MILANO

Giocando con la morte
sui binari del treno

 

Cosa può spingere un adolescente a sdraiarsi sui binari e sfidare la morte? Questa volta è andata male ad un quindicenne di Parabiago, alle porte di Milano, è morto sul colpo dopo essere stato travolto martedì 20 novembre dal treno Milano-Domodossola.

Sembra si fosse sdraiato sulla strada ferrata per una sfida. Le indagini sono condotte dalla Polfer e sembrano lasciare pochi dubbi sulla dinamica. La Polizia Ferroviaria sta escutendo i testimoni. Il fascicolo è stato aperto presso la Procura della Repubblica di Busto Arsizio, competente per territorio. Il Procuratore della Repubblica Gianluigi Fontana coordina le indagini.

Si sarebbe trattato di un gioco finito male, con annessa una scommessa poi pagata tragicamente. Il fatto è avvenuto nei pressi della stazione ferroviaria di Parabiago dove il ragazzo, di origini marocchine, è stato visto dapprima attendere l’annuncio del treno in arrivo e poi distendersi sui binari. Il ragazzo è stato travolto dal treno in corsa sotto gli occhi di un amico rimasto impietrito. L’amichetto, un tredicenne, è stato ricoverato in stato di shock all’Ospedale di Legnano.

Sin qui la cronaca raccapricciante della fine di una vita troppo giovane per essere spezzata, in questo stupido quanto terribile modo. Quali sono le dinamiche mentali che portano questi adolescenti a voler rischiare tutto? Se poi si pensa alla ricompensa, di solito un selfie da postare sui social sul quale attendere like e condivisioni, allora il problema appare in tutta la sua gravità.

Sono all’ordine del giorno incidenti tragici di ragazzini che si arrampicano sul pennone di un grattacielo o in cima ad una gru o attraversano autostrade, zigzagando nel traffico, che nel frattempo impazzisce per evitarli. Ma sono tantissimi, sulla rete, i video di ragazzi, più o meno giovani, che riprendono coetanei intenti in questi gesti. I commenti sono quasi sempre di approvazione, di glorificazione. Più ci si pericola spavaldamente più si è apprezzati. Sembra si tratti proprio di una moda quella dei cosiddetti selfie estremi.

Psichiatri, sociologi, psicologi hanno provato a spiegare quali siano le motivazioni che spingono soprattutto i giovani ad aderire a questa moda. Per assurdo, questi ragazzi sembra non abbiano paura di pericolarsi ma che per loro sia terribilmente insostenibile la paura di annoiarsi. La paura della noia è, insomma, più grande della paura di perdere la vita. C’è poi da prendere in esame l’importanza di una nuova forma dell’io. L’ego adolescenziale contemporaneo è forte se socialmente riconosciuto. Se non sei «social» non esisti. La piazza virtuale, quella della rete è l’unica che conti e quindi i like e le condivisioni, con i relativi commenti, sono benzina sul fuoco delle spavalderie. Qualcuno si sofferma a riflettere sulla assenza di tutori che insegnino ad usare correttamente i social, ma questo sembra un discorso molto debole. La rete è, semplicemente, creata da chi la frequenta e quindi non avrebbe senso suggerire o imporre modi e metodi. Non verrebbero ascoltati i suggerimenti o peggio verrebbero aggirate le imposizioni.

Invece si può trovare una similitudine nello spirito di emulazione di chi sembra abbia maggiore successo. Fatto sempre esistito fra i più giovani, ancora alla ricerca dell’essenza del proprio io, ancora in formazione e per questo più o meno saturo di incertezza e della conseguente insicurezza.

Tra i giovani di oggi sembra essere molto importante il concetto di fama. L’essere famosi è lo scopo e non la conseguenza. La notorietà viene vista solo negli aspetti positivi e spesso legata al denaro. Si è perso, da qualche parte, il principio che la fama da apprezzare debba derivare da fatti o eventi positivi, oppure a seguito di sacrifici altruistici, quantomeno magari conseguente ad una vita passata degnamente.

Forse il benessere, nel quale pervadiamo le nostre giovani generazioni, ha fatto perdere loro uno stimolo importante. Non si nota più la foglia di perseverare, di occuparsi a fondo di qualche cosa. I nostri giovani sembrano attratti, come in un luna park, da mille luci e mille suoni che ne attraggono continuamente l’attenzione facendo perdere ripetutamente la concentrazione. Sembra resti loro molto difficile concentrarsi e dedicarsi ad uno sport o ad una pratica che richieda tempo e ripetitività.

Forse per loro, nativi digitali, è naturale essere «viziati» da stimoli continui e trovare noiose tutte le pratiche ripetitive che invece sono alla base della pace interiore. Da qui l’estrema irrequietezza.

Comunque la si ponga, la questione è complessa. Infatti nessuna di queste motivazioni consente di comprendere in toto l’immensa complessità delle motivazioni che portano i nostri giovani a mettere in pericolo la vita per il famigerato selfie. Ma cosa passa per la testa di questi ragazzi mentre aspettano il treno distesi sui binari?

Sembrano inebriati, esaltati, o forse, come diceva Winston Churchill, «Niente è più emozionante nella vita che vedersi sparare addosso e non essere colpiti».

Ma forse, nella maggior parte dei casi è semplicemente la necessità di emergere. La pulsione forte di apparire per non sparire, anche a rischio di scomparire.

Si può solo sperare che questa moda passi. Che venga presto dimenticata. Ma prima ci dovrà necessariamente essere un cambio epocale. Dovremo restituire ai nostri giovani la voglia di vivere. Quella voglia che abbiamo tolto loro, egoisticamente, precludendogli un futuro migliore.

Lino Rialti

Nella foto sopra: il dolore dei familiari del ragazzo morto sui binari

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