LA CALAMITA DEL CALCIO IN ARABIA

Lo showbiz
della Saudi Football League

Anche Milinkovic-Savic allo showbiz della Saudi Football League

 

Milinkovic-Savic lascia la Lazio. Ma dove va? Boh, piace a tante squadre. Al Milan farebbe molto comodo, ma i proprietari Usa guardano altrove. La Juve lo accoglierebbe a braccia aperte e si dice che anche lui sia d’accordo. Cosa fatta, quindi? Non ancora. Ma in cammino sì. E probabilmente in arrivo. Quando la Juve chiama…

Milinkovic-Savic con la maglia del Al-HilalLa fotografia era questa. Sino a un paio di giorni fa. Poi è cambiato tutto.

Milinkovic-Savic non lascia solo la Lazio. Lascia anche la Serie A, l’Italia, l’Europa. E in cambio di un ingaggio da 20 milioni (netti!) a stagione se ne va a giocare in Arabia Saudita. Più precisamente nelle file dell’Al-Hilal. Che è uno dei quattro club di vertice del campionato locale.

La crescita della Saudi Football League

Fahd bin Nafel, presidente della squadra di calcio saudita Al HilalIl caso di Milinkovic-Savic non è affatto l’unico. La Saudi Football League, questa la denominazione in inglese, è in piena accelerazione e pur di alzare il proprio livello tecnico, e quindi il suo richiamo mediatico, non bada a spese. Letteralmente.

Pur di indurre dei giocatori di rilievo a trasferirsi laggiù, li attrae con cifre esorbitanti. E se finora si è trattato di nomi di primissimo piano ma ormai sul viale del tramonto, vedi innanzitutto Cristiano Ronaldo che a fine 2022 ha accettato di legarsi all’Al-Nassr per l’incredibile compenso di 200 milioni l’anno, adesso la tendenza sta cambiando.

Non più solo degli «over 30», dal passato più o meno glorioso, ma atleti nel pieno della loro parabola sportiva. Come ad esempio Nicolò Zaniolo, che ha appena 24 anni e che si è visto offrire, sempre dall’Al-Hilal, un contratto quadriennale da 120 milioni complessivi.

Importi talmente elevati che né lui né la quasi totalità dei suoi colleghi potrebbero mai raggiungere, o anche soltanto avvicinare, rimanendo a giocare in Serie A. E nemmeno spostandosi, ammesso che qualcuno li cercasse e vedesse in loro dei possibili crack, nel torneo continentale più ricco e ambìto: la Premier League inglese.

L’importante è… arricchirsi

Musalli Al-Muamamr, proprietario dell’Al-Nassr che schiera tra i suoi calciatori Cristiano RonaldoDove sta il problema? È in un fenomeno palese, e tuttavia sottovalutato. Sia dagli addetti ai lavori, per motivi di tornaconto, sia dalla maggior parte dei tifosi, per ragioni sentimentali.

È nello snaturamento progressivo e, a quanto sembra, inarrestabile, dello sport. Un processo che è in atto già da molto tempo e che ne sta travolgendo, in nome del business, le caratteristiche originarie ed essenziali. Ben al di là (anzi: mal al di là) del semplice passaggio dal dilettantismo al professionismo.

Ciò che sta accadendo, purtroppo ma niente affatto per caso, è che lo sfruttamento economico dilaga ovunque e condiziona ogni aspetto. Non più qualcosa che si aggiunge a margine delle competizioni sportive, ma lo scopo principale dell’intera organizzazione. Un’onda d’urto che attraverso il potere del denaro altera la ragion d’essere delle competizioni, sino a metterla a repentaglio o a comprometterla del tutto.

Meno sport, sempre più show

Mentre nello sport degno di tal nome, infatti, la chiave di volta è il confronto finalizzato a far emergere i migliori, in questa deriva iper-commerciale a prevalere sono interessi di altra natura. Imperniati sia sul profitto nel senso stretto del termine, sia sui guadagni di immagine che se ne vogliono trarre.

In quest’ultimo senso, e restando in Medio Oriente, si pensi agli ultimi Mondiali di calcio. Che si sono svolti in Qatar dal 20 novembre al 18 dicembre dell’anno scorso e che, con quella collocazione così anomala, hanno interferito pesantemente con i campionati esteri, a cominciare da quelli europei.

Detto a mo’ di slogan: sempre meno sport, sempre più show.

Ovvero, per esplicitare il concetto, sempre meno valori propriamente sportivi e sempre più logiche da mondo dello spettacolo. Quello che negli Usa viene appunto chiamato «show business», abbreviato in showbiz.

Gli atleti che si trasformano in attori. E, per di più, in attori che non scelgono il copione in base alle sue qualità intrinseche ma in rapporto ai cachet messi a disposizione dai produttori.

Il film farà anche abbastanza schifo, così come la Saudi Football League non è certo paragonabile ai grandi tornei in ambito Uefa, ma chissenefrega: siccome ti riempiono di soldi, dici di sì e te ne infischi.

Strapagato ed esiliato. A scapito delle tue ambizioni prettamente sportive, sul piano individuale. A danno del modo con cui milioni o miliardi di altre persone, e in primis i più giovani, guardano allo sport.

Da campioni di una certa disciplina a campioni degli incassi. Dall’epica delle grandi sfide, che accendeva l’ammirazione degli appassionati, alla vendita al miglior offerente, che al massimo può suscitare l’invidia degli spettatori.

Al posto della bacheca dei trofei, le gigantografie degli estratti conto.

Gerardo Valentini

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