SANITÀ
Tra denunce
e medicina difensiva

La lettera di un medico inviata al Corriere della Sera con il titolo «Io denunciato ingiustamente» dopo essere stata condivisa e diffusa tramite Facebook, sta raccogliendo decine di like. Ne riportiamo di seguito uno stralcio: «Sono un medico di 57 anni, ed ho sempre creduto nella sanità pubblica, e continuo a credere che il nostro compito sia assistere, curare e, laddove possibile, salvare la vita dei pazienti. Non ci sono gratificazioni economiche o professionali che possano paragonarsi al salvare la vita di un altro essere umano. La consapevolezza di aver fatto il proprio dovere, di averlo fatto bene e di aver ottenuto il risultato sperato, dà un senso a tutte le difficoltà che ci troviamo ad affrontare.

Il problema è che non sempre le terapie vanno a buon fine, non sempre si riesce a salvare il paziente. È sempre stato così e sempre così sarà, purtroppo: qualsiasi atto chirurgico ha insito un tasso di complicanze inevitabili e imprevedibili che giorno dopo giorno stiamo cercando, con controlli incrociati, check-list, risk management, di ridurre. Ma esisteranno sempre. Non a caso in chirurgia vige il detto: ‘L’unico intervento senza complicanze è quello non fatto’.

Il nostro lavoro ad oggi prevede dei protocolli ben definiti, le linee guida, che delimitano la good practice. Il problema è che cercare di fare il lavoro al meglio delle proprie possibilità, seguire le linee guida e adottare procedure in esse previste, non sempre ci mette al riparo da contenziosi, litigi, fino ad arrivare a denunce civili e/o penali. La maggior parte dei medici è sottoposto a procedimenti giudiziari.

Giunto in sala operatoria per operare una paziente che proveniva dal pronto soccorso, in condizioni critiche, ho cercato di salvarla, ma non ci sono riuscito. E per questo sono sottoposto a procedimento penale, per omicidio colposo! Ecco, anche questa secondo me è malasanità».

Questo brano riassume bene il profondo dolore che un operatore sanitario affronta quando pur avendo dato fondo a tutte le sue forze, attenendosi scrupolosamente a linee guida, vede recapitarsi una denuncia tale, al pari di un criminale, fermo restando che chi ha compiuto deliberatamente atti criminosi stia già pagando con il carcere.

Imperizia, negligenza e l’impossibilità di dimostrare di aver chiesto al paziente il consenso informato sono gli elementi che, stando alle norme italiane, portano alla condanna di un medico.

I casi di denunce a carico dei medici sono aumentati, e nell’80 per cento dei casi si arriva all’assoluzione, ma bisogna affrontare un percorso estenuante che potrebbe anche durare quattro, cinque anni. E il risultato è che sono diminuite le domande di iscrizione a specialità come chirurgia e ostetricia. Per queste specializzazioni bisogna pagare polizze da 15 mila, 16 mila euro all’anno, che appaiono cifre folli. Senza la definizione univoca di «atto medico» e un intervento legislativo che preveda la depenalizzazione completa di questo, in Italia non si potrà mai avviare un processo di civiltà nell’ambito medico.

Gli unici paesi dove c’è la responsabilità penale per l’atto medico sono Polonia, Messico e Italia, ed ora che si intervenga anche in sede europea per uniformare la giurisprudenza in tale senso.

È ora che l’Italia distingua la colpa medica dall’omicidio colposo, come fanno quasi tutti gli altri paesi.

Spesso la denuncia è solo un escamotage per accorciare il processo civile. Perché in sede penale il processo è più rapido e poi può essere usato nel civile, per ricevere gli indennizzi.

Negli ultimi anni, invece, le cause civili si sono stabilizzate. Gli errori sanitari denunciati alle assicurazioni sono diminuiti, ma allo stesso tempo i costi continuano a salire. Quello medio per sinistro è passato da 40 mila euro a 66 mila. In altri paesi non si va nemmeno in tribunale, ma viene automaticamente fissato un indennizzo per il paziente che ha subìto danni.

L’entità dei risarcimenti continua a salire e così anche i costi per la sanità pubblica della cosiddetta «medicina difensiva» e la cifra oscilla fra i 10 e i 14 miliardi di euro all’anno. Ovviamente i costi lievitano e le liste di attesa si allungano a scapito della salute dei pazienti e dei conti pubblici.

Per quanto riguarda il penale, il legislatore dovrebbe introdurre il concetto di «colpa medica». Per quanto riguarda i risarcimenti, potrebbe accollarseli lo Stato, come fa la Danimarca. Il modello è definito No-blame: Il medico non paga assicurazioni, ed è tutto a carico dello Stato. Ciò ovviamente consente di risparmiare sui costi della medicina difensiva.

In ballo c’è il concetto di responsabilità del medico. Una professione delicata quanto quella dei magistrati (gli unici, in Italia, a non avere responsabilità civile diretta). Quello che bisognerebbe chiedersi è se per la tutela della salute non valga lo stesso concetto della giustizia. Se un medico ha paura, se evita operazioni difficili, se fa esami inutili prima di intervenire, a chi giova?

Uno stato civile dovrebbe riflettere attentamente sulla tutela del medico, visto che egli tutela la salute altrui lottando contro tutti i tagli cui il sistema è continuamente sottoposto e voluti dal governo!

Gaetano Di Terlizzi

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