MUSSOLINI IO TI FERMO

Un uomo verticale,
la parabola di Giuseppe Bottai

Angelo Polimeno Bottai, Mussolini io ti fermo, Guerini e Associati

 

di Adriano Minardi Ruspi

«Nel pollaio fascista c’è un galletto che si farà sentire: Giuseppe Bottai». Mai nessuna previsione fu più azzeccata come quella espressa nel 1921 da Giovanni Giolitti sul futuro ministro delle Corporazioni e dell’Educazione nazionale, la cui figura viene rievocata nel libro Mussolini io ti fermo, scritta dal nipote Angelo Polimeno Bottai.

Giuseppe Bottai con Benito MussoliniIn realtà lo statista di Mondovì aveva forse sottovalutato le caratteristiche presenti in larga parte della classe dirigente del primo fascismo, e la definizione di «pollaio» risulta senz’altro ingenerosa rispetto alla sostanza espressa da una compagine composta perlopiù da uomini d’azione più che di pensiero, sicuramente poco abituati a maneggiare la politica come arte della mediazione o di ricerca del consenso.

Era una classe dirigente proveniente dalle trincee della grande guerra e nell’esperienza del primo fascismo aveva trovato un nuovo nemico per uno spirito antico e, soprattutto, il clima di guerra.

D’altro canto, però coglieva perfettamente le caratteristiche di Bottai che rappresentavano sicuramente un’anomalia nel contesto del primo fascismo ma nello stesso tempo anche una sintesi efficace tra le diverse anime del fascismo.

Giuseppe Bottai nell’immediato primo dopo guerra rappresenta proprio una figura tipica del mondo fascista nel suo essere un ex combattente decorato che aveva scelto di arruolarsi nei reparti d’assalto dove aveva compiuto fino in fondo il suo dovere senza nascondersi o fuggire dalle trincee ma allo stesso tempo anche l’uomo di cultura, amante dell’arte e della letteratura.

Nel suo essere stato contemporaneamente fascista e futurista (la rottura con il movimento di Marinetti avverrà molto più tardi) rappresentava insomma una sintesi perfetta tra l’uomo d’azione e l’uomo di pensiero.

Lo sottolinea Angelo Polimeno Bottai nel bel libro che il giornalista e scrittore dedica al nonno e nel quale aggiunge qualcosa in più rispetto ai giudizi personali, all’intimo del vissuto familiare, soprattutto perché puntualizza le caratteristiche più evidenti di Giuseppe Bottai.

Coscienza critica del regime

Il Ministro Giuseppe Bottai in uniforme di galaRacconta il suo atteggiamento sempre, comunque, vigile e critico nei confronti del fascismo e dell’evoluzione del regime, a partire dalla consapevolezza della perdita dell’occasione storica rappresentata dal mancato compimento della riforma corporativa che rappresentava con il bolscevismo, l’unica vera forma di rivoluzione sociale del Novecento maturata in Europa e, in quanto tale, in grado di animare interesse e dibattito culturale anche fuori dai confini nazionali.

Giuseppe Bottai, uno dei padri nobili a animatori dell’idea corporativa e sempre consapevole della necessità di caratterizzare il fascismo come elemento della vita culturale italiana, ha costantemente assunto all’interno del fascismo un ruolo critico di vigilanza per le storture e gli errori del fascismo stesso, partendo dalla necessità di riportare lo squadrismo ad una visione nazionale.

Per questa ragione fu sempre tenacemente e spesso ferocemente osteggiato da alcune componenti del regime, anche perché la necessità di ricongiungere il fascismo alla storia d’Italia nel disegno del ministro dell’Educazione nazionale passava attraverso la promozione della cultura italiana in quanto tale, non soltanto di quella fascista.

Tutto il suo percorso all’interno del regime disegna questa parabola, cioè l’idea di immettere il fascismo come elemento strutturale della storia italiana ma senza «sottomettere» la cultura italiana al fascismo stesso. Non molto distante, peraltro, dall’esperienza e dall’apporto dato nel campo delle istituzioni e della cultura da Giovanni Gentile.

L’esperienza delle riviste

La rivista Critica Fascista diretta da Giuseppe BottaiSi pensi alla straordinaria esperienza delle riviste «Critica fascista» prima e di «Primato» poi, in cui convissero proficuamente le migliori intelligenze della cultura italiana, alcune delle quali più o meno apertamente antifasciste, in un’idea di promozione della cultura nazionale che tendeva ad includere piuttosto che emarginare.

Tutte le tappe della carriera politico istituzionale di Giuseppe Bottai contribuiscono a sottolineare questo aspetto. Da ministro e propugnatore dell’idea corporativa che — come ricordato nel libro di Angelo Polimeno Bottai —, sfonda i confini nazionali e suscita l’interesse della dottrina e della pratica politica di tutto il mondo.

All’incarico di Governatore di Roma, con l’avvio di una trasformazione urbanistica culminata nel progetto dell’Esposizione Universale del 1942 che mirava a sottolineare il carattere universale dell’Urbe, subito dopo la conclusione della guerra coloniale d’Etiopia, a cui peraltro Bottai partecipa attivamente, anche in questo caso non nascondendosi furbescamente.

La rivista Primato diretta da Giuseppe BottaiDa ministro dell’Educazione nazionale avvia una riforma della scuola sulla scia della riforma gentiliana che mirava a organizzare il lavoro e lo studio delle giovani generazioni, percepite come futura classe dirigente del domani, in cui spicca l’introduzione della scuola media.

L’idea era che la scuola dovesse formare e preparare non soltanto attraverso gli studi umanistici (come era nello spirito della riforma Gentile) ma anche avviare al lavoro attraverso le scuole professionali.

Mussolini io ti fermo affronta con efficacia anche gli snodi successivi della vita di Bottai non ultimo, l’atteggiamento del gerarca in occasione dell’introduzione nel 1938 delle leggi razziali e soprattutto nella crisi politico-istituzionale del 1943 che sfocia nella destituzione di Mussolini il 25 luglio.

Il disincanto progressivo di Bottai

Giuseppe Bottai durante un discorsoIl comportamento di Bottai è il culmine di un processo di disamoramento dell’uomo dalla figura di Mussolini. Ma questo scollamento dalla figura paterna parte da lontano, dalla crescente constatazione che il Duce si è nel tempo sostanzialmente estraniato dalla realtà diventando quasi una statua, un monumento di sé stesso.

Questo processo di estraniazione progressiva si avvia a partire dal 1936 alla conclusione dell’impresa di Etiopia, quando il gerarca si rende conto che Mussolini è ormai preso da un disegno di evoluzione del fascismo — ormai immedesimato nello Stato — completamente diverso dalle aspirazioni e dalle speranze sino ad allora coltivate.

Lo sviluppo della politica fascista si snoda attraverso le leggi razziali, che comunque Bottai applica con la solerzia ed il rigore del «soldato politico», nonostante il personale dissenso, comunque privato e mai pubblico.

Sua è, infatti, la scrupolosa applicazione delle norme di esclusione degli insegnanti ebrei dal mondo scolastico di ogni ordine e grado, seppure mitigata e resa più «morbida» nell’applicazione concreta.

Un’irriducibile diversità

Giuseppe BottaiIl distacco diventa poi marcato soprattutto per il progressivo avvicinamento del fascismo al nazionalsocialismo, maturato inizialmente da dinamiche di politica estera ma poi progressivamente esteso anche al campo culturale.

C’è in Bottai la consapevolezza dell’irriducibile diversità tra il fascismo, con la sua anima latina e mediterranea, e l’ambizione di porsi come continuazione dello spirito dell’impero romano, rispetto al mondo germanico che rappresentava una cultura se non antagonista quantomeno distinta dai fondamenti della romanità.

Il retroterra culturale in cui Giuseppe Bottai e lo stesso Benito Mussolini erano cresciuti avrebbe dovuto rappresentare un efficace antidoto per avvicinamenti troppo stretti, a parte le valutazioni di politica estera, ma non riesce ad evitare la dinamica di un abbraccio che si rivelerà mortale.

Impedire il disastro della Nazione

Giuseppe Bottai votò l'odg Grandi che portò alla caduta del fascismo del governo fascista. Il Re ordinò l'arresto di Mussolini e nominò capo del governo, il Maresciallo d'Italia Pietro Badoglio.L’esito della guerra, la sua partecipazione alla campagna di Grecia e la progressiva dissoluzione delle speranze di vittoria militare finiscono poi per avvicinare Bottai a quel mondo che all’ombra della Corona tenta di fuoriuscire dal fascismo mantenendo il potere.

Ma se per molti la partecipazione alla congiura di palazzo del luglio 1943 fu un’occasione per tentare di rimanere a galla nonostante il disastro, per Giuseppe Bottai fu solo probabilmente il tentativo di salvare il Paese riaffidandone il destino alla Corona.

Fu un’ultima illusione o semplicemente un calcolo politico sbagliato visto il successivo disastro dell’otto settembre ma è corretto sottolineare che il fallimento del progetto per alcuni comportò la fuga e la ricerca di un salvataggio personale e per Bottai fu invece l’inizio di un periodo di espiazione personale.

Dopo essersi reso conto del tranello teso dalla Corona ai gerarchi, sfruttati per creare l’occasione della sfiducia a Mussolini e convinti di poter giocare un ruolo importante anche nel dopo (ma sostanzialmente relegati ai margini dalla volontà del Re di gestire la successione solo in ambito militare), Giuseppe Bottai non fugge e reagisce all’iniziale perplessità sugli esiti dell’iniziativa con un percorso individuale che lo spinge ad aderire alla Legione Straniera alla ricerca di una forma di riscatto che lo riporta poi a combattere contro i tedeschi — ma non contro altri italiani — sino al termine della guerra.

Il coraggio e la coerenza dell’uomo

Giuseppe Bottai con l'uniforme della Legione StranieraQuesto della coerenza individuale, dell’assunzione di responsabilità rende ancora oggi la figura di Bottai particolarmente interessante, perché esempio raro se non unico di uomo che accetta la sua personale e politica «riduzione al nulla» in nome della consapevolezza di dover espiare prima e spiegare poi, però tutto teso a non tirarsi indietro coraggiosamente di fronte agli sviluppi della sua vita.

Questo sarà il dopoguerra di Giuseppe Bottai, una produzione letteraria ancora oggi illuminante per comprendere le dinamiche dell’esperienza fascista, la spiegazione interna di molti nodi storiografici ed il tentativo di partecipazione alla lotta politica, non riuscito per il retaggio del suo passato ma anche per l’incomprensione dei più.

La parte finale del libro è dedicata al racconto della vicenda che non consenti l’intitolazione di una via all’ex Governatore di Roma per effetto dell’isteria antifascista di alcuni eminenti rappresentanti del ceto intellettuale progressista, nonostante la proposta avesse avuto avvio ed appoggio da parte di intellettuali e politici provenienti da un mondo opposto a quello rappresentato da Giuseppe Bottai.

Una vicenda penosa, illuminante del clima da dopoguerra in cui ancora oggi vive larga parte del ceto politico ed intellettuale del Paese, ancora oggi irriducibile a qualunque lettura del passato nazionale priva di pregiudizi e di ostilità militante in ritardo.

Una efficace ricostruzione della vita e del pensiero di un uomo controverso, forse fin troppo comprensibilmente «difensiva» ma completa ed onesta. Forse nel titolo manca l’aggettivo «fascista» come invece Giordano Bruno Guerri titolò l’ultima edizione della sua eccellente biografia.

Perché Giuseppe Bottai fascista lo fu davvero, forse di un fascismo diverso dalla vulgata, o forse «possibile» come pure è stato scritto. Con onestà e con coraggio, anche in un ripensamento senza sconti, vissuto sulla propria pelle.

Adriano Minardi Ruspi

 

 

 

Angelo Polimeno Bottai
Mussolini io ti fermo
Guerini e Associati, pp.272

 

 

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