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L’oscena proposta del canone Rai
allargato agli smartphone

Un'oscenità l'idea del Canone Rai allargato agli smartphone

 

Ci auguriamo che sia soltanto una boutade l’ipotesi di allargare il pagamento del canone Rai ai possessori di smartphone formulata dal ministro dell’Economia e delle finanze, Giancarlo Giorgetti, nell’audizione in Commissione di vigilanza Rai sullo schema di contratto di servizio.

Smartphone, pc e tablet a rischio canone RaiIn tale maniera il balzello più odioso per gli italiani verrebbe esteso all’interna popolazione italiana. Con l’esclusione di una fascia di bambini che per l’uso sempre più precoce degli smartphone si restringe, colpevolmente, ogni giorno di più.

Il canone Rai è irritante fin dalla denominazione. Il termine «canone» indica il corrispettivo di un servizio del quale si fruisce – ma del quale, viceversa, si può scegliere di fare a meno – mentre la sua riscossione è diventata via via un obbligo pressoché inderogabile.

E ancora più iniquo quando lo si basi, come è stato prospettato dal ministro Giorgetti, su un’interpretazione capziosa dei supporti informatici.

L’antico cavillo del possesso della tv

Il cavillo, tutt’altro che inedito, ha radici antiche e discende da quello che all’origine era il presupposto del pagamento del canone Rai: il possesso di un televisore. In un’epoca, però, in cui i programmi tv a disposizione degli utenti erano quasi esclusivamente quelli prodotti appunto dalla Rai.

La concatenazione logica, quindi, poteva avere senso: se hai un televisore si suppone che tu lo usi e, se lo usi, è naturale che guarderai le trasmissioni dell’emittente di Stato.

Dopo di che, come è arcinoto, la tecnologia ha fatto passi da gigante. Sino a portarci nell’era dello streaming, con la possibilità di vedere i programmi tv non più solo con i televisori ma per mezzo di qualsiasi dispositivo collegato a Internet. Vedi i pc. E vedi appunto gli smartphone.

Con gli smartphone verificare si può

Siamo al cuore del problema. Al centro del ragionamento parziale, e scorretto, insito nell’ipotesi avanzata dal ministro Giorgetti.

L’equazione fuorviante, ribadiamolo, è che disporre di uno strumento in grado di vedere i canali Rai equivalga a vederli. Ma questo è palesemente falso. E valeva, in realtà, già per gli apparecchi televisivi, dopo che sono apparsi e si sono affermati gli operatori commerciali, a cominciare da Mediaset.

Tuttavia, a causa della diffusione via etere, non era possibile monitorare ciò che i singoli spettatori stavano vedendo: perché le tv collegate non potevano essere identificate a una a una.

Nel caso degli strumenti informatici, invece, questo monitoraggio è possibile eccome. Tramite il codice che contrassegna qualsiasi pc e qualsiasi smartphone. Permettendo così di accertare se vi sia stato oppure no l’accesso a questa o a quella piattaforma.

Conclusione: il canone dovrebbe essere dovuto solo da chi fruisce effettivamente del servizio. E siccome il dato si può acquisire in via automatica, non sussiste alcun impedimento a procedere di conseguenza. Così come fanno, del resto, le pay tv.

Un servizio pubblico da ripensare

Certo: chiarito tutto questo rimane aperta la questione del finanziamento. Dando per buono che la Rai debba continuare a esistere – e che tra i suoi compiti di «servizio pubblico» rientri pure l’intrattenimento, ivi inclusi i programmi più dozzinali come i giochini a premi e gli spazi di fintissimo approfondimento giornalistico nei quali invece si sprofonda nel sensazionalismo e/o nel gossip – è indispensabile uscire dal modello attuale. Che, come abbiamo visto, è incentrato su ciò che era vero in passato ma che oggi non lo è più.

Se è realmente un canone, lo paghi solo chi utilizza davvero ciò che viene offerto. E se poi quegli introiti non dovessero bastare, si intervenga con le risorse della fiscalità generale.

L’equivoco – chiamiamolo garbatamente così – è durato fin troppo. E liberarsene potrebbe essere, tra l’altro, un incentivo a riconsiderare a fondo i criteri con cui si allestiscono i palinsesti: chi viene pagato, e quanto, e con quali finalità.

Gerardo Valentini

 

 

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