LA FUGA DAL CARCERE DI FAVIGNANA

Riportati in cella
i tre criminali

 

Sono stati acciuffati e riportati in cella. Tre pericolosi criminali – uno è un ergastolano – segando le sbarre erano riusciti a fuggire dal carcere di massima sicurezza di Favignana. I Carabinieri li hanno notati armeggiare attorno ad un’imbarcazione e li hanno bloccati. Si erano dileguati e per cinque giorni erano riusciti a far perdere le loro tracce.

I tre evasi: Adriano Avolese, ergastolano dal lungo curriculum criminale, Massimo Mangione e Giuseppe Scardino, efferati rapinatori, sono stati rintracciati tra gli scogli della spiaggia di Punta Longa a Favignana. Alla vista dei Carabinieri si sono buttati in acqua. I militari li hanno inseguiti e hanno bloccato Avolese e Scardino. Mangione è stato arrestato dai militi dell’Arma assieme alla Polizia Penitenziaria nella campagna circostante. E’ iniziata subito dopo la ricerca del covo e dei fiancheggiatori.

I tre si erano calati dalle mura di cinta del carcere nel più classico dei modi: annodando le loro lenzuola. Avevano legato e imbavagliato un loro compagno di cella per non permettergli di dare l’allarme. Una evasione da manuale, anzi da film. I tre erano riusciti ad eludere il sistema di videosorveglianza della Casa Circondariale, che si è scoperto pieno di falle. Neppure le telecamere private e pubbliche della zona erano riuscite a riprendere la fuga. Tanto che molti pensavano che gli evasi fossero già lontani.

La vicenda, fortunatamente a lieto fine, riporta alla luce la necessità di una riforma radicale del sistema giudiziario italiano. Una controriforma, oserei dire. Infatti da circa venticinque anni abbiamo assistito ad un susseguirsi di provvedimenti legislativi che hanno alterato e sfibrato l’incisività dell’azione penale. La certezza della pena quale deterrente.

L’organico delle Forze dell’Ordine sempre più carente e con agenti sempre più anziani. Una procedura penale borbonica, piena di cavilli a garanzia per il carnefice. Una Giustizia che sembra, sempre di più, infischiarsene delle vittime preoccupandosi della tutela dei diritti dei colpevoli. Prescrizioni sempre più brevi hanno portato all’aborto di circa il 135.000 processi all’anno oltre il 9%, più di 80.000 procedimenti non vedono nemmeno la luce prescrivendosi in fase di indagini preliminari. Le intercettazioni telefoniche ci costano 250 milioni di euro all’anno e quindi ogni governo tenta, anche per motivi economici, di arginarle. Invece si potrebbe fare un semplice emendamento o una leggina di un solo articolo per risolvere la questione: «le intercettazioni devono essere fornite gratuitamente dalle compagnie telefoniche». E a chi obiettasse che non si può costringere un’azienda a fornire un servizio gratuito, basterebbe ricordare che queste aziende, quelle che si occupano di telefonia, lavorano su concessione governativa, quindi sono soggette a regole diverse e possono essere assoggettate ad imposizioni contrattualmente.

Così e solo così si potrebbe tentare di arginare il fenomeno malavitoso, terroristico e criminale in genere. Una guerra va condotta con l’intento di vincerla e queste modifiche potrebbero rappresentare l’inizio di una nuova era. Le elezioni sono alle porte, il popolo vuole sicurezza. Così si ha una chance di dargliela veramente.

Lino Rialti

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