LA LUNGA NOTTE IN TV

Insieme al Duce cade
anche la serie Rai

Un momento della riunione del Gran Consiglio del fascismo del 25 luglio al centro della serie Rai «La lunga notte. La caduta del Duce»

 

di Adriano Minardi Ruspi

Non può che essere considerata un’occasione persa la serie televisiva La lunga notte. La caduta del Duce andata in onda su Rai1 il 29, 30 e il 31 gennaio e ora disponibile su RaiPlay.

La locandina della serie tv 'La lunga notte. La caduta del Duce' andata in onda su Rai1 il 29, 30 e il 31 gennaio è ora disponibile su RaiPlay.Le sei puntate raccontano gli avvenimenti precedenti la riunione del Gran Consiglio che il 25 luglio 1943 portò alla caduta del fascismo ed all’arresto di Mussolini.

Invece che curare l’approfondimento di un periodo importante della nostra storia le serie televisiva ha scelto di privilegiare il tono macchiettistico e di fare proprie le versioni della vicenda contenute nelle memorie «interessate» di alcuni dei protagonisti.

Giudizi fortemente critici su «La lunga notte. La caduta del Duce» sono così arrivate da più parti. Per tutti il critico televisivo Aldo Grasso sul Corriere della Sera ed Edda Negri Mussolini su il Giornale.

Una carente ricostruzione storica

La lunga notte. La caduta del Duce. Alessio Boni nel panni di Dino GrandiNon è certamente la prima volta che il mondo della fiction s’interessa alle vicende della storia italiana, al punto che l’argomento può essere ormai considerato un vero e proprio sottogenere del format fiction, attraverso il quale la storia viene ripresa, riveduta e trasmessa al grande pubblico utilizzando un canale sicuramente più accessibile e fruibile da tutti.

Aldilà della bravura dei singoli interpreti e componenti il cast che in alcuni casi sono davvero notevoli (si pensi nel caso specifico ad Alessio Boni che interpreta Dino Grandi, figura centrale della vicenda), il tono complessivo della trasposizione narrativa di uno snodo cruciale della storia italiana del 900 è però del tutto carente.

La serie ricostruisce alcuni dei temi legati agli avvenimenti culminati nel 25 luglio in chiave simultanea, ovvero riunendo nella trama narrativa tutte le diverse iniziative assunte dai protagonisti della vicenda nel tentativo di portare l’Italia fuori dal conflitto. Ovvero sganciarla dall’alleanza con la Germania per approdare nel campo alleato, con un vero e proprio ribaltone ante litteram, come poi realmente accaduto.

La preparazione del 25 luglio

Alessio Boni in un ciak de 'La lunga notte. La caduta del Duce'Dall’azione del Re Vittorio Emanuele, attraverso l’esercito e gli ambienti tradizionalmente vicini alla Corona, al tentativo di Maria José principessa di Piemonte e moglie di Umberto di Savoia di ricercare una mediazione diplomatica attraverso i buoni uffici della Curia romana fino all’agitazione ed ai movimenti maturati all’interno al mondo fascista che si concretizzeranno nell’ordine del giorno Grandi con cui venne sfiduciato Mussolini.

Tutti questi temi, anche se semplicemente abbozzati, entrano nella trama della «Lunga notte» in modo estremamente confuso e casuale. I diversi filoni narrativi sembrano quasi rincorrersi gli uni con gli altri, con i singoli protagonisti spesso all’insaputa delle iniziative assunte dagli altri attori della vicenda.

Tutto nel complesso scarsamente credibile in un contesto istituzionale dominato da una comunicazione molto fitta tra i vari attori anche se ovviamente formalmente velata da ritualismi e forme codificate.

In realtà le diverse trame cospirative nacquero ben prima delle ultime tre settimane che precedettero il 25 luglio e, come sappiamo, si svilupparono autonomamente le une dalle altre. Erano tutte ben conosciute (in parte anche da Mussolini stesso) e incasellate verso un unico scopo dall’astuta volontà del Re al quale serviva solo un appiglio istituzionale per procedere alla liquidazione di Mussolini.

La trama intessuta dalla Corona

La lunga notte. La caduta del Duce. Luigi Diliberti è Re Vittorio Emanuele IIIUna trama intessuta con paziente volontà dalla Corona e dagli ambienti ad essa vicini che ne tessero le fila molto lentamente ma con un’idea precisa di quelli che dovevano essere gli sviluppi della situazione.

Va sottolineata in questo contesto anche la particolare malizia dello stesso Sovrano, il quale fece credere e promise a tutti quello che ciascuno voleva credere o avere, ma in realtà ingaggiando tutti al servizio del suo scopo.

La centralità assunta dalla monarchia in questa vicenda appare del tutto inespressa nella fiction che veicola un giudizio quasi opposto sul Re, rappresentato come timoroso e dubbioso sulle conseguenze di una eventuale rimozione del Duce e concentrato unicamente sulla paura della reazione fascista e tedesca e sulla necessità di scongiurare il caos ed i disordini che ne sarebbero conseguiti.

La necessità di un corretto inquadramento storico dovrebbe, invece, rappresentare in questo genere di fiction a sfondo storico una sorta di crocevia e di tema cruciale per l’esatta ricostruzione narrativa della vicenda.

Ne La lunga notte. La caduta del Duce sembra invece che manchi pressoché del tutto. Una ricostruzione più accurata avrebbe giovato anche alla narrazione dei singoli episodi e della vicenda nel suo complesso.

Una distonia rispetto alla ricostruzione storica che si riverbera peraltro nell’assoluta libertà con cui sono tratteggiati i singoli protagonisti, seguendo una logica personale, frutto delle valutazioni di chi ha evidentemente immaginato e scritto la sceneggiatura.

Una versione tutta impostata in chiave macchiettistica, un’interpretazione volutamente tendente al comico, posture e mimiche del corpo degne del miglior avanspettacolo. Da Mussolini all’ambiente dei gerarchi, tutto l’albero del potere, fascista e no, sembra dominato da caratteristiche oramai rituali nella comunicazione e nella ricostruzione pseudo storica, soprattutto giornalistica.

La caricatura della classe dirigente

La lunga notte. La caduta del Duce. Aurora Rufffino e Maria José e Flavio Parenti è Umberto di SavoiaUomini macchietta, in grado d’interpretare solo le liturgie del regime, impauriti e soggiogati dalla volontà del capo ed incapaci di assumersi alcuna responsabilità.

Manovrati come pecorelle inconsapevoli in una direzione che immediatamente percepiscono come più grande delle loro possibilità, sulla quale esprimono dubbi e incertezze fino alla fine.

Una rappresentazione che non fa nient’altro che avvalorare il luogo comune di una classe dirigente fascista prona agli ordini di Mussolini e incapace di iniziative proprie.

La ricostruzione storica dimostra una realtà diversa non solo riguardo alla figura di Dino Grandi ma anche di altri personaggi. Primo fra tutti Giuseppe Bottai, ritratto nella fiction come un semplice comprimario, ma che in realtà fu uno dei protagonisti più attivi ed anche più consapevoli di quei giorni convulsi anche se poi risultò tra i maggiormente illusi dal punto di vista politico.

Nella ricostruzione della seduta del Gran Consiglio gran parte dei dialoghi sono basati sulle testimonianze postume dei partecipanti alla seduta formulate molti anni dopo. E spesso non esenti da ulteriori aggiustamenti per i posteri, in primis quelle contenute nell’abbondante produzione letteraria nel dopoguerra dello stesso Dino Grandi.

Tutte ricostruzioni parziali, personali, ed in alcuni casi anche contraddittorie

Il credito accordato alle autorappresentazioni

Come sappiamo, della seduta del Gran Consiglio non venne redatto alcun verbale con cui fissare in modo inequivocabile la qualità e la portata degli interventi, i cui contenuti vennero appunto ricostruiti successivamente soprattutto dai componenti che avevano votato favorevolmente l’ordine del giorno Grandi (nonché da lui stesso).

Su queste autorappresentazioni si basa La lunga notte. La caduta del Duce che trascura le ricostruzioni storiche successive — come, ad esempio, i lavori di Renzo De Felice ed Emilio Gentile — non solo rispetto a ciò che venne detto e proclamato durante la riunione del Gran Consiglio (atteggiamenti teatrali ed accenni di rissa compresi…) ma anche riguardo agli accadimenti dei giorni seguenti.

Appare quanto mai arbitraria la descrizione del dialogo avvenuto il giorno successivo al 25 luglio a Villa Savoia tra il Sovrano e Mussolini che si concluse con l’arresto dell’ormai ex Capo del Governo.

A quel colloquio infatti non assistette nessuno, si svolse a porte chiuse e solo pochi elementi di dialogo poterono essere captati dai presenti quasi origliando dietro la porta… Come peraltro si può apprendere su gran parte dei lavori storici che si sono occupati della vicenda.

Al netto delle esigenze strettamente legate al format utilizzato, una ricostruzione dei dialoghi e dei rapporti tra gli attori della vicenda assolutamente arbitraria e probabilmente assai lontana da quella che dovrebbe essere stata la realtà storica — come abbiamo detto frutto dell’utilizzo di ricostruzioni e testimonianze postume di protagonisti ben selezionati — rappresenta un elemento sufficiente per delineare la scarsa aderenza storica della fiction.

Il gioco delle coppie contrapposte

La lunga notte. La caduta del Duce. Lucrezia Guidone è Edda Mussolini e Marco Foschi è Galeazzo CianoSi tratta, è vero, pur sempre di una fiction. Tuttavia, raccontare per il grande pubblico avvenimenti storici impone di non limitarsi a veicolare interpretazioni parziali e predefinite ma di mantenere una certa aderenza ai fatti, quantomeno quelli provati. Altrimenti si scade in una rappresentazione fantasiosa e parziale.

La totale e assoluta libertà di rappresentazione dei personaggi storici della vicenda lascia ulteriormente perplessi perché sembra avvalorare tutta la vulgata peggiore sulla qualità umana, non solo del mondo che ruotava intorno al fascismo e a Mussolini, quanto di tutta la classe dirigente del Paese. E ciò nonostante la storiografia abbia contribuito negli ultimi anni a delineare in modo preciso luci ed ombre dei protagonisti della vicenda.

La figura di Galeazzo Ciano, ad esempio, continua ad essere descritta come quella di un uomo fatuo, dominato dalla paura ed incapace di dare alla propria vita politica un destino autonomo rispetto a quello che gli aveva regalato il fortunato matrimonio con la primogenita di Mussolini.

Nella fiction appare come un uomo trascinato solo da una forte ambizione personale, desideroso quasi di vendicarsi di un suocero che l’aveva privato qualche mese prima dell’incarico prestigioso di Ministro degli Esteri per declassarlo ad ambasciatore presso la Santa Sede,

Stesso discorso vale per la ricostruzione delle figure femminili, dal personaggio di Maria José di Savoia, descritta come una paladina della liberazione del paese dal fascismo, alle figure in parallelo di Edda Ciano, Claretta Petacci e Rachele Mussolini.

L’inadeguato taglio scandalistico

La lunga notte. La caduta del Duce. Benito Mussolini (Duccio Camerini) con la figlia Edda (Lucrezia Guidone)La vicenda viene narrata in larga parte con un taglio scandalistico in cui emerge sostanzialmente un gioco di e tra coppie contrapposte, in cui alcune figure sono predominanti ed altre in soggezione, in una alternanza di ricostruzioni che concedono molto al gossip più che alla storia.

Se può essere infatti considerato verosimile il tentativo della regina Maria Josè di trascinare il marito fuori dall’ambito dell’educazione e della tradizione familiare, suscitandone un moto di ribellione (che peraltro non ci sarà, mentre invece nella fiction sembra esattamente il contrario), altri ambiti ricostruttivi sembrano risentire della vulgata pseudo-storico giornalistica degli ultimi anni.

A titolo esemplificativo il rapporto tra Edda e Galeazzo Ciano, sicuramente molto libero rispetto ai tempi, ma anche molto più complesso rispetto alla rappresentazione che emerge nel film. E poi ancora il rapporto tra Dino Grandi e la moglie, in cui viene inserita la figura (riteniamo immaginaria) di una nipote.

Il suo moto di ribellione e di trasporto amoroso verso il figlio di un antico compagno d’armi di Dino Grandi doveva, nella trama narrativa, interpretare pedagogicamente lo stacco generazionale e la cesura tra il fascismo e la generazione giovanile successiva, quella a cui apparterrà, come declamato enfaticamente, il futuro del Paese.

Una ricostruzione sicuramente e volutamente parziale che manifesta la volontà di dimostrare che tutto il mondo dei buoni era da una parte e quello dei cattivi dall’altra, che mischia ricostruzione storica e giudizio morale, dimenticando che la storia è davvero un gioco in cui luci ed ombre si susseguono incessantemente e l’unica vera finalità dovrebbe essere la ricostruzione di una verità non assoluta ma verosimile, in grado di far comprendere e non solo di giudicare e sbrigativamente liquidare.

I limiti della serie televisiva

Se da un lato non si può che plaudere all’iniziativa della Rai che continua a riproporre all’attenzione del grande pubblico temi di carattere storico, dall’altro non si può non rilevare come tutto questo risenta comunque di un’idea ancora pedagogica della fiction che serve soltanto a veicolare un’immagine volutamente parziale di un periodo storico e che quindi finisce con l’essere funzionale più alle esigenze di un equilibrio politico che alla ricerca della verità storica.

I limiti mostrati da La lunga notte. La caduta del Duce ci fanno pensare che forse il format fiction non sia il modo migliore per raccontare la storia al grande pubblico. Il rischio è di privilegiare aspetti legati allo scandalismo puro e semplice come, ad esempio, viene rappresentato nella fiction il rapporto tra Mussolini e Clara Petacci.

Un genere più consono potrebbe essere forse quello del docufilm, nel quale intrecciare elementi narrativi e elementi più sostanziali di ricostruzione storica, più utili alla comprensione dei fenomeni. Con la partecipazione di storici che hanno scandagliato e analizzato a lungo il periodo in argomento.

Sul 25 luglio non mancano infatti saggi e monografie in cui vengono tratteggiati in maniera esaustiva gli accadimenti ed i ruoli assunti dai diversi protagonisti, supportando la ricerca dal punto di vista documentale, ricostruendo le vicende nel loro succedersi lasciando quindi poco spazio alla fantasia interpretativa di sceneggiatori spericolati e sbilanciati dal punto di vista interpretativo.

Un buon esperimento quindi perlomeno nelle intenzioni ma che nel risultato si dimostra ancora una volta scadente.

Peccato per l’ennesima occasione persa.

Adriano Minardi Ruspi

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