BORIS IL FILM. 2011-2021

Il salto del pesce rosso
dalla tv al grande schermo

Compie 10 anni Boris, trasposizione cinematografica della serie tv di successo

Dieci anni fa usciva nelle sale il film Boris, diretto e co-sceneggiato da Giacomo Ciarrapico, Mattia Torre e Luca Vendruscolo. Il film è la trasposizione cinematografica dell’omonima serie di successo che deve il suo nome al pesciolino rosso che il regista porta con sé su ogni set. Vogliamo ricordarlo con una descrizione dell’indimenticabile interpretazione di Francesco Pannofino nelle vesti di René Ferretti.

Francesco Pannofino, compie 63 anni il 14 novembre e dopo aver prestato la sua voce come doppiatore ad attori come Denzel Whashington, George Clooney, Kourt Russel, Jeane-Clode Van Damme è diventato noto al grande pubblico proprio grazie al personaggio del regista René Ferretti nella serie televisiva e poi nel film Boris.

La corsa festosa sul prato

Compie 10 anni Boris, trasposizione cinematografica della serie tv di successo

Il giovane papa Ratzinger che corre felice sul prato per celebrare la scoperta di un vaccino. Con questa scena proprio il giorno del pesce d’aprile del 2011 Boris, il famoso pesce rosso della omonima serie televisiva, faceva il suo primo tuffo sul grande schermo.

La scena iniziale, divenuta attualissima in questi mesi di pandemia, apre e chiude il film in un circolo vizioso senza lasciare via d’uscita a una stasi che è la stessa in cui versano da decenni le produzioni audiovisive nostrane.

Il cinema e la tv fungono da specchio al baratro culturale dell’intera società italiana. E non si è ancora trovato un «vaccino» davvero efficace per uscire da questa «epidemia» scoppiata a causa di un «virus» che prolifica in quella che ormai è diventata una società di consumi in cui l’arte viene sacrificata in nome delle necessità produttive.

Il pesce Boris, dalla sua sfera di vetro, assiste in silenzio a tutto quello che accade sul set del suo padrone, il regista René Ferretti, che si rifiuta categoricamente di girare l’ennesima scena imposta dalla rete.

Il rallenti di un giovane Ratzinger saltellante per il verde prato è la goccia che fa traboccare il vaso degli innumerevoli compromessi che il regista ha dovuto accettare per tutta la sua carriera televisiva.

Il salto di qualità di René

Francesco Pannofino

René decide di tentare il salto di qualità sul grande schermo portandosi dietro, come per ogni set, prima l’inseparabile Boris e poi a poco a poco a suo malgrado tutta la squadra di tecnici e attori della serie tv Gli occhi del cuore. Mettendo in luce il legame inestricabile con le radici televisive e dunque l’impossibilità di estraniarsi dalle tanto odiate logiche della tv.

«Chiudi gli occhi» dice il delegato di rete Lopez al regista che minaccia di andare alla concorrenza. «Adesso riaprili. Eccola la concorrenza! Non c’è concorrenza in questo paese, siamo noi la concorrenza». Ed a Renè dopo 3 mesi di fame e depressione non resta che ritornare con la coda tra le gambe: «La nostra casa è la televisione: è come la mafia, non se ne esce se non da morti».

«Se ne esce, se ne esce» gli risponde il produttore Sergio e gli mette in mano il libro d’inchiesta best seller La Casta di Rizzo & Stella per girare un film «alla gomorra». Non è un caso che gli autori Torre, Ciarrapico, Vendruscolo indichino questa come via d’uscita.

Gomorra tratto dall’omonimo libro best seller di Saviano è uno dei film che sono stati una «prova di coraggio» dei produttori italiani degli ultimi anni e che hanno avuto grandi riconoscimenti laddove se non sempre di pubblico almeno di critica.

Eccezioni, dunque, che confermano la regola a cui si attengono rigorosamente le nostre produzioni che raramente rischiano di offrire qualcosa che non rientra nei canoni precostituiti in virtù di facili guadagni al botteghino. E così Renè a colpi di «dai, dai, dai!!!» percorre questa strada accidentata fatta di attrici nevrotiche, collaboratori che lo snobbano e attori cocainomani che muoiono di overdose nel bel mezzo delle riprese. Riuscendo lo stesso con tenacia a girare finalmente le tanto ambite scene di qualità.

Alla fine però deve arrendersi per l’ultima volta al sistema produttivo che non lascia spazio a rischiose operazioni d’autore, per optare in un ben più commerciale cinepanettone: solo trasformando il suo girato in Natale con la Casta avrà i finanziamenti.

Dai, Dai, Dai!!!

Boris, il salto del pesce rosso dalla tv al grande schermo

Alla prima del film tutti si sbellicano da ridere, tutti tranne lui schifato del risultato. Ridono dei mali congeniti del Sistema Italia: ridono di ladri, ridono di tangentisti, ridono di corrotti…«I protagonisti della Casta saranno simpaticissimi bastardi italiani abbronzati e corrotti» spiega il collega Glauco che impartisce a René e agli sceneggiatori «lezioni di cinepanettone».

«Tutti personaggi che prima vedevamo con occhi critici per via delle loro malefatte adesso diventano positivi» ed aggiunge ironico «René invece voleva fare un film che scandalizzasse e indignasse…».

Al povero René fuggito dal rallenti che celebrava la scoperta del vaccino non rimane altro che tornare a girarlo riportando il film al punto di partenza: e allora a cosa è servito? Beh fa ridere certo, come fa ridere il film Natale con la Casta.

Una massiccia dose di autoironia sembra essere l’unico vaccino possibile per curare i mali di un paese in cui è più facile guardare con aria bonaria e divertita lo stato generale delle cose piuttosto che mettersi in gioco fino in fondo per cambiarle… un «eterno ritorno all’uguale», di cui è metafora la «fine/inizio» del film, sembra essere l’unica certezza.

Ma c’è poco da ridere in tutto questo e noi spettatori ce ne rendiamo perfettamente conto. È qui sta la grandezza del film.

Boris – il film analizza il dietro le quinte delle produzioni italiane riprendendo di Boris – la serie tv i personaggi e alcuni dei tormentoni che sono entrati ormai nel linguaggio comune (il già citato «dai, dai, dai!!!», «cagna maledetta», «genio») con il suo unico inimitabile indomito sarcasmo che non risparmia nessuno né chi il cinema lo fa né chi lo guarda.

Infatti Renè, nonostante da regista si sia sempre trovato costantemente in bilico tra l’aspirazione a realizzare un prodotto di qualità e il dover accontentare i gusti del pubblico, da spettatore però opta per la visione di Natale nello spazio al posto di un più impegnativo film di Ozon. Diverrà poi spettatore del suo film Natale con la Casta. Nessun fatalismo, dunque, ma una legge karmica in cui tutti sono, anzi tutti siamo, in quanto spettatori, responsabili. È il pubblico che sceglie sovrano cosa guardare determinano con le sue scelte gli script futuri.

E adesso cambiamo il finale

Il film torna all’inizio e sembra volerci dire: adesso tocca a noi cambiarne il finale.

«L’incipit del cinepanettone» conclude Glauco «potrebbe essere: l’Italia è il paese che amo qui ho le mie radici, le mie speranze, i miei orizzonti…» «Ma cosa diceva il grande Edoardo Galeani? Diceva che l’utopia è come l’orizzonte tu fai due passi avanti e quello si allontana di due passi. Fai tre passi e quello si allontana di tre passi… e allora a che cosa serve l’utopia? Serve a camminare…».

Che gli ideali utopici abbiano alimentato e seguitino ad alimentare tutt’ora gli artisti è cosa nota per questo a dieci anni dall’uscita del film noi italiani siamo ancora qui a dirci «dai, dai, dai!!!».

Angela Alizzi

 

 

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