Dopo le polemiche seguite alla commemorazione del 7 gennaio ad Acca Larenzia, si aspettava il pronunciamento a Sezioni Unite della Corte di Cassazione del 18 gennaio sul «saluto romano», riferita ad una analoga cerimonia milanese in ricordo dell’assassinio di Sergio Ramelli.
La sentenza è arrivata, confermando di massima l’orientamento prevalente di sussumere i gesti propri del fascismo nello schema della Legge Scelba (pericolo concreto di ricostituzione del partito fascista), pur potendosi
creare una situazione di concorrenza con la Legge Mancino (evidentemente per fatti ulteriori
relativi alla discriminazione e al razzismo), ma non certo di specialità (criterio che fonderebbe la
prevalenza di quest’ultima).
Il pronunciamento della Cassazione
Il principio di diritto cui dovrà uniformarsi il nuovo giudizio in Corte d’Appello è il seguente : «La condotta tenuta nel corso di una pubblica manifestazione consistente nella risposta alla ‘chiamata del presente’ e nel c.d. ‘saluto romano’, rituali entrambi evocativi della gestualità propria del disciolto partito fascista, integra il delitto previsto dall’art. 5 della legge 20 giugno 1952, n 645, ove, avuto riguardo a tutte le circostanze del caso, sia idonea ad integrare il concreto pericolo di riorganizzazione del disciolto partito fascista, vietata dalla XII disposizione transitoria e finale della Costituzione.
A determinate condizioni può configurarsi anche il delitto previsto dall’art. 2 del decreto-legge 26 aprile 1983, convertito, con modificazioni, nella legge 25 giugno 1993, n. 205 che vieta il compimento di manifestazioni esteriori proprie o usuali di organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi che hanno tra i propri scopi l’incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi.
Tra i due delitti non sussiste rapporto di specialità. I due delitti possono concorrere sia materialmente che formalmente in presenza dei presupposti di legge».
Sul sito della Corte di Cassazione è anche presente l’Ordinanza di rinvio alle Sezioni Unite decisione richiesta per dirimere i dubbi interpretativi, e che esamina le manifeste incongruenze di giudizi tanto difformi per i medesimi eventi e con gli stessi protagonisti (come si faceva notare).
Si deve evidenziare, però, che tale atto è privo degli omissis, necessari per non rendere pubblica l’identità degli imputati, peraltro ancor più opportuni per i fatti e le ideologie di cui tratta.
La mancanza di una riflessione sul punto, da parte di tutti gli interessati, collide persino con l’informativa del Pg che aveva preceduto l’udienza in Cassazione, in cui si maturava il convincimento (poi escluso) del trattamento dei saluti romani in manifestazioni commemorative attraverso la tutela offerta dalla Legge Mancino, in caso di violazione dell’«ordine pubblico», bene da tutelare evidentemente anche con la riservatezza dei protagonisti dei conflitti ideologici che hanno insanguinato il nostro Paese e di cui si stanno giudicando le commemorazioni.
Lo scenario internazionale degli anni Settanta
In un precedente articolo, entrando nelle polemiche seguite alla commemorazione dei tragici fatti accaduti presso la sede del Msi del Tuscolano, si sono dipanati gli orientamenti valutati dalla pronuncia della Cassazione.
Si accennava fugacemente al clima politico che ha preceduto e accompagnato il tragico evento: il compromesso storico tra Pci e Dc, il rapimento Moro, con tutto il cascame riguardo l’orientabilità degli opposti estremismi da parte di poteri occulti e internazionali facenti capo soprattutto alla Cia.
È curioso che sia spuntato fuori dagli archi della Fondazione Francesco Cossiga una carta riservata che getta una luce contraddittoria sul ruolo degli Usa nella vicenda dal rapimento Moro.
La linea della fermezza, predicata dai vertici del partito di governo in Italia, era infatti chiaramente dettata da un accordo del 1977 con gli Usa, fortemente voluto da Tel Aviv (e che ricalcava la linea da tenere con le fazioni palestinesi), per cui «non si doveva assolutamente trattare con i terroristi».
L’esistenza del Lodo Moro, ossia l’accordo segreto con le fazioni palestinesi per il transito di armi nel nostro territorio in cambio dell’impegno a non compiervi attentati, poi, pone non pochi interrogativi sugli esiti del rapimento e sulla linea adottata dal Governo, in considerazione degli equilibri geopolitici internazionali e gli strascichi della guerra dello Yom Kippur.
Eppure, pochi giorni fa, è stata rinvenuta una memoria inviata da un ex esponente della Cia, Thomas Montgomery, a Francesco Cossiga che recita così, rispetto agli sviluppi del caso Moro: «Anche in questo giorno così tardivo, sarebbe ancora possibile aprire canali riservati e affidabili direttamente dalle autorità (il governo o il partito della Democrazia cristiana) alle Brigate Rosse?
Per essere utili, tali canali richiederebbero totale controllo e discrezione dalle autorità italiane, con interlocutori chiaramente identificati da entrambe le parti».
Chi sparò ad Acca Larenzia?
Non è mancato chi abbia sottolineato, in coerenza con l’atteggiamento cinico degli americani nei nostri confronti che quello potesse essere un’espediente per far uscire allo scoperto i terroristi; tuttavia, proprio un libro che racconta le vicende di Acca Larenzia nel contesto politico e geopolitico del nostro paese sembrerebbe far luce su una nuova chiave di lettura.
Nel libro Chi sparò ad Acca Larenzia, l’avvocato Valerio Cutonilli sostiene, senza furori e con dovizia di particolari, l’ipotesi normalista riguardo l’intervento degli Usa nella nostra politica interna, specialmente durante il rapimento Moro.
Viene infatti ridimensionata ogni ipotesi volta all’eliminazione di Moro (sostenuta dallo psichiatra americano coinvolto inizialmente nelle trattative, Steve Pieckenik) al fine di contrastare l’accordo con il Pci.
La regia della Cia rispetto alle iniziative golpiste o addirittura terroriste, anche attraverso Gladio, si dice, sarebbe stata controproducente per gli stessi interessi Usa nella penisola.
Il fondatore di Gladio, Emilio Paolo Taviani (portavoce degli interessi Usa nella Dc), ad esempio, si opporrà a Edgardo Sogno riguardo la svolta autoritaria che egli voleva imprimere al nostro paese e, allo stesso tempo, dopo il 1973 promuove il dialogo con il Pci.
Lo stesso Taviani decreterà peraltro lo scioglimento politico di Ordine Nuovo dopo la condanna, solo in primo grado, del Tribunale di Roma, per violazione della Legge Scelba, nonostante la contrarietà di Aldo Moro.
Per avere un quadro più completo, poi, si può riportare la valutazione retrospettiva fatta nel 1979 dalla Cia riguardo l’appoggio del Pci al Governo Andreotti (p. 109-110, L’Italia vista dalla Cia): «L’inizio si dimostrava promettente… L’intesa era estremamente dettagliata in tema di politica economica.
Per esempio, dava ad Andreotti il mandato per continuare la politica dell’austerity e appoggiava specificamente le linee guida del Fondo Monetario Internazionale per l’Italia, come la riduzione del deficit di bilancio, la ricollocazione delle risorse dal consumo agli investimenti, e la riduzione del costo del lavoro».
L’Italia al centro dello scacchiere
È curioso come la situazione geopolitica di oggi assomigli per certi versi a quella descritta più sopra.
L’Italia, dopo Yalta, era certamente il luogo dove si confrontavano le quinte colonne dei paesi protagonisti della guerra fredda (la cosiddetta «gladio rossa», che avrebbe avuto il compito di intervenire in caso di messa al bando del Pci dal consesso democratico): una guerra fredda che da due anni è diventata di nuovo calda, mentre gli influssi delle tensioni mediorientali continuano a riflettersi sul nostro paese e ad intersecarsi con gli altri scenari.
Armando Mantuano *avvocato
SALUTO ROMANO
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