LE ELEZIONI POLITICHE IN SPAGNA

Il Pp è primo ma Vox perde.
In Italia la sinistra si fa il suo film

Elezioni politiche in Spagna. Il leader del Partito popolare Alberto Nuñez Feijóo

 

Nelle elezioni politiche di domenica in Spagna il Partito popolare di Alberto Nuñez Feijóo è il più votato e supera i socialisti del premier uscente Pedro Sánchez. Vox invece perde voti e questa basta per scatenare le sinistre italiane.

Elezioni politiche in Spagna. Il leader di Vox Santiago AbascalBrutta razza, i cacciatori di trend. Quelli che acchiappano un singolo avvenimento e ci costruiscono sopra un fenomeno di portata generale. Gonfiando il dato specifico in maniera arbitraria. Sparando titoli a effetto. Raggirando, quindi, chi sia così ingenuo-avventato-autolesionista da continuare a dargli retta.

Prendete le elezioni che si sono appena svolte in Spagna, per esempio. L’elemento oggettivo è che Vox, la formazione di estrema destra capitanata da Santiago Abascal, non solo non si è rafforzata ma ha subìto un significativo ridimensionamento: quasi tre punti percentuali in meno e il passaggio dai 51 seggi precedenti agli attuali 33.

Le analisi corrette si dovrebbero concentrare sulle ripercussioni di questo risultato nella realtà politica iberica. Alla luce, si intende, del quadro complessivo. Che è di grande incertezza e che potrebbe portare, già nel prossimo autunno, a un ritorno alle urne.

Il PP è primo ma non ha la maggioranza

Benché il Partito Popolare abbia prevalso, con un balzo in avanti che lo ha portato da 89 a 136 eletti, i Socialisti di Pedro Sanchez sono arrivati a breve distanza, acquisendo 122 deputati rispetto ai 120 del 2019.

Conseguenza: nessuno dei due partiti principali appare in grado di costituire una maggioranza di governo stabile, neanche con il sostegno delle formazioni più piccole.

A fronte di questa situazione, che riguarda appunto la Spagna, ecco invece i «trendisti» in servizio permanente effettivo. Che si precipitano a collegarla alle Europee del 2024 e, più in particolare, alla temutissima possibilità che il Ppe si allei con i Conservatori.

Il quotidiano La Repubblica (nella faziosissima versione diretta da Maurizio Molinari, bisognerebbe sempre aggiungere…) salta alle conclusioni e nell’edizione di ieri titola, tra l’altro, in questo modo: La maggioranza Ursula tira un sospiro di sollievo «Estremisti ai margini».

A seguire, nel cosiddetto catenaccio, il concetto viene prontamente ribadito/strombazzato: Clima da scampato pericolo all’ombra della Commissione. Il voto di Madrid spacca il Ppe e indebolisce la linea dell’ala Weber, quella che punta a un’alleanza con le destre nelle Elezioni europee 2024.

Voilà: da cacciatori di trend a spacciatori di tendenze fittizie. Travestendo i desideri personali da cambiamenti ormai acquisiti. O quantomeno alle viste.

Scienziati dell’ovvio, imbonitori da circo

Ve lo ricordate? Appena due mesi fa, dopo l’ennesimo tracollo nelle Amministrative, i filo Pd si appellarono alla loro «spiegazione» preferita: l’Ineluttabile.

Il mondo va così, va cosà, i populisti impazzano, i reazionari sono tornati ad alzare la testa e (ahimè) l’elettorato abbocca: non li capisce più, gli eredi di Prodi & Veltroni. Non li comprende. Non li apprezza.

Non sono mica loro ad aver accumulato una miriade di scelte capziose che li hanno ridotti alla parodia di sé stessi. Vedi anche, ma non solo, la baracconata dei gazebo che trasforma il passante in militante. Dammi due euro, compagno, e vota pure tu. Ah, non sei iscritto? Oh no, non c’è problema.

Mica sono loro che a forza di appiattirsi sui diktat della Commissione Ue hanno perso qualsiasi credibilità come difensori degli interessi popolari e che, perciò, vengono puntualmente puniti dagli elettori.

Macché: la causa delle loro ripetute sconfitte è nelle imperscrutabili correnti della Storia. Che quando si muovono si muovono. Quando imperversano imperversano.

«Il voto – affermò sconsolata a fine maggio la mancata eroina Elly Schlein – conferma che soffia ancora un vento di destra.»

Ma quella, ci mancherebbe, era la puntata precedente. Quella nuova, oplà, rigira la frittata (la tortilla…) e sforna la tesi opposta.

Siccome Vox ha perso, «L’onda nera si può fermare». E già che c’è, o magari «finché c’è», Bonaccini permettendo, la pur traballante segretaria del Partito Democratico ci dà dentro: «I risultati delle elezioni premiano il coraggio di Pedro Sanchez e della sua squadra e ribaltano un esito che sembrava già scritto. I veri sconfitti da un verdetto implacabile sono i nazionalisti di estrema destra di Vox».

Dopo di che, vai con il gran finale. O con l’ampliamento del ritornello: «È la dimostrazione che l’onda nera si può fermare quando non si punta ad alimentare le paure ma a risolvere i problemi concreti delle persone».

Insomma: il vento di destra soffia ancora, ma l’onda nera si può bloccare.

I cacciatori di trend sono fatti così. Saltabeccano dal Molise alla Spagna. E se sbagliano, pazienza. Tanto, c’è sempre un altro frammento in arrivo, su cui imbastire la prossima teoria altisonante e sballata.

Gerardo Valentini

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