Negli ultimi giorni di campagna elettorale sono arrivati «messaggi» e prese di posizione nel vano tentativo di condizionare dall’estero l’esito del voto politico in Italia. Non ci riferiamo soltanto alle «innocue» fotografie diffuse dall’ambasciata russa sugli incontri istituzionali avuti in passato da politici italiani con il presidente Putin, ma a quanto promana dagli Stati Uniti e dalla presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen.
Questo genere di affermazioni, di sottolineature, di moniti più o meno severi e intimidatori, viene sciorinato a getto continuo. Con un’ulteriore intensificazione, manco a dirlo, in campagna elettorale: quando finalmente sono i cittadini a poter dire la loro, sia pure in quel modo occasionale e tutt’altro che risolutivo che è il voto.
Restiamo sulla strettissima attualità. Su ciò che è apparso sui media nella giornata di ieri. L’edizione online del Fatto Quotidiano titolava così: «La Casa Bianca pensa al prossimo governo italiano: Biden prenderà le misure al nuovo premier».
Qua e là, intanto, venivano riportate le parole, minacciose, pronunciate in un intervento alla celebre università statunitense di Princeton dalla presidente Ue Ursula von der Leyen: «Se le cose dovessero andare in una direzione difficile abbiamo gli strumenti (per recuperare). Se invece dovessero andare nella direzione giusta, allora i governi responsabili possono sempre giocare un ruolo importante».
C’è bisogno di spiegare quale sia questa «direzione difficile» temuta da frau Ursula? E quale sia, invece, quella «giusta» che lei auspica? No che non c’è.
Anche se Enrico Letta in un’intervista su Repubblica si era si era affrettato a rimarcare: «Dall’Europa dipendono la tenuta del nostro debito pubblico, cioè dei nostri risparmi, e la spesa degli oltre 200 miliardi del Pnrr, su cui non possiamo fallire. La cambiale a Putin la pagano gli italiani».
Sovranità. Non sovranismo
Ciò che merita di essere spiegato con cura, invece, è il filo conduttore che attraversa tutte queste dichiarazioni, benché nessuno dei suoi sagrestani abbia la franchezza di parlarne in maniera del tutto esplicita. E di assumersene, perciò, la piena responsabilità.
Strisciante nella forma, pressante nella sostanza, il concetto riemerge di continuo: nessun governo italiano può prescindere dall’approvazione degli Usa e della Ue.
Perché altrimenti ci saranno delle pesanti, pesantissime conseguenze. Che dal piano politico si estenderanno fatalmente a quello economico e ci spingeranno verso il collasso generale, presi in mezzo tra il crollo del Pil a causa dell’isolamento commerciale e un’esplosione ancora più massiccia del debito pubblico, per effetto dell’impennata dei tassi d’interesse sui nostri titoli di Stato.
È un quadro drammatizzato a fini propagandistici? Una distorsione che mira a scoraggiare gli elettori dal votare i partiti che non si allineano in toto alle tendenze dominanti e, più in particolare, quelli di destra come Fratelli d’Italia e la Lega? Solo in parte. E questo, paradossalmente, rende il problema ancora più grave.
Libertà di scegliere i propri governanti
Il sottinteso, infatti, è che la libertà dei cittadini di scegliere i propri governanti non è più assoluta, come si conviene a un popolo sovrano, ma subordinata a condizioni esterne. Una libertà, quindi, più apparente che sostanziale. Una libertà a scartamento ridotto. Compressa, e compromessa, da limiti prefissati e inderogabili, che scaturiscono da entità straniere – da volontà e strategie straniere – e che in quanto tali sono in contrasto con la Costituzione. E con l’idea stessa di repubblica.
Quello che sembra sfuggire (eufemismo) è che a tutt’oggi l’Italia non appartiene a nessuna federazione sovrannazionale e che i suoi rapporti con qualsiasi stato estero, perciò, vanno considerati nelle relazioni in perenne divenire. Ivi inclusi i trattati, di ogni ordine e grado, e la stessa adesione all’Unione Europea e alle relative pattuizioni, più o meno ampie o addirittura, come nel caso del Trattato di Lisbona, pseudo costituzionali.
I trattati non hanno obblighi «eterni»
Il motivo dovrebbe essere evidente: essendo stipulati da specifici governi, tali accordi non possono stabilire degli obblighi «eterni», tali da vincolare per sempre l’azione dei governi successivi. A parità di organo, e di attribuzioni, si avrebbe un’asimmetria ingiustificata e inaccettabile tra la compagine del passato e quella del presente. Con la prima che si sovrappone alla seconda e ne travalica i poteri.
Giuridicamente è un’assurdità. Politicamente è un obbrobrio.
Ciò che in modo sprezzante viene definito «sovranismo» è in realtà la rivendicazione, più che mai legittima e addirittura connaturata a un popolo libero, dell’autonomia nazionale. Ovvero, appunto, della propria sovranità.
Quella sovranità che è il presupposto, e l’irrinunciabile cardine, di qualsiasi accordo internazionale stipulato per un’autentica scelta, anziché sotto il ricatto delle rappresaglie economiche e dell’ostracismo a tutto campo.
Gerardo Valentini
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