RAGGI NON TENTERÀ LA RICONFERMA

Spelacchio emblema
di un fallimento

 

Spelacchio non arriverà a Natale, si seccherà prima, aveva sentenziato un professore di Culture arboree intervistato il 15 dicembre dal Corriere della Sera. Così quattro giorni dopo il Dipartimento Ambiente di Roma Capitale si è affrettato a certificare il decesso dell’albero di Natale di piazza Venezia, interrompendo le patetiche difese a colpi di Twitter tentati dai fans pentastellati con cinguettii del tipo «Non sono spelacchiato, ho i rami distanziati» e «Non sono brutto, sono sobrio».

Sono così partiti i necrologi-burla sulla Rete, che prendono in gran parte spunto dalle posizioni più curiose attribuite ad esponenti del Movimento Cinquestelle. Eccone alcuni: «Ma non è che #Spelacchio è vittima delle scie chimiche», «Credeva nella reincarnazione ed ora si fa chiamare Spelacchio Magique», «Je suis #Spelacchiò», «Più spoglio del contro corrente in #BancaEtruria di un risparmiatore qualunque!», «Se ne andato in silenzio. Ha rifiutato le cure palliative. Manco una flebo di clorofilla».

Più efficace di tutti resta però il Requiem per Spelacchio scritto da Massimo Gramellini per la sua rubrica «Il Caffè» sul Corriere della Sera del 20 dicembre, che va letto integralmente e del quale riportiamo la chiusa: «Spelacchio non sarà un problema, ma è un emblema. Di un modo di intendere la cosa pubblica. I cinquestelle intercettano il rancore degli italiani spelacchiati dalla crisi. Ma, avendo sogni piccoli, faticano a dargli linfa vitale, a rivestirlo con il verde della speranza».

Intanto sono stati annunciati esposti sulla congruità della spesa di quasi 50 mila euro per il trasferimento dell’albero dalla Val di Fiemme e sull’operato della società incaricata, mentre il Codacons ha chiesto l’immediata rimozione dell’albero ridotto ormai ad uno scheletro.

Nello stesso giorno in cui il Campidoglio decretava la morte di Spelacchio, Virginia Raggi dichiarava che non si ricandiderà per il secondo mandato da Sindaco, accontentandosi di riuscire a portare a termine l’attuale.

La motivazione di facciata è che la regola dei cinquestelle non consente una terza candidatura, ma è difficile considerare come «due mandati» una consiliatura da consigliere dell’opposizione e una da sindaco della Capitale. Un primo cittadino che non si ricandida per completare, con il «vero» secondo mandato, quanto ha cominciato a costruire nel corso primo, è un primo cittadino che certifica il suo fallimento.

Sulla decisione della Raggi peseranno certamente i difficili diciotto passati sullo scranno più alto del Campidoglio, caratterizzati dall’incredibile turnover degli assessori, dai guai giudiziari, dalle decisioni non prese, dalle emergenze cittadine – in primi trasporti pubblici e raccolta rifiuti – con l’infinita coda di polemiche che ne è conseguita, fino alla «figuraccia» internazionale rimediata con Spelacchio.

Vincenzo Fratta

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