SINISTRE E SANITÀ PUBBLICA

Chiedere più soldi è una logica…
da quattro soldi

A corto di argomenti, un giorno sì e l'altro pure, la sinistra lancia allarmi sulla sanità pubblica. Finge di non ricordare che le inefficienze e gli squilibri del Ssn vengono da lontano. Così come dimentica i lunghi anni passati al governo.

 

Sembra che le sinistre scoprano adesso che la Sanità pubblica italiana non funziona come dovrebbe.

La lunghezza delle liste di attesa resta il principale problema del Servizio Sanitario NazionaleUh, le liste d’attesa. Ah, le gravissime disparità di trattamento fra un territorio e l’altro. Eh, il governo Meloni che non fa abbastanza. Ovvero, che non ci mette abbastanza soldi.

Come se nelle casse dello Stato i denari abbondassero e spenderli a piene mani fosse la cosa più semplice del mondo. Per cui, se non lo fai, non può essere altro che per cattiva volontà. O per più loschi disegni.

Repubblica, alle solite, si piazza in prima fila e strombazza a pieni polmoni. Gridando alla catastrofe prossima ventura: «Sanità a rischio crac».

Il titolo campeggiava sulla prima pagina di ieri. Lo spunto, o il pretesto, è quello che viene esaltato come «L’appello di scienziati e Nobel». In modo da far pensare che a lanciarlo siano chissà quanti. Vastissime rappresentanze di quanto di meglio ci sia nel mondo della medicina e della ricerca.

La realtà è un po’ diversa. Gli appellanti sono in effetti solo 14. E l’unico premio Nobel, tra loro, è Giorgio Parisi. Di cui sono note le simpatie «a sinistra».

Uno che ad esempio, già nel 2021, si spendeva a favore del cosiddetto Campo largo: «Io penso che il M5s sia un ottimo alleato del Pd». Ottimo forse. Intermittente di sicuro.

Inefficienze e squilibri che vengono da lontano

Quanto alla Sanità, che obiettivamente tanto bene non sta, sparare a zero è facilissimo. Basta sorvolare sul fatto che i suoi squilibri, le sue inefficienze, i suoi vizi, non sono certo iniziati oggi e che non è lecito, perciò, addebitarli solo al governo in carica.

La storia di questo degrado è antica. E l’unico modo serio di occuparsene è mettere a fuoco i molti perché della situazione che si è venuta a instaurare. Giorno dopo giorno. Decennio dopo decennio. Altrimenti è solo propaganda. Di infimo ordine.

«È vero, la crisi è cominciata molto tempo fa, ma è altrettanto vero che durante il Covid, con il centrosinistra al governo e poi con l’esecutivo Draghi, era stata invertita la marcia. L’obiettivo deve rimanere una spesa al 7 per cento del Pil».

A dirlo è Beatrice Lorenzin. Che oggi è senatrice Pd ma che la sua carriera politica l’aveva cominciata nelle file di Forza Italia nell’ormai lontanissimo 1996, rimanendoci per una quindicina d’anni e rivestendo via via incarichi di alto livello. Poi, oplà, si era spostata altrove.

Un classico, quel suo «è altrettanto vero che durante il Covid», eccetera eccetera.

Se non puoi negarlo, allora lo distorci

Si prende un dato reale, ma frammentario, e lo si presenta come la prova inoppugnabile di una strategia assai più ampia. E addirittura definitiva. Peccato che il passaggio davvero cruciale sia quello che invece viene buttato lì en passant: «durante il Covid».

Già. Quale fu la vera funzione dell’incremento di spesa, all’epoca? Dare un nuovo e permanente impulso alla Sanità pubblica, in vista di un miglioramento stabile e proiettato nel futuro, o viceversa puntellare la versione ufficiale della pandemia come emergenza straordinaria e tale, quindi, da giustificare ogni tipo di intervento e di imposizione?

Togli di mezzo la distorsione e rimane la parte autentica. Quella iniziale. Il riconoscimento, doveroso, che sì, «la crisi è cominciata molto tempo fa».

Okay, le cifre. Quanto spendiamo noi, sia in importi assoluti che in ammontare pro capite e in rapporto al Pil, e quanto spendono le altre nazioni. Europee e non solo.

L’indicazione generale è che siamo lontani dagli Stati con i valori più elevati (tra cui, parecchio più avanti, Francia e Germania) e comunque al di sotto della media Ue per abitante.

Ma c’è innanzitutto una precisazione da fare. Benché in gran parte sia coperta dai fondi erariali, la spesa sanitaria complessiva ingloba anche gli esborsi sopportati direttamente dai cittadini. Motivo per cui, ad esempio, quella degli Usa è ingentissima ma per ragioni niente affatto desiderabili: ciò che ingigantisce il totale è che le singole prestazioni hanno prezzi esorbitanti, a causa del regime privato che domina il settore e che è agli antipodi della nostra assistenza universale.

La vera priorità: spendere meglio

L’obiettivo da perseguire, quindi, non è solo incrementare le risorse messe a disposizione dallo Stato ma soprattutto ottimizzare il modo in cui i soldi vengono spesi. Il che significa, tra l’altro, ripensare criticamente molte delle prassi che sono diventate usuali. Usuali e abusate.

A cominciare dalla sovrabbondanza di farmaci e dal ricorso «automatico» a una miriade di esami, prescritti in maniera non sempre indispensabile dai medici curanti.

Ecco: più che appelli altisonanti, e in odore di propaganda faziosa, servirebbero analisi dettagliate e operative su come liberarsi di qualsiasi routine che non sia pienamente giustificata.

La burocrazia ha infinite facce. E purtroppo esiste, eccome, anche una «burocrazia sanitaria». Un pantano di pessime abitudini e di comportamenti sbagliati, in cui le connivenze pubbliche e gli interessi privati si confondono per un verso e si rafforzano per l’altro.

Volete uno slogan? Prosciugare la palude. Anziché inondarla con altri fiumi di denaro pubblico.

Gerardo Valentini

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