VIOLENZA SULLE DONNE

Quelle vittime
troppo spesso colpevolizzate

Le donne vittime di violenza troppo spesso colpevolizzate

 

Non c’è niente di peggio per le donne vittime di violenza che subire un processo alle intenzioni. In gergo giuridico il suo assoggettamento ad ulteriore stress viene definito «vittimizzazione secondaria».

Non c'è niente di peggio per le donne vittime di violenza che subire un processo alle intenzioniLa riforma Cartabia del diritto di famiglia e anche del penale ha insistito su questo tema cercando in tutti i modi di svolgere procedimenti tutelanti la presunta vittima.

Ciò nel convincimento che la richiesta di giustizia non si può tramutare in un’altra violenza, vera ragione delle mancate e tempestive denunce che potrebbero prevenire i tristi epiloghi che contiamo ogni anno.

Ovviamente tale esigenza va contemperata con la tutela di un imputato e la sua presunzione di innocenza, senza che un principio di precauzione conduca a esiti preordinati. C’è poi da sottolineare come, anche se statisticamente rilevanti e omogenei in quanto a fattispecie violata, ci sia una differenza qualitativa tra stupri e violenze sessuali consistite in apprezzamenti e palpeggiamenti volgari.

La «colpa» dell’intervista

Poste queste premesse non si può non notare un’anomalia in alcune prese di posizione della Giudice della sezione penale deputata alla violenza sulle donne Maria Bonaventura. Incaricata di esaminare alcuni casi, si è spinta fino a condurre un interrogatorio in aula e non in forma protetta, accogliendo l’eccezione della difesa dell’imputato che aveva indicato che la vittima, avendo rilasciato un’intervista ad un quotidiano, non avrebbe avuto problemi.

La Giudice, nonostante inizialmente avesse accordato la modalità più tutelante per l’interrogatorio, dopo lo scoop della difesa dell’imputato avrebbe reagito inveendo così: «è inaccettabile (l’aver rilasciato un’intervista), va bene!».

La ragazza di 19 anni è stata in aula 5 ore per l’interrogatorio, con una sola pausa per un bicchiere d’acqua, incrociandosi con il suo presunto carnefice mentre riportava alla memoria i fatti traumatici di cui sarebbe stata vittima: violenza sessuale di gruppo ripetuta, quando era sotto effetto di stupefacenti e non aveva ancora compiuto 17 anni.

La sentenza della «palpeggiatina»

Lo stesso giudice è stato poi protagonista della famigerata sentenza della «palpeggiatina», interpretata, forse troppo frettolosamente, come una depenalizzazione della mano morta entro i dieci secondi.

Le modalità della violenza (addirittura mettendo le mani dentro gli slip di una ragazzina a scuola) non sono contestate, viene anche escluso che solo l’elemento scherzoso (presunto dall’imputato) possa portare all’assoluzione allorquando ci sono intrusioni nella sfera intima della vittima (condotta accertata in premessa).

Eppure, il fatto che poi si sia scusato, e addirittura abbia dato delle testate su un bancone di un bar cercando di spingere la ragazzina a non denunciare, portando ancora più agitazione nella vittima che è stata poi scortata dal padre per un lungo periodo a scuola, sono bastate per ritenere anche gli apprezzamenti dell’imputato verso la vittima (sicuramente sproporzionati, «mi risposerei con te», «amore», eccetera), come «modalità scherzosa». La sentenza (qui il testo integrale) è stata impugnata anche dal Pm del procedimento.

Una vittima sovrappeso

Sembra ancora più anomala una sentenza dello stesso Magistrato, che giustifica l’atteggiamento prevaricatore del datore di lavoro, noi solo perché lo stesso viene definito un giocherellone, ma perché sarebbe addirittura la vittima ad aver percepito negativamente l’atteggiamento dello stesso, a causa del complesso fisico causato dal sovrappeso.

Non c’è dubbio che un tale esito non possa che essere percepito come degradante dalla presunta vittima sottoposta peraltro all’ulteriore stress di vedere rafforzato il fronte di colleghi solidali con il loro principale. Tali dinamiche porteranno ovviamente altre donne ad occultare episodi analoghi, proprio in un contesto come quello lavorativo dove sono più congeniali abusi di potere e atteggiamenti omertosi e conniventi.

Il vittimismo strumentale

A meno di non voler evidenziare a tutti i costi una superiorità morale verso sentenze complicate, da definire riduttivamente retrograde, si impone un atteggiamento riflessivo che riconosca gli stimoli che hanno condotto ad un esito così originale.

Probabilmente l’intento del Giudicante è stato quello di prevenire un fenomeno, forse troppo taciuto, eppure almeno potenzialmente attuabile, ossia la strumentazione della qualità di vittima al fine di ottenere vantaggi sia economici che sociali, anche contro altre persone.

Il convitato di pietra di ogni riflessione sull’argomento è infatti l’occulto pensiero che la presunta vittima voglia provare a ottenere più vantaggi possibili dopo un’iniziale connivenza col presunto carnefice.

Cercare di distinguere questo fenomeno da una vera e propria violenza in contesti di potere e di sistema di potere basato su concessioni, è poi estremamente difficile.

Caso emblematico, a mio avviso, la denuncia di Asia Argento rivolta al produttore Harvey Weinstein. Le accuse piovute sull’attrice di voler farsi pubblicità, per aver seguito, con la sua, altre denunce di altre attrici, non coglie un elemento fondamentale: l’effetto specchio che permette di non sentire la vergogna individuale per un fatto così intimo, collegandosi a catena con le altre vittime.

Una assoluzione da impugnare

Se spesso lo scherzo può rappresentare il pretesto per la violazione della sfera intima di una persona, in determinati contesti (lavorativo, scolastico), quando viene perpetrato da attori con una posizione di garanzia rispetto alla vittima, oppure gerarchicamente sovraordinati, comporta un condizionamento maggiore, portando la vittima a sentirsi «complessata» se non asseconda il clima giocoso.

Ci vorrà quindi una maggiore forza delle vittime di violenza per resistere a tali assalti predatori, che, in fondo, non sono altro che l’esaltazione del proprio potere fino ad annullare l’individualità più riservata di un soggetto.

In base a quanto considerato fino a ora è giusto che ognuno si faccia un’idea personale, non tanto dell’esito, quanto delle motivazioni della sentenza di assoluzione del dirigente accusato di molestare sessualmente la propria dipendente.

Ecco di seguito, premettendo che sia la difesa della parte civile che il Pm hanno impugnato, proprio due giorni fa, il dispositivo della sentenza: «Non si può escludere che la parte lesa probabilmente mossa dai complessi di natura psicologica (segnatamente il peso) abbia rivisitato inconsciamente l’atteggiamento dell’imputato nei suoi confronti fino al punto di ritenersi aggredita fisicamente».

Armando Mantuano *avvocato

Lascia un commento