IL CASO DELMASTRO

Il Pm propone l’archiviazione
ma il Gip rinvia a giudizio

Il sottosegretario alla Giustizia Andrea Delmastro a colloquio con il ministro Carlo Nordio

 

Il rinvio a Giudizio del sottosegretario Delmastro non arriva come un fulmine a ciel sereno dopo l‘imputazione coatta richiesta dal Gip. Tuttavia, per la tempistica rischia di essere un detonatore di crisi e fratture interne alla maggioranza.

Le frasi di Giovanni Donzelli

L'intervento alla Camera dell'on. Giovanni Donzelli che ha dato l'avvio al caso DelmastroNel suo intervento alla Camera dei Deputati del 31 gennaio 2023, Giovanni Donzelli (Fdi) elencava in Aula le frequentazioni di Alfredo Cospito sia con esponenti mafiosi — aventi come obiettivo l’abolizione del 41bis e dell’ergastolo ostativo — sia con parlamentari di sinistra — Debora Serracchiani, Walter Verini, Silvio Lai e Andrea Orlando — concludendo chiedendosi se la sinistra si schierasse con lo Stato o con i terroristi e la mafia.

Lo scalpore dell’accusa portava a numerose interrogazioni ed esposti. Il Ministro Carlo Nordio riferiva in aula, mentre Angelo Bonelli, deputato di Alleanza Verdi e Sinistra, presentava un esposto contro il sottosegretario alla Giustizia Andrea Demastro.

Intervistato lo stesso giorno, Del Mastro dichiarava di avere fornito egli stesso le informazioni a Donzelli, in quanto le carte e le relazioni di riferimento erano «a divulgazione limitata», avvero compatibili con la conoscenza di un Deputato.

Con riferimento alla denuncia di Bonelli, i Pm aprivano il relativo procedimento per poi avanzare richiesta di archiviazione. Il recente rinvio a giudizio disposto dal GUP, al contrario, comporta un necessario approfondimento del caso.

Il provvedimento contro Delmastro

Il sottosegretario alla Giustizia Andrea Delmastro. Nel riquadro l'anarchico Alfredo CospitoLa Procura aveva archiviato per mancanza dell’elemento soggettivo, ossia la consapevolezza di violare il segreto.

Il Gip Emanuela Attura aveva invece respinto la richiesta di archiviazione avanzata dalla Procura, basandosi sulla presunzione che essendo Delmastro un avvocato specializzato in diritto penale, con incarico di sottosegretario, non potesse non conoscere il significato della dicitura «a limitata divulgazione» impressa sui documenti del Dipartimento Amministrazione Penitenziaria (Dap), ovvero le relazioni del Nucleo Investigativo Centrale (Nic) e del Gruppo Operativo Mobile (Gom) sulle conversazioni di Cospito con detenuti per mafia su come arrivare all’abolizione del 41-bis.

Dette motivazioni permettono di escludere la tesi di un capovolgimento clamoroso tra Procura e Organo giudicante, sussistendo al massimo una questione sulla tempistica del provvedimento in un momento di forti tensioni tra Magistratura ed Esecutivo, e in mezzo al dibattito sulla riforma della Giustizia.

Per i Pm, infatti, gli atti erano indubbiamente secretati, ma ci sarebbe stato un errore su materia extra penale del Sottosegretario.

Questa ricostruzione della vicenda contraddiceva la tesi del Ministro Nordio e lasciava aperta la possibilità di un’imputazione.

La tesi del ministro Nordio

Per il Ministro della Giustizia, non solo la documentazione non era coperta da segreto, ma, dato che tale classificazione appartiene all’autorità che forma il documento, ossia al Ministero che dispone la qualificazione, una diversa interpretazione (come atto secretato) per via giudiziale avrebbe comportato un conflitto di attribuzioni (tra potere esecutivo e Giudiziario).

Ovviamente il Ministero non poteva dare tale attribuzione ex post, nemmeno per bocca del suo più alto rappresentante, ma il parere autorevole aveva un sicuro peso.

La dicitura «a limitata divulgazione» sarebbe per il Ministro una mera prassi amministrativa ad uso interno del Dap.

Il profilo soggettivo

Per qualificare invece l’intenzione del Sottosegretario bisogna valutare alcuni elementi.

Delmastro, dal 1° febbraio scorso, momento in cui ha dichiarato di aver comunicato il contenuto dei documenti del Dap, ha sempre rivendicato l’ostensibilità delle informazioni ai Deputati, dichiarandosi disposto a riferire le medesime informazioni, comunicate al vicepresidente del Copasir (Donzelli), ad altri Deputati.

Oltre a questo, lo stesso Donzelli, alla Camera, durante la sua invettiva, nel presentare le informazioni ricevute chiosava che le stesse erano a disposizione di qualunque Deputato. Per confutare tale assunto, Bonelli, autore dell’esposto, chiedeva di accedere alla documentazione relativa al caso Cospito, e comunicava la risposta negativa del Ministero.

In riferimento a ciò, Delmastro ha risposto, in una recente intervista, che l’accesso richiesto dal deputato dei Verdi era generalizzato e che avrebbe dovuto seguire una procedura più specifica. La richiesta, comunque, sarebbe stata riqualificata come sindacato ispettivo e il Parlamentare avrebbe avuto ciò che aveva chiesto.

Gli atteggiamenti dei due esponenti di Fratelli d’Italia sono effettivamente compatibili, sia con una supposta limitata divulgazione, differente da segreto e riservatezza degli atti, che con una scusabile o inescusabile ignoranza delle procedure di classificazione.

Riguardo la prima questione, che può anche condizionare il profilo soggettivo, la dicitura pare sia stata apposta dopo una comunicazione via mail degli atti (successiva alla spedizione materiale del plico), incompatibile con la qualifica di «atti riservati». Pertanto, anche se formalmente a limitata divulgazione, in realtà sarebbero stati sostanzialmente riservati.

Sul profilo di oggettiva riservatezza delle informazioni, ci si trova in contraddizione: da un lato il Ministro responsabile della qualificazione indica l’ostensibilità dei documenti, dall’altro Pm e Giudici, che sicuramente avranno verificato, partono da un differente presupposto.

Si sarebbe comunque propensi a credere ad una più spiccata riservatezza delle informazioni visto il contesto e i protagonisti coinvolti (mafiosi al 41bis che non possono comunicare all’esterno).

L’analisi del reato

Il reato di divulgazione di segreti d’ufficio, posto a tutela dell’Amministrazione pubblica, comprende al primo comma la rivelazione e l’agevolazione intenzionale (dolosa), al secondo la sola agevolazione colposa, al terzo la rivelazione o agevolazione aggravata dal profitto (patrimoniale o non).

Si deve innanzitutto rilevare come, nel caso di Delmastro, si tratti di rivelazione per cui non è prevista esplicitamente la forma colposa. Tale scelta può sembrare arbitraria, tuttavia la fattispecie di cui al secondo comma attiene ad un profilo specifico, ossia la mancata custodia di segreti che si sappiano tali.

Sotto un aspetto più generale, la questione del sottosegretario difficilmente potrebbe qualificare un’agevolazione colposa, avendo egli esplicitamente ammesso di aver rilevato il contenuto della relazione.

La sovrapponibilità della citazione di Donzelli rispetto all’informativa, la circostanza che il file sia stato girato via mail, e la risposta, «non lo posso escludere», a specifica domanda a Delmastro se avesse dato informazioni riservate ad altri deputati, farebbe peraltro propendere per una visione integrale del plico o del file.

Per segreto, inoltre, si dovrebbe intendere ciò che non è di dominio pubblico, mentre le informative riguardo i contatti di Alfredo Cospito col mondo mafioso, per l’abolizione del 41bis e dell’ergastolo ostativo per tutti, erano già stati rivelati da La Repubblica (in edizione cartacea) lo stesso giorno del discorso di Donzelli (e dallo stesso richiamati in quella sede).

La questione penale

La difesa di Delmastro è stata che «la limitata divulgazione riguardava i dipendenti del Dap, e che non avesse efficacia nei confronti del decisore politico».

Questa dichiarazione è problematica da diversi punti di vista. La figura di Delmastro non è scindibile tra ufficio e rappresentanza politica. In quanto membro dell’ufficio ministeriale il sottosegretario soggiaceva sicuramente alle stesse limitazioni di cui alla dicitura amministrativa impressa sul plico.

Diverso sarebbe indicare un diritto dei Deputati a conoscere alcune relazioni (che non sono ancora parte di un fascicolo di indagine). Lo stesso potere di controllo esercitato andando a visitare i detenuti in carcere (prerogativa costituzionale esercitata proprio da Debora Serracchiani, Walter Verini, Silvio Lai e Andrea Orlando), che possono riferire peraltro dei colloqui avvenuti all’esterno anche qualora visitino detenuti al 41bis, potrebbe individuare un più generale ufficio di controllo dell’applicazione delle misure carcerarie da parte dei Deputati.

I Parlamentari hanno effettivamente un potere di controllo, ma questo viene esercitato attraverso interrogazioni anche scritte, o indagini conoscitive in Commissione.

Se il Sottosegretario riteneva che qualsiasi Deputato avesse il diritto di ricevere le informazioni avute da Donzelli, questo sarebbe dovuto avvenire non in maniera informale, ma attraverso i canali canonici (ossia un accesso agli atti, una richiesta in Assemblea o Commissione).

Da questo punto di vista sembra potersi valutare un profilo di violazione per un accesso non conforme, come confermato anche dalla giurisprudenza più recente (Cass. pen. 19346/2023), con omissione della formale procedura (di cui è a conoscenza il Sottosegretario), agevolando così, in ogni caso, una conoscenza, anche giustificabile.

Tuttavia, ai fini della condanna, anche se la conoscenza di dominio pubblico di contatti in carcere tra Alfredo Cospito e detenuti mafiosi non sembrerebbe poter coprire riferimenti più puntuali e specifici, si dovrebbe comunque valutare l’interesse tutelato in gioco, ossia il pericolo effettivo per la Pubblica Amministrazione, nel caso concreto, valutando tutti gli elementi, tra cui il diritto all’informazione dei Deputati.

La questione politica

Al di là della questione penale, c’è la questione politica, ossia l’utilizzo di dati, magari non riservati, ma sensibili, di detenuti (e mafiosi) al 41bis, come accusa verso le opposizioni, da parte di esponenti in ruoli chiave e delicati (Copasir e Ministero della Giustizia).

Ciò è in contraddizione con la necessità di isolare detti detenuti, per evitare, nemmeno che possano coordinare azioni criminose, ma il pericolo emulazione (questo sembra il pericolo per Cospito, almeno).

Da un altro punto di vista, accumunare la stessa misura eccezionale per profili criminali diversi, è un esercizio che richiederebbe cautela, in quanto comporterebbe una vittimizzazione generalizzata (lo Stato repressivo), e alimenterebbe pretesti per creare sostegno proprio per i mafiosi, cioè precisamente il contrario delle finalità per cui dette misure sono nate.

Ovviamente tale discorso esula dalle parole di Donzelli (e dall’esposto contro Delmastro), per le quali un giurì d’onore (ex art. 58 Reg. Camera) presieduto dall’esponente del Movimento 5 Stelle Sergio Costa, ha escluso una lesione all’onorabilità dei parlamentari di sinistra, ma certamente la valutazione sul 41bis orienta anche la valutazione dello stesso caso Donzelli e Delmastro.

Armando Mantuano *avvocato

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