MAGISTRATURA ED EMERGENZA MIGRANTI

Il giudiziario che sovrasta
gli altri poteri dello stato

La magistratura militante ancora a gamba tesa sull'immigrazione. Nella foto: estate a Lampedusa

 

Si riaccende lo scontro tra magistratura e politica. Mentre il governo italiano è impegnato in una delicata partita in Europa per una gestione condivisa del fenomeno dell’immigrazione di massa che preme dall’Africa, i giudici di Catania e Firenze disapplicano le norme recentemente varate.

La dott.ssa Iolanda Apostolico del Tribunale di Palermo alla manifestazione dei Centri sociali contro il trattenimento della nave Diciotti. In prima fila la dott.ssa Iolanda Apostolico del Tribunale di Catania e i dottori Massimiliano Sturiale e Luca Minniti del Tribunale di Firenze, che hanno accolto i ricorsi di alcuni migranti sul trattenimento alla frontiera e la procedura derogatoria per i migranti provenienti da paesi considerati sicuri.

Il contrasto si è fatto aspro, si è parlato di decisioni politiche, si sono valutate le inclinazioni ideologiche degli estensori, si è criticato l’uso strumentale della propria posizione di governo per «dossierare gli oppositori».

Lo straripamento del potere giudiziario

Com’è noto il sistema politico italiano è organizzato secondo il principio della separazione dei poteri: il potere legislativo è attribuito al Parlamento, al governo spetta il potere esecutivo, mentre la magistratura, indipendente dall’esecutivo e dal potere legislativo, esercita il potere giudiziario.L’invasione di campo è sempre dietro l’angolo, soprattutto considerando che la stessa Consulta esprime il suo potere di controllo costituzionale, aggiungendo paragrafi alle leggi e introducendo surrettiziamente previsioni legislative.

Dalla famosa sentenza tagliata per l’imputato Cappato (sull’assistenza al suicidio di Dj Fabo), passando per la cosiddetta stepchild adoption, si è passati alla recentissima decisione su misura per il caso Regeni: in caso di tortura, si potrà procedere ad un procedimento penale non in contumacia, ma anche qualora la mancata conoscenza del processo sia dipesa dalla mancata collaborazione dello Stato di cittadinanza dell’imputato.

Intendiamoci, non è il merito della questione in discussione, ogni italiano vuole che sia fatta giustizia sul caso Regeni (magari approfondendo anche il presunto ruolo svolto dall’intelligence britannica), ma è, appunto, questione di separazione dei poteri.

Se il Parlamento, e quindi la società (anche per l’eterogeneità dei governi succedutesi), non intende pronunciarsi, il potere giudiziario non può sostituirvisi, pena un «governo dei togati», una nuova oligarchia, che, per quanto composta da persone autorevoli, è comunque contraria al senso democratico che dovremmo difendere.

Com’è noto il sistema politico italiano è organizzato secondo il principio della separazione dei poteri: il potere legislativo è attribuito al Parlamento, al governo spetta il potere esecutivo, mentre la magistratura, indipendente dall’esecutivo e dal potere legislativo, esercita il potere giudiziario.

La pretesa di rappresentare la società civile

Pur essendo i giudici custodi dei valori costituzionali, sono essi stessi sottoposti alle leggi che devono applicare e non possono derogare a piacimento quelle espresse da un Governo, verso cui non sono evidentemente bendisposti.

Che il profilo Facebook del Giudice Apostolico fosse una bacheca di raccolta firme, e di rilancio di alcune manifestazioni, contro le decisioni del Governo in cui era Ministro dell’Interno Salvini, era cosa nota fin dalla pubblicazione del decreto del 29 settembre 2023.

Gli stessi giornali che magnificavano la decisione ci tenevano a evidenziare come il Magistrato non fosse assolutamente schierato politicamente, a livello di correnti giudiziarie, facendo notare incidentalmente le prese di posizione nella bacheca social, tra cui il seguire la pagina di potere al popolo, partito politico espressione dei centri sociali.

Il video che la ritrae proprio ad una manifestazione degli stessi (i toni anti forze dell’ordine sono inconfondibili) sul caso nave Diciotti, è sicuramente un di più. La difesa d’ufficio del Magistrato si è concentrata sul dossieraggio e sulla funzione «deterrente» del Giudice in una manifestazione per lo più di «cattolici».

Per inciso, si trovano facilmente video delle stesse forze dell’ordine su quella manifestazione, poliziotti che ovviamente utilizzano i social come forma di difesa, e:

  • si vedono per lo più bandiere dei sindacati di base e di potere al popolo (altro che estrazione cattolica);
  • gli scontri, anche violenti, ci sono stati, anche successivamente (o contestualmente visto lo stesso tramonto), alla presenza del Magistrato;
  • l’essersi schierata apertamente a favore della manifestazione, l’essersi disposta di fronte alle forze di polizia, aver reso manifesta la sua funzione pubblica (o non si capisce come avrebbe evitato scontri, non avendo alcuna capacità fisica per porsi come deterrente), fa presumere che la sua funzione fosse quella di monitorare la reazione e il contenimento della polizia, suscitando naturale intimidazione in questa (come fanno di solito gli esponenti politici nei cortei).

Il provvedimento giurisdizionale di Catania

Nel deplorare comunque i toni dello scontro, in una congiuntura esiziale per la credibilità internazionale del nostro Governo e per una maggiore cooperazione su un fonte in cui siamo sempre rimasti isolati, si devono comunque esaminare più da vicino i provvedimenti richiamati.

Il provvedimento del Giudice Apostoilico (qui il decreto integrale), a prima vista, sembra riconoscere la lampante contraddittorietà dei decreti del governo rispetto alle Direttive comunitarie.

La discriminazione per censo dei richiedenti asilo sembra suggestiva, e sembra rispondere un po’ agli slogan giornalistici che si sono succeduti negli ultimi giorni.

Il caso è di un richiedente asilo di nazionalità tunisina, che non aveva consegnato il passaporto o un documento equipollente, non aveva prestato la garanzia prevista dall’ultimo decreto governativo e già in passato era stato attinto da un provvedimento di espulsione.

Il Giudice deduceva che il trattenimento fosse stato determinato dal semplice presupposto che il richiedente non poteva provvedere alle proprie necessità. Più nello specifico la somma prevista come garanzia si sarebbe configurata come requisito amministrativo preliminare all’esame della sua condizione.

Il richiamo al diritto internazionale per disapplicare il decreto del governo, non potendo il giudice di merito dichiarare incostituzionale tale norma (come sembra voler fare il Giudice Apostolico alla fine della sua parte motiva), è interamente rivolto alla Direttiva 2013/33 Ue.

Si sarebbe portati a pensare, che si sia in presenza di un caso di sovranismo polemico con le direttive dell’Unione Europea. Ma si sbaglierebbe.

La Direttiva europea sull’immigrazione

È proprio questa la Direttiva Europea a cui si ispirano gli ultimi decreti del governo. Nessun governo italiano prima vi aveva dato applicazione, sia per quanto riguarda la procedura di frontiera che riguardo le modalità di trattenimento al solo scopo di accertare il diritto di entrare nel territorio dello Stato, giustificate dalla mancata consegna di un passaporto o di un documento equipollente, e dal non prestare idonea garanzia (art. 6 bis D.lgs 142/2015).

Sembra, quindi, che non si possa certamente disapplicare il decreto sulla base della Direttiva, che prevede appunto il deposito di una somma, a garanzia, che permetta di coprire i costi di una procedura (e di un trattenimento) presumibilmente sfavorevole al richiedente.

In realtà, la previsione della garanzia, ispirato al principio di efficienza della misura (mirante ad evitare che il prestatore, che versa in prima persona, si sottragga al controllo statale) essendo modalità alternativa (Dir Ue 33/2013, art. 8 par. 4, oltre al presentarsi periodicamente all’autorità o dimorare in un luogo prestabilito), fa ritenere il trattenimento l’extrema ratio, per soggetti che, peraltro, pagano i trafficanti anche € 10.000.

Si ripete, qui non si valuta il provvedimento politicamente, ma la sua possibile disapplicazione giuridica.

Il provvedimento del Tribunale di Firenze

Per quanto riguarda invece il provvedimento del Tribunale di Firenze, decreto del 20.09.2023 (qui, per esteso), si devono fare ulteriori considerazioni.

La questione è riferita al sistema procedurale riguardo la richiesta di protezione internazionale che subisce alcune deroghe qualora il richiedente sia cittadino di un paese considerato sicuro, secondo una lista predisposta in base ad un’accurata istruttoria amministrativa.

Il Giudice, pur premetendo che l’apprezzamento sulla sicurezza di un paese è «molto complesso e di conseguenza il sindacato del giudice, essendo pur sempre un sindacato di legalità e non di merito amministrativo, è limitato al riscontro della violazione delle regole procedurali», si spinge anche nella valutazione delle sopravvenienze di fatto.

A tal fine si analizza la situazione del governo tunisino negli ultimi mesi, linkando sia le analisi di alcune ong (tipo amnesty o freedomhouse) che alcune raccomandazioni di alcuni organi europei al fine di impedire una deriva antidemocratica nel paese.

L’esito, in base a tale ricerca on line, sarà poi quello di disapplicare la norma derogatoria derivante dal provenire da un paese sicuro.

Un focus sulla Tunisia

Ci sono due obiezioni di coerenza da fare:

  • se i fatti nuovi possono portare ad una revisione, la loro valutazione deve essere sempre demandata all’autorità amministrativa, pena un travalicamento dei poteri (eventualità pur teoricamente esclusa dal provvedimento). Evidentemente ogni fatto successivo alla compilazione della lista (peraltro molto recente) può ritenersi nuovo rispetto a questa;
  • i fatti portati a fondamento, non sono in realtà una vera e propria degenerazione apprezzabile, ma più il procrastinare interventi sollecitati dalle autorità internazionali. I motivi, peraltro, di tale attesa-stallo sono anche noti, ossia la condizionalità dei prestiti necessari del Fondo Monetario Internazionale (Fmi), che il Presidente Saied non suole accettare perché prevedono tagli draconiani a sussidi e stipendi.

In questo senso la cooperazione internazionale potrebbe avere una parte molto rilevante nel determinare il futuro di quel paese, venuto fuori con l’economia a pezzi dopo l’unica «primavera araba» di «successo».

Gli stessi incontri sollecitati dal Ministro Tajani, e il recentissimo Memorandum del 16 luglio 2023, di intesa tra Ue e Tunisia, proprio in materia di migranti, non possono essere liquidati in secondo piano rispetto alle domande, ad esempio, del mediatore europeo.

Ci sono quindi buone ragioni per impugnare il provvedimento del Tribunale di Catania (l’impugnazione sembra esclusa per quello di Firenze), ma anche per criticare legittimamente l’operato dei Giudici. Ovviamente anche il Governo può e deve essere criticato, ma sul piano politico.

Armando Mantuano *avvocato

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