologo albanese Edi RamaSulla natura dell’accordo, che per ora è un protocollo d’intesa tra Giorgia Meloni e il suo omologo albanese Edi Rama, rimandiamo alla buona sintesi online pubblicata  da Sky Tg24. Di cui qui citiamo solo l’essenziale.

Si tratta di «un documento di 9 pagine, 14 articoli, che resterà in vigore per 5 anni, rinnovabili di altri 5, salvo che una delle parti avvisi entro 6 mesi dalla scadenza, l’intenzione di non rinnovarlo».

Prevenire la tratta di esseri umani

L’accordo Italia-Albania prevede che Tirana consenta «di utilizzare alcune aree in territorio albanese — il porto di Shengjin e l’area di Gjader — per realizzare, a proprie spese e sotto la propria giurisdizione, due strutture dove gestire l’ingresso, l’accoglienza temporanea, la trattazione delle domande d’asilo e di eventuale rimpatrio degli immigrati. L’Italia si impegna a restituire le aree dedicate ai centri per i migranti a chiusura del protocollo».

Due impianti transitori che aiutino ad alleviare il peso, già così oneroso, che dobbiamo sopportare sul nostro territorio nazionale, spostando altrove una parte dei tantissimi immigrati che arrivano da noi senza alcun visto e che confidano di poter ottenere lo status di rifugiati.

Un barcone dei trafficanti di esseri umani abbandonato su di una spiaggia italianaUn riconoscimento che però non è di per sé automatico ma deve essere valutato caso per caso. Verificato, caso per caso.

Il presupposto del beneficio, infatti, non è l’azzardo della traversata sulle famigerate «carrette del mare». E nemmeno il naufragio rischiato o effettivamente patito.

Il presupposto, come in troppi sembrano dimenticare, è che sussistano davvero i requisiti previsti. Requisiti certo assai ampi, ma pur sempre specifici e vincolanti.

Come si legge sul sito dell’Inps, il diritto spetta allo «straniero che, per motivi di razza, religione, appartenenza sociale e/o politica, viene perseguitato nel Paese di cui possiede la cittadinanza o, in caso di apolidia, nel territorio in cui aveva la dimora abituale, per cui non può farvi ritorno».

In molti casi sarà davvero così. In altri no.

I controlli da parte degli Stati in cui essi approdano non sono né un arbitrio né un accanimento. Sono un dovere. A tutela dei cittadini che di quella nazione fanno già parte e del tessuto sociale complessivo, che si basa su sedimentazioni lente e graduali. E che, perciò, non si può modificare a piacimento. A capriccio. A oltranza.

I pasdaran del diritto d’asilo

Il 17 settembre 2023 la premier italiana Giorgia Meloni e la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen il 17 settembre 2023 osservato i resti delle «carrette del mareú con le quali migliaia di migranti sono sbarcati in estate a Lampedusa.

Manco a dirlo, invece, appena si è diffusa la notizia dell’intesa tra Meloni e Rama i soliti progressisti si sono scatenati nel gridare allo scandalo.

Sulla prima pagina di Repubblica il sottotitolo dell’articolo di apertura snocciolava in sequenza due tipiche perle dell’indignazione pro migranti.

La prima: «Faro della Ue: Così va in frantumi il diritto d’asilo». La seconda: «Le opposizioni sui nuovi Cpr italiani: sarà la nostra Guantanamo».

Ma dai. Guantanamo, la base degli Usa sull’isola di Cuba, è stata un luogo di detenzione (e di tortura sistematica) riservata a centinaia e centinaia di terroristi islamici, veri o presunti.

Un luogo off-limits in cui le autorità statunitensi hanno esercitato il proprio potere nel modo più spietato e al di fuori di qualsiasi possibilità di ispezione da parte di organizzazioni terze. Compreso l’Onu, che ha potuto accedervi soltanto nel giugno scorso, dopo oltre 21 anni dall’apertura avvenuta l’11 gennaio 2002.

Il paragone con i centri di smistamento ipotizzati da Meloni e Rama è semplicemente assurdo. Un’esagerazione grottesca che va molto oltre la cattiva, la pessima propaganda, e sprofonda nella menzogna deliberata.

Ma sono fatti così, i rifugisti. Sempre pronti a inalberarsi contro chiunque osi contrapporsi ai loro dogmi. Al loro catechismo dell’accoglienza obbligatoria: massima enfasi sulle tragedie dei morti in mare, allo scopo di commuovere, e inni alle meraviglie della contaminazione su larga o larghissima scala, nell’intento di convincere che i vantaggi siano oggettivi. O persino scientifici.

Le «risorse» della Boldrini, quando l’alibi è in chiave economica. I «cercatori di felicità», come si compiacciono di definirli svariati altri.

Un miscuglio ributtante di finto pragmatismo e di retorica fasulla. Il vero senso del melting pot.

Gerardo Valentini

 

 

 

UE E IMMIGRAZIONE

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