IL COSTO DELL'ENERGIA

Troppe imprese
a rischio di chiusura

Imprese a rischio chiusura, nel Lazio e nel resto del Paese

 

Sono innumerevoli le imprese a rischio chiusura sia nel Lazio sia nel resto della penisola. L’allarme viene da una ricerca condotta da Confartigianato e pubblicata a settembre.

Un'indagine della Confartigianato lancia l'allarme sulla tenuta delle imprese italiane Una ricognizione sulle prospettive, inquietanti, delle imprese italiane della nostra regione e dell’intero Paese investite sia dai prezzi esorbitanti dell’energia, sia dalle tante altre dinamiche di stampo recessivo che si stanno instaurando.

Un’analisi dettagliata che rimane di assoluta attualità, visto che nel frattempo le condizioni non sono certo migliorate: la guerra in Ucraina prosegue (e semmai si aggrava). In ambito Ue non si è nemmeno raggiunta la doverosa intesa sul tetto massimo al prezzo del gas, gli interventi pubblici si limitano a un effetto tampone. E non è detto che possano farlo a oltranza.

La classifica del tracollo

In cima alla lista di questa inquietante «classifica del tracollo» c’è la Lombardia, con 139mila aziende e 751 mila addetti. Ma ai primi posti c’è anche il Lazio. Dove le imprese in difficoltà – in crescente difficoltà – sono 79 mila e interessano 304 mila operatori. Solo a Roma, i due dati ammontano rispettivamente a 10.452 e 37.274.

Cifre così cospicue appaiono gravissime di per sé stesse, ma a renderle ancora più allarmanti è la consapevolezza che non si tratta affatto di una crisi di settore: benché alcuni comparti siano colpiti in misura maggiore, il fenomeno è talmente vasto da risultare di portata generale. E gli effetti, quindi, sono quelli tipici delle reazioni a catena.

Le debolezze degli uni si intrecciano a quelle degli altri e ne moltiplicano le insidie. La crisi tende a diventare, e non è certo un’iperbole, una crisi di sistema. Non chissà quando: già a breve termine. Da qui alla fine dell’anno.

«Entro Natale – sintetizza il presidente di Confartigianato Roma, Andrea Rotondo – abbiamo l’effettivo rischio di molte chiusure anche importanti». E nonostante i dati della nostra regione «siano nella media delle altre italiane, il timore di non farcela è continuo».

In realtà, anzi, si potrebbe rincarare la dose. Proprio il fatto che non si tratti soltanto di un problema locale, bensì nazionale e per molti aspetti addirittura internazionale, esige che non si scarichi sulle imprese la responsabilità di trovare le contromosse necessarie.

L’origine della patologia non è economica. È politica.

Aziende disarmate. E incolpevoli

La grande contraddizione è appunto qui: con le sanzioni anti Putin si sono innescati dei processi straordinari ed eccezionalmente gravosi, a carico della generalità dei cittadini, senza chiedersi se e come li si potesse fronteggiare nella vita reale. Nella vita quotidiana.

L’atteggiamento governativo – e ovviamente parliamo di quello guidato da Mario Draghi, ma le scelte già fatte vanno fatalmente a vincolare anche quello nascente – è stato un ibrido tra solidarietà e fatalismo.

Un supporto a scartamento ridotto. Della serie: «okay, vi daremo una mano, nei limiti delle risorse disponibili». Il seguito, indicibile, rimane sottinteso: quanto al resto, vedetevela voi.

Confartigianato è costretta a destreggiarsi. Si barcamena tra la denuncia del disastro prossimo venturo e il suggerimento, garbato, di ciò che potrebbe evitarlo. O quantomeno attenuarlo.

Da un lato il succitato Andrea Rotondo afferma che «le misure dell’ultimo ‘decreto Aiuti’ dovranno essere affiancate da un piano strutturale per la sicurezza energetica».

Necessari anche interventi locali

Dall’altro prospetta interventi assortiti in sede locale: il Comune di Roma «potrebbe intervenire con un’azione di sistema sulla tassazione locale (Osp e Tari), o incidere su Atac con prezzi calmierati mentre Camera di Commercio e Regione potrebbero elaborare strumenti di sostegno alla liquidità per affrontare i rincari energetici».

È una cautela probabilmente obbligata, visto il ruolo istituzionale e la volontà di non entrare in urto con il potere politico, in modo da potersene assicurare l’attenzione e la benevolenza.

Ma l’impressione, per non dire la certezza, è che si pecchi di una prudenza eccessiva, ostinandosi a confidare in un epilogo abbastanza ravvicinato e non troppo oneroso.

I segnali sono ben diversi. E l’estrema chiarezza è un dovere, a costo di apparire brutali: gli aiuti di Stato, per le aziende messe a terra dalle sanzioni, non sono una benevola concessione. Sono le «munizioni» indispensabili per sopravvivere alla guerra».

Gerardo Valentini

 

 

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