SPAGNA

Trans a 16 anni?
Madrid dà il via libera

 

Un altro colpo contro l’ordine naturale che va a segno. E che non va affatto sottovalutato.  Ci riferiamo all’approvazione in Spagna di una legge che semplifica al massimo la possibilità del cambio di sesso già a partire dai sedici anni, senza alcuna necessità né di autorizzazione da parte dei genitori, né di un percorso di approfondimento sul piano psicologico.

Il ministro spagnolo per le pari opportunità Irene Montero promotrice della legge per il cambio di sesso dei minori

Il testo prevede l’autodeterminazione di genere, con cambio di sesso e nome sui documenti, a partire dai 16 anni. Fra i 14 e i 16 con il consenso dei rappresentanti legali del minore e, fra i 12 e i 14, con un’autorizzazione giudiziaria.

Sopprime l’obbligo di diagnosi, per accreditare la disforia di genere, o i 2 anni di trattamento ormonale previsti finora.

Proibisce le terapie «di conversione» e prevede l’accesso a tecniche di riproduzione assistita nel Servizio sanitario nazionale per il collettivo Lgtb. Nella stessa seduta plenaria è passata la riforma dell’aborto.

E il tratto fondamentale, come di sicuro avrete già notato, è che su questioni così delicate e complesse si ritiene che ognuno possa decidere in totale autonomia, benché non abbia ancora raggiunto la maggiore età.

La decisione del parlamento spagnolo rischia di essere assunta/spacciata come un precedente al quale richiamarsi. Un esempio da seguire che rientra in una prospettiva ben precisa. La strategia, l’offensiva, è quella dei sostenitori della cosiddetta «teoria gender».

Stando alla quale, oplà, il sesso biologico è nulla di più che un accadimento casuale. Quasi, o senza quasi, una mera apparenza: tipo un vestito che ti è stato consegnato per errore e che ti è toccato indossare prima che ti potessi accorgere che non ti piaceva e che ne preferivi un altro. Completamente diverso.

La negazione della biologia umana

Per i paladini/fanatici del Gender, invece, ciò che conta davvero è il modo in cui ciascun individuo si sente. Ovvero, appunto, il genere nel quale ci si identifica. Maschio o femmina alla nascita, femmina o maschio (o un po’ e un po’, in base all’umore del momento e in linea con la versione «fluida») nel prosieguo dell’esistenza.

Già: ma da quando? Da quale età in poi? Da bimbi, da adolescenti, da adulti? Il più presto possibile, replicano gli oltranzisti. Ossia già da piccoli. O piccolissimi.

Spagna. Militanti delle organizzazioni Lgbt+ festeggiano davanti al ParlamentoIl presupposto, innalzato a dogma, è che la propria vera condizione psicosessuale – quella che viene definita «identità di genere» – prescinda dalla realtà fisiologica. E che perciò la si debba far emergere quanto prima. Assecondandola. Incentivandola. Addirittura promuovendola in assenza di un giudizio del diretto interessato, laddove questi non abbia la capacità di esprimersi in termini concettuali.

Il piccino non si interessa ai tipici giochi da maschietto? Alé: liberiamo la femminuccia che è in «lui» e che attende solo di sbocciare. La piccina, viceversa, si comporta in quel modo che una volta si era soliti definire «da maschiaccio»? Magnifico: coltiviamo prontamente questa attitudine e predisponiamola a svilupparsi di conseguenza.

Da futura donna a futuro uomo. O l’opposto: da futuro uomo a futura donna. Che problema c’è? Esistono gli ormoni. Esiste la chirurgia plastica. Le tette si aggiungono o si rimuovono. L’utero si disinnesca o magari si asporta. La vagina e il pene si rimodellano a piacere. O a capriccio.

Un pericolo enorme per i minori

Ora, se queste decisioni vengono assunte da degli adulti (sia pure nell’automatica e discutibile equivalenza tra età anagrafica e maturità psichica) c’è poco da fare. Anche se appare del tutto ragionevole che vi sia comunque un percorso di sostegno e di verifica, allo scopo di aiutare a comprendere se quel desiderio sia realmente fondato oppure no. Se non si tratti, al contrario, di una via di fuga dalle difficoltà che si hanno nel riconoscersi nel proprio sesso di nascita.

Adler, ad esempio, lo definiva «disturbo psicodinamico». E Jung, a sua volta, aveva ben chiaro quanto siano complessi e spesso contraddittori i percorsi della «individuazione» personale. Entrambi, comunque, sapevano a menadito che la psiche non genera solo verità limpide e inoppugnabili. Semmai, ahinoi, l’opposto.

La medesima consapevolezza, la medesima cautela, dovrebbe averla chiunque si occupi di scelte che incidono così tanto sulla vita di chi le fa, sino a determinare delle conseguenze definitive. E perciò irreversibili.

L’odio per l’ordine naturale

Quando ciò non avviene, come in questo caso, significa che si è trasformata la difesa di una determinata categoria di cittadini in un pretesto al servizio del proprio ego e della propria smania di affermarsi. Per rivalersi, magari, di qualche frustrazione che si è acquisita in precedenza.

I diritti altrui sono la facciata. La sostanza è un odio mai superato per l’ordine naturale delle cose. Un’avversione viscerale che porta a voler dimostrare che nulla deve essere in un modo prestabilito. Un’insofferenza che diventa propaganda avvelenata ai danni di chi non sia abbastanza saldo da risultare immune.

A cominciare, appunto, dai bambini e dagli adolescenti ancora in crescita.

Erica Di Santo

 

 

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