LA DONNA E SUO FIGLIO MAI NATO

Gli interrogativi sociali
sull’assassinio di Giulia

La scultura di sabbia in onore di Giulia Tramontano realizzata in Sardegna dall'artista nuorese Nicola Urru

 

Giulia Tramontano, la ventinovenne al settimo mese di gravidanza uccisa dal fidanzato Alessandro Impagnatiello, è un po’ la sorella, la figlia di tutti gli italiani. Ci sono storie che non si possono confinare nella cronaca nera, ma che diventano icone di difesa, incipit per un severo «mai più».

L'uccisione di Giulia Tramontana, incinta al settimo mese, ha scosso l'intero Paese.Tante le cose «storte» di una vicenda tragica, ancor più inquietante valutando il profilo dell’assassino, uomo troppo comune per una personalità così fredda e calcolatrice.

Quanti interrogativi sull’indifferenza e sull’egoismo in cui stanno crescendo le nuove generazioni, seminando forse le premesse per altre vicende simili, in cui il «debole», l’intralcio, è semplicemente tolto di mezzo.

Tra le tante riflessioni intorno al caso, mi sembra doveroso approfondire l’incriminazione di cui è accusato Alessandro Impagnatiello, con riferimento a suo figlio: interruzione della gravidanza senza il consenso della madre.

L’interruzione non volontaria della gravidanza

La fattispecie, richiamata dall’art. 593 ter c.p. mira a tutelare semplicemente la libertà della donna, che deve prestare un assenso consapevole alla pratica abortiva, secondo quanto previsto dalla L. 194/1978 e alla luce dello sviluppo della disciplina sul consenso informato, da attuare in maniera non superficiale da parte dei medici preposti.

In linea con tale sviluppo che ha segnato la pratica medica più recente, si segnala la proposta di alcuni comitati civici di introdurre il comma 1-bis all’art. 14 della suddetta legge: «Il medico che effettua la visita che precede l’interruzione volontaria di gravidanza» ai sensi della legge, è obbligato a far vedere, tramite esami strumentali, alla donna intenzionata ad abortire, il nascituro che porta nel grembo e a farle ascoltare il battito cardiaco dello stesso».

Questo per rendere consapevole la madre degli effetti della pratica interruttiva della gravidanza ed evitare un futuro amaro, nel rimpianto, sentimento ammesso anche da tante donne di successo.

Anche il femminismo, peraltro, ha affrontato questo tema, così la scrittrice e candidata al partito radicale, Barbara Alberti al settimanale L’Espresso: «Gli antiabortisti dicono che l’aborto è un assassinio. Hanno ragione. Noi donne lo sappiamo bene.

Ed è il più paradossale dei suicidi, la madre uccide sé. Sopprime il feto che è in lei, il germoglio, parte del suo corpo, non ancora bambino e già figlio. Essere tomba invece che culla.

Non si guarisce dall’aborto. Se ne esce vive a metà. Portare un lutto segreto per sempre. Questo noi lo sappiamo. Nel millenario massacro dei nostri corpi, nel rimpianto che non dimentica. Solo le donne lo sanno».

La tutela mancante

Giulia TramontanoPiù di qualcuno, commentando l’incriminazione di Impagnatiello ha avvertito come le definizioni giuridiche non corrispondessero al senso comune, alla dinamica degli eventi e all’ontologia dei fatti.

Questa evidente discrasia è stata in parte intercettata dalla rete del Quotidiano Nazionale che, però, indica solo genericamente che Thiago, concepito da sette mesi e prossimo a nascere «secondo l’ultima giurisprudenza, era già persona» e che, quindi, l’indagato potrebbe essere incriminato per doppio omicidio volontario.

Purtroppo, non vengono forniti riferimenti più precisi, pertanto risulta difficile approfondire a quale filone giurisprudenziale si faccia riferimento; tuttavia, i termini della questione sembrano essere differenti.

L’essere umano, persona

Prima di tutto il termine «persona», categoria filosofica per indicare l’ontologia umana differenziata rispetto ai semplici esseri animati, che ha caratterizzato lo sviluppo delle scienze sociali moderne, nonché dello stesso diritto occidentale.

La nostra Costituzione, ad esempio, afferma il principio personalista all’art. 2 indicando la precedenza dell’individuo umano sullo Stato.

Anche l’uguaglianza tra gli uomini è fondata dalla comune dignità come persone, ed è proprio il mancato riconoscimento di tale caratteristica ad aver causato l’abominio dello schiavismo di alcune razze, dell’eutanasia per particolari categorie di malati psichici o minorati fisici, fino allo sterminio delle razze subumane individuate dal regime nazista.

Se, quindi, ci sono buone ragioni per definire persona ogni essere umano, che viene all’esistenza nel momento della sua individuazione, ossia dell’acquisizione del proprio «patrimonio» genetico, come essere umano «unico e irripetibile», c’è una diffusa resistenza a tale riconoscimento proprio in virtù della depenalizzazione dell’aborto (in determinate circostanze).

Lo stato della giurisprudenza in Italia

La Corte costituzionale nella sua pronuncia n. 27 del 1975 propedeutica alla Legge 194/1978 aveva stabilito che «la tutela del concepito abbia fondamento costituzionale (…) l’art. 2 Cost. riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, fra i quali non può non collocarsi, sia pure con le particolari caratteristiche sue proprie, la situazione giuridica del concepito», mentre «non esiste equivalenza fra il diritto non solo alla vita ma anche alla salute proprio di chi è già persona, come la madre, e la salvaguardia dell’embrione che persona deve ancora diventare».

L’art.1 della Legge 194/1978 recepiva tale orientamento riconoscendo la «tutela la vita umana dal suo inizio», mentre la legge che regola la procreazione medicalmente assistita tutela i diritti di tutti i soggetti coinvolti, «compreso il concepito».

Interessante, a tal proposito, quanto affermato dalla Sentenza della Cassazione del 11 maggio 2009, n. 0741 che ha logicamente presupposto la soggettività giuridica del concepito, senza il riconoscimento come persona, in base alla tutela fornita dall’ordinamento ai suoi interessi meritevoli di protezione.

A ciò si aggiungano i numerosi disegni di legge, tra cui quello dell’on. Maurizio Gasparri, volti a modificare l’art.1 del c.c. attribuendo la capacità giuridica anche al concepito.

Il dibattito sullo status del nascituro, se res appartenente alla madre o persona, è insomma molto vivo e diffuso come si evince dal contrasto al senso comune rispetto alle incriminazioni di Impagnatiello.

La Giurisprudenza penale

Le Corti penali hanno affermato il principio secondo cui si deve incriminare per omicidio volontario chi sopprime la vita nascente solo dopo che questa si sia staccata dall’utero materno diventando «vita autonoma», e ciò anche prima dell’evento nascita: durante il travaglio, secondo Cassazione penale Sent. Sez. 4 n. 27539 Anno 2019, oppure per distacco indotto Cass. pen. sez. I, ud. 2 febbraio 2023 (dep. 25 maggio 2023), n. 22711.

In particolare, è da segnalare che l’ultima sentenza citata prende in esame un feto di 6 mesi, mentre il piccolo in grembo di Giulia Tramontano aveva addirittura 7 mesi ed era potenzialmente in grado di vivere autonomamente.

L’uccisione di Thiago

Nel presente caso non c’è stata alcuna pratica medica volta a staccare l’embrione dall’utero della madre, pertanto, secondo gli orientamenti richiamati, «l’anzianità» del piccolo non potrebbe rilevare in merito al riconoscimento della sua dignità personale.

Personalmente, però, credo che proprio il caso in esame possa portare ad una rivisitazione dei presupposti di applicazione delle fattispecie.

Se, infatti, è vero, come riportato in confessione dallo stesso omicida, che egli abbia inferto i fendenti letali alla gola di Giulia Tramontano, la morte della stessa deve essere giunta in un momento precedente a quella di Thiago, il figlio avuto con il suo assassino, manifestando, nella tragedia, tutta la dignità e l’autonomia di quella vita che portava in grembo, che ha superato, ancorché di poco, la sua.

Una vita che aspettava solo di essere accolta nella splendida famiglia Tramontano e che, ora, insieme a Giulia, interroga tutti noi.

Armando Mantuano *avvocato

 

 

LE VITTIME

L’omicidio di Giulia Tramontano e del suo bambino mai nato del 2 giugno 2023

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