ACCA LARENTIA 1978-2024

Strumentalizzazioni Sì,
Giustizia No

La sezione del Msi in via Acca Larenzia, davanti alla quale il 7 gennaio 1978 furono uccisi tre giovani militanti.

 

Come ogni anno un folto gruppo di militanti di destra si è recato il 7 gennaio davanti alla vecchia sezione del Msi di via Acca Larenzia per compiere il «rito del Presente!» in ricordo dei ragazzi assassinati nel 1978.

La targa ricordo della strage di Acca Larenzia del 7 gennaio 1978Quel terribile giorno un gruppo di militanti che usciva dalla sezione per andare ad affiggere manifesti fu crivellato di colpi sparati con armi automatiche sparati da un gruppo di fuoco formato da cinque o sei persone. Franco Bigonzetti fu subito colpito a morte, Francesco Ciavatta, dapprima solo ferito, fu inseguito e «finito» pochi metri più in là. Un altro giovane ferito ad una gamba riuscì a richiudere il portone, salvando se stesso e altri due ragazzi che erano ancora all’interno sezione.

Un terzo militante missino, Stefano Recchioni, morirà per un «colpo vagante» durante i tafferugli seguiti all’intervento scomposto di polizia e giornalisti davanti alla sede.

Il padre di Francesco Ciavatta, alcuni mesi dopo si suiciderà bevendo acido muriatico.

Gennaio di sangue

I tre ragazzi uccisi il 7 gennaio 1978 davanti alla sezione del Msi di via Acca Larenzia: Franco Bigonzetti, Francesco Ciavatta e Stefano RecchioniUn anno dopo, durante una commemorazione e i disordini seguenti morirà un altro militante, Alberto Giaquinto. L’eccidio, poi rivendicato da una delle tante sigle effimere dell’extra parlamentarismo di estrema sinistra, una galassia forse non priva di un’unica regia, è stato uno spartiacque anche per l’evoluzione del «terrorismo nero», contribuendo a formare quella tensione tra opposti estremismi entrambi destabilizzanti l’ordine democratico e la sovranità del nostro paese in egual misura.

Queste premesse bastano a rendere l’idea del fuoco che cova da sempre sotto le ceneri di un tale evento, che non ha mai avuto giustizia, dando l’impressione di una scarsa volontà nel perseguire i responsabili e nel far luce sulle contiguità di certi attori e comparse.

Di fronte a fatti che meriterebbero la condivisone della pietà, l’impegno comune della ricerca della verità e nel rendere sempre di più equivalenti i pesi e le misure adottate, si sono sentiti più alti, invece, gli attacchi contro il Governo.

La strumentalizzazione politica

Il tema del momento, cavalcando l’onda lunga dei botti di Capodanno, per dare la spallata definitiva a questo Governo (vero obiettivo di un’opposizione senza idee) sono i consueti saluti romani alla commemorazione di Acca Larenzia. Con un’indignazione a corrente alternata, si tenta così di «accusare» la presidente del Consiglio Giorgia Meloni cercando nuovi pretesti di conflitto.

Ora, al di là del triste spettacolo parlamentare, concentrato su temi che esulano dal bene comune, anzi distraggono dalle vere priorità del paese, utili solo per carpire consensi in un clima di permanente campagna elettorale, le reazioni a tali fatti sono carenti sia a livello di principi costituzionali che a livello di analisi giuridica.

Principi e valori coinvolti

La mentalità repubblicana e democratica che caratterizza l’ossatura del nostro paese rifugge da accuse meramente ideologiche, leggi speciali contro avversari politici, persecuzioni del pensiero. La stessa Legge Scelba mira a evitare situazioni di pericolo concreto dell’ordine democratico.

Mirare a perseguire indiscriminatamente manifestazioni identitarie di ricordo e commemorazione funebre, come vorrebbe la sinistra, confligge proprio con i valori repubblicani che si pretenderebbe di difendere.

La ratio della norma è infatti quella di difendere l’ordine repubblicano e democratico che il fascismo ha storicamente pervertito in Italia, ma non è detto che tale evento sovversivo possa essere prerogativa solamente di una determinata compagine ideologica.

La risoluzione del Parlamento Ue

È utile, a tal proposito, osservare come le istituzioni sovranazionali tendano a equiparare ogni totalitarismo, cercando così di evitare il fenomeno sintetizzato da Pierpaolo Pasolini ed Ennio Flaiano (su Mino Maccari, ripresa anche da Oriana Fallaci ne La rabbia e l’orgoglio) come il «fascismo degli antifascisti».

La risoluzione del 19 settembre 2019 del Parlamento Ue va proprio nella direzione di non rendere il fascismo riducibile a meri segni esteriori, ma afferente a estrinsecazione di condotte antidemocratiche che, peraltro, potrebbero presentarsi sotto molteplici pretesti (ad esempio un’emergenza sanitaria).

Non stiamo parlando di quel «ur fascismo» teorizzato da Umberto Eco, spesso utilizzato per etichettare gli avversari politici (magari conservatori), ma di definire con maggior chiarezza il perimetro di Stato di diritto e democratico.

L’applicazione dei principi in Italia

7 gennaio 2024. Il Presente in ricordo militanti missini uccisi in via Acca LarenziaA proposito di Stato di diritto, è utile richiamare brevemente l’applicazione delle Leggi associate alle condotte «incriminate» (dalla politica), relative alla commemorazione di Acca Larenzia.

Le Leggi di riferimento sono la Legge Scelba (dalla XII disp transitoria della Costituzione, ossia il divieto ricostituzione del partito fascista) e la Legge Mancino (divieto di manifestazione ideologie razziste).

Si deve notare che a queste fattispecie viene generalmente ricondotta la Legge Scelba, ritenuta rispetto alla Mancino in caso di manifestazioni usuali e, a differenza di questa, applicabile solo a fronte di un pericolo concreto, desumibile dal contesto, secondo gli interventi della Corte Costituzionale n. 1 del 1957, n. 74 del 1958 e n. 25 del 1973.

In base a ciò, un filone giurisprudenziale consistente escludeva ipso facto l’applicazione della Legge Scelba (l’unica applicabile nel contesto delle manifestazioni usuali), per le commemorazioni.

Gli ambiti delle Leggi Scelba e Mancino

Ultimamente, però, l’evoluzione giurisprudenziale ha ritenuto troppo sfuggente e indefinibile il criterio del pericolo reale (Cass. 11576/2021), tanto da fare preferire l’applicazione della Legge Mancino (Cass n.3806/2022) rendendola addirittura speciale, in caso di manifestazioni usuali, quando non ci sia prova di riorganizzazione del partito fascista (il che non avviene praticamente mai).

Nel mezzo una nozione larga di pericolo concreto correlato, per esempio ad una manifestazione dinamica, invece che statica (Cass. n. 12049/23, la versione dinamica della manifestazione non era autorizzata), e, per quanto riguarda le sentenze territoriali (specialmente Milano), si è palesato un indirizzo altalenante, per eventi ripetutisi ogni anno (addirittura con i medesimi imputati), seppur richiamato come «granitico» (nei principi casomai) dalle ultime pronunce.

Per mera cronaca si può anche rievocare come la stessa propaganda per il movimento politico «Fascismo e libertà», con affissione di manifesti nostalgici verso il regime, ripetutamente non sia stata ripetutamente considerata penalmente rilevante in quanto non concretizzatasi nella ricostituzione di «quel» partito fascista sovvertitore dell’ordine democratico.

Le sentenze di assoluzione sono degli anni ’90, portando alla constatazione paradossale che più si va indietro con gli anni, e quindi più vicini si è ad un rischio concreto di ricostituzione del pericolo fascista, più le pronunce applicano restrittivamente la norma penale privilegiando la manifestazione del pensiero.

L’attesa per la pronuncia del 18 gennaio

Di fronte alla tendenza a voler punire i saluti romani durante le commemorazioni anche a costo di applicare la Legge Mancino, si segnala che il 18 gennaio ci sarà una decisione a Sezioni Unite sull’idoneità di quest’ultima legge per punire tali fatti (nello specifico i saluti romani nella commemorazione del 2016 dell’omicidio Ramelli del 2016).

Conoscendo questo appuntamento si può giudicare la qualità degli interventi dei media vicini ai partiti di opposizione, e degli esponenti di quest’ultimo.

Ad esempio, l’evocazione del razzismo da parte del deputato Abubakar Soumahoro (più conosciuto per la gestione illecita delle cooperative di migranti da parte della moglie e della suocera, agli arresti domiciliari) ha un preciso fine politico di condizionamento della magistratura, come anche le paginate di Repubblica («Adunata nera» è il minaccioso titolo che campeggia in questi giorni).

Le reazioni dei politici della destra di governo storicamente affini agli eventi commemorati il 7 gennaio non hanno brillato per consistenza.

Il deputato Giovanni Donzelli (che pure ha chiesto in passato una Commissione per far luce sugli eventi di Acca Larenzia) ha sentenziato che i saluti romani erano di «200 imbecilli, utili alla sinistra», Forza Italia ha parlato di «manifestazioni a sostegno delle dittature», solo Ignazio La Russa ha timidamente avvertito che potrebbero non costituire automatico reato i saluti romani.

Misurare la lunghezza del corteo, cronometrare i saluti, valutare l’inquadramento ordinato del corteo, la rilevanza mediatica, non può certamente connotare la pericolosità o meno dell’evento, e nemmeno definire la commemorazione una scusa per il proselitismo, un proselitismo peraltro che dovrebbe essere atto a sovvertire l’ordine democratico o a propagandare idee discriminatorie e razziste.

Il rito del Presente!

Il rito del presente, di cui nessuno saprebbe rintracciare l’origine indicata nella sentenza n. 13843 del 2018 del Tribunale di Milano, ossia il Dizionario di Politica, edito dal Partito Nazionale Fascista, alla voce «Appello fascista», come anche il saluto romano, sono segni distintivi dell’identità delle vittime, identità che ha determinato la loro «condanna a morte».

Si ripete, non la commissione di reati o di fatti specifici, men che meno l’aver tentato di sovvertire l’ordine democratico, ma il semplice appartenere ad una categoria politica (peraltro dai confini molto elastici).

Per un giudizio spassionato si dovrebbe pensare a quanto si farebbe in caso di comportamenti analoghi (e non mancano), in altri contesti ideologici.

Nello specifico, poi, per Acca Larenzia si parla addirittura di tre militanti della sezione di un partito con, al tempo, rappresentanza parlamentare, l’Msi, di cui è erede quello odiernamente al Governo.

Peraltro, non è nemmeno secondario che la manifestazione fosse autorizzata (almeno è così che si evince ad oggi dalla consueta melma mediatica di inutili polemiche e pochi fatti).

Un giudizio spassionato

I rischi di un’applicazione non coerente con i nostri principi democratici porterebbe a conculcare non solo la manifestazione del pensiero, ma anche la pietas verso i defunti, manifestata con una ritualizzazione ormai codificata dall’uso inveterato (sono passati 46 anni).

Al contrario ogni forma di repressione porterebbe, questo sì, consensi alla memoria del fascismo, potendo vedersi in questo «passato mitico» la giusta nemesi alla corruzione e allo squilibrio «democratico», un corto circuito, forse non approfondito a dovere, cui non sono aliene forme di negazionismo, come anche i complottismi vari.

Dovrebbero, invece moltiplicarsi i tentativi di far sentire L’Italia casa comune di tutti i suoi figli, al di là dei percorsi delle storie e delle ideologie, evitando processi di (anche auto) ghettizzazione, e sacche di rancore, arrivando a quella auspicata pacificazione che è stata la cifra di uno dei propositi di questo governo, ma che dovrebbe essere l’obiettivo di tutti.

Armando Mantuano *avvocato

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