FRANCESCO BORGONOVO

Fascismo infinito, tra ossessione
e fumo negli occhi

Il dibattito sul fascismo infinito sembra essere una componente strutturale del dibattito pubblico del nostro paese. Il fenomeno si è naturalmente intensificato con l’approdo della destra politica al governo del paese e rischia di divenire un ingombrante «compagno di viaggio» destinato ad accompagnare la vita stessa del governo per tutta la legislatura.

 

Il fascismo infinito, un incubo di quelli veri, che non passano mai. Oppure una caratteristica che concorre a delineare la fisionomia di un popolo, un vizio sintomatico che appare e scompare nelle diverse fasi storiche ma che è una componente strutturale della sua natura, una sorta di tara ereditaria.

Oppure semplicemente un’ossessione che si perpetua, qualcosa che seppure non esiste più nella sua concretezza, continua a corrodere lo spirito e ad infettare una società.

Il dibattito, spesso dai toni surreali che vanno dall’apologia alla demonizzazione che si apre periodicamente sulla persistenza del fascismo in Italia sembra essere ormai una componente strutturale del dibattito pubblico del nostro paese.

Si alimenta di ogni episodio, spesso banale, della vita quotidiana per riesplodere in tutta la sua intensità e dare vita alla consueta messe di proclami, anatemi, richieste di dissociazione o di abiura permanente, accompagnate da manifestazioni e cortei, il più delle volte violenti.

Il fenomeno si è naturalmente intensificato con l’approdo della destra politica al governo del paese e rischia di divenire un ingombrante «compagno di viaggio» destinato ad accompagnare la vita stessa del governo per tutta la legislatura.

Una lettura anticonformista

Per fortuna sono presenti letture non conformiste del fenomeno che contribuiscono non solo ad arricchire il dibattito ma anche a svelare la patina di pregiudizio e ideologia da cui questa crociata nasce e si alimenta.

Va sicuramente in questa direzione l’agile, ma ponderoso nei contenuti, saggio di Francesco Borgonovo Fascismo infinito. L’ossessione per il pericolo nero che ci impedisce di vedere il nuovo regime, edito da Lindau.

Giornalista e saggista Francesco Borgonovo è attualmente vicedirettore del quotidiano La Verità. Con Lindau ha pubblicato nel 2021 Conservare l’anima. Manuale per aspiranti patrioti.

Il saggio contiene un’esaustiva descrizione del fenomeno dal punto di vista politico ma è anche e soprattutto un’efficace ricostruzione del sottofondo ideologico dal quale è scaturito, individuato dall’autore nell’ormai famoso intervento di Umberto Eco, vate illustre della cosmogonia progressista, alla Columbia University nel 1995, poi raccolto in una pubblicazione continuamente riproposta all’attenzione dei lettori.

L’intervento costruiva una sorta d’identikit delle caratteristiche tipiche del fascismo in cui però a ben vedere finiscono col ritrovarsi molte caratteristiche potenzialmente utilizzabili anche nell’analisi di altri fenomeni storici, costituite a titolo esemplificativo dall’appello alle «classi medie frustrate», al «culto della tradizione», all’eterno «machismo» di cui alla fine il fascismo stesso finisce col costituire una variante.

Fascismo come etichetta demonizzante

Ben si comprende quindi come questa ricostruzione, avulsa da qualunque riferimento a fatti storici concreti, finisca per comprendere nella definizione di un fenomeno storico – concreto e ben individuabile – tutto e il contrario di tutto a prescindere dal contesto storico di riferimento.

In base a questa teoria i cattolici tradizionalisti, come anche i conservatori americani ultra repubblicani, i sovranisti ed i populisti tutti, finiscono con l’essere automaticamente intruppabili nella categoria che diviene così una sorta di catalogo delle negatività del secolo, utile ed adattabile a chiunque nell’ottica di demonizzazione dell’avversario finalizzata ad espungere una voce dissidente, qualunque essa sia, dal dibattito pubblico.

Il punto sembra essere alla fine proprio questo. Se tutti o gran parte dei fenomeni storici sono suscettibili di essere catalogati alla voce «fascismo» per la presenza anche di una sola delle categorie indicate (e altre ce ne sono, naturalmente), allora se tutto è potenzialmente fascismo alla fine il fascismo diventa un categoria universale che include tutto il non allineato al pensiero corrente, o meglio alla vulgata dominate.

Una categoria astorica e non ricondotta alle caratteristiche concretamente avute che assolve poi ad un ruolo determinante nell’evoluzione del linguaggio politico della sinistra progressista: denotare la categoria del male assoluto, da espungere dal dibattito pubblico e utile anche per escludere chi se ne fa portavoce da qualunque possibilità d’intervento.

Il collante unico della sinistra

Maurizio Landini, Elly Shlain e Giuseppe Conte in piazza a Firenze contro il fascismo immaginarioNon solo. In un’epoca caratterizzata dalla decostruzione integrale dell’alfabeto politico ideologico post marxista, questo ricorso al nemico assoluto, al demone nero finisce col costituire di fatto l’unico collante ideologico, l’unico fattore identitario di una sinistra che brancola alla ricerca di un’identità definita.

Paradossalmente questo torcicollo ideologico, questo continuo riferirsi al mondo di ieri, questa eternizzazione del passato in un assoluto presente finisce col rendere il mondo progressista post-fascista molto più di quanto lo siano quelli che appaiono come gli eredi di quella vicenda storica, ormai da tempo approdati ad una sua storicizzazione integrale e del tutto deideologizzati rispetto a quest’ultima (con la sola eccezione di frange marginali e prive di qualunque capacità d’incidenza politica).

La ragione di quest’operazione è molto ben ricostruita dall’autore quando individua nell’utilizzo della categoria del «fascismo male assoluto», non solo la chiave per operare la sistematica estromissione del dissenziente (sia esso sovranista, populista, o «no vax») dal dibattito pubblico ma anche la finalità di mascherare quella che invece è la costruzione di una vera e propria dittatura del politicamente coretto.

Essa si manifesta nell’imposizione sempre più palese di forme di comportamenti, di modelli culturali che vanno dalle larvate forme di costruzione della dittatura sanitaria che abbiamo ben conosciuto nella gestione della pandemia fino all’adozione di modelli conformi all’ideologia radical-progressista (si pensi alla diffusione sistematica dell’ideologia gender a qualunque livello, da quello scolastico alla smaccata propaganda che ne è stata fatta ad esempio in occasione dell’ultimo festival di Sanremo).

La dittatura del politicamente corretto

Una coltre di fumo negli occhi attraverso il continuo richiamo al pericolo oscuro del fascismo in agguato che nasconde una forma di totalitarismo, seppure morbido, in cui si sostanzia la dittatura del politicamente corretto.

Utile e necessaria, quindi, l’analisi di Francesco Borgonovo, perché aiuta a comprendere lo spirito del tempo ed è efficace per costruire un’interpretazione del fenomeno che, chiarendo le sue implicazioni ideologiche e strumentali, consenta di ricondurre l’analisi del fascismo all’unica dimensione dove va correttamente collocata: quella dell’analisi storica, ma operata da storici e non da militanti politici.

Decostruire e demistificare l’uso improprio di questa categoria costituisce l’unica possibilità di consegnare davvero il fascismo alla storia italiana.

Alla storia appunto e non all’attualità.

Adriano Minardi Ruspi

 

 

Francesco Borgonovo
Fascismo infinito
Lindau, pp.179

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