MARLON BRANDO 1924-2024

Il divo ribelle
che incantò Hollywood

Marlon Brando 1924-2024

 

Oggi Marlon Brando avrebbe compiuto 100 anni. L’attore fin dall’inizio della carriera fu considerato un eroe moderno, a cui affidare il compito di personificare le grandi ma vaghe speranze di almeno due generazioni, al fine di rinnovare lo stile di recitazione americano e di conseguenza il teatro, il cinema e forse anche la cultura americana.

Marlon Brando sul finire degli anni CinquantaMarlon Brando nacque a Omaha (Nebraska) il 3 aprile del 1924, nel 1943 si trasferì a New York dove frequentò corsi di pittura e di danza, per poi iscriversi al Dramatic Workshop, fondato nel 1940 dal regista teatrale tedesco Erwin Piscator nell’ambito della New School for Social Research e tenuto da Stella Adler, seguace delle teorie di Konstantin Sergeevič Stanislavskij.

Nel 1944 debuttò in palcoscenico, interpretando Gesù Cristo in Hannele di G. Hauptmann, prodotto dalla Dramatic Workshop, ed esordì a Broadway con la commedia I remember Mama di J. Van Druten, replicata per due anni.

Dal 1947 al 1950 sempre a Broadway Marlon Brando fu protagonista del dramma teatrale di Tennessee Williams Un tram che si chiama desiderio.

Il successo nei panni di Stanley Kowalskila

La locandina originale del film 'Un tram chiamato desiderio' del 1951Il trionfo per l’attore arriverà proprio con l’interpretazione del personaggio di Stanley Kowalskila nella trasposizione cinematografica dell’opera realizzata nel 1951 dal regista Elia Kazan, seguendo il metodo stanislavskiano rielaborato all’Actors Studio dallo stesso regista e che gli valse la prima nomination agli Oscar.

Prendendo in esame l’interpretazione di Marlon Brando nei panni di Stanley in entrambi i casi (teatro e cinema), possiamo affermare che il divo porta agli estremi la recitazione realista: parla con la bocca piena, mastica la cicca in scena, dà le spalle al pubblico, biascica con un linguaggio che combina l’inflessione polacca e l’effetto dell’alcool, due caratteristiche chiave del personaggio.

Esplorando la dimensione fisica istintiva, primordiale e animalesca del proprio personaggio, si lascia andare a scenate, grida disperate, lotta, fa a cazzotti, si strappa la canottiera e chiede in ginocchio il perdono, implorante, alla moglie Stella.

La libertà espressiva e la profondità dell’interpretazione resero Stanley Kowalski ben più che un semplice villain. Negli oltre tre anni in cui lo spettacolo teatrale rimase in scena, Brando continuò a esplorare, aggiungere, approfondire elementi.

L’attore divenne la star indiscussa dello spettacolo e fu capace di dare una tale tridimensionalità al proprio personaggio che la storia sembrava essersi spostata attorno alla tragedia personale di Stanley e non più a quella di Blanche.

Williams nel dramma teatrale apprezzò la performance di Marlon Brando a Broadway , ma per il film spinse Kazan a ripristinare l’equilibrio drammaturgico ponendo Stanley come antagonista e Blanche come protagonista. La versione filmica consegnò al personaggio di Stanley Kowalski le vestigia di emblema culturale e a Brando quelle di sex symbol. Interpretando Stanley, il lavoro di caratterizzazione emergeva soprattutto per gli aspetti della fisicità e del modo di parlare.

Premiato a Cannes per «Viva Zapata!»

La locandina di 'Via Zapata!' del 1952 che valse a Marlon Brando un premio al Festival di CannesIl primo premio, che valse come riconoscimento della sua innata bravura, arrivò a Cannes nel 1952 grazie all’interpretazione del rivoluzionario messicano Emiliano Zapata in Viva Zapata!, film diretto dal suo mentore Elia Kazan; a questo importante personaggio seguì nel 1953 quello di Marco Antonio del film di Joseph L. Mankiewicz, Giulio Cesare.

Il selvaggio(1953) regia di Laszlo Benedek ,Brando è Johnny Strabler, la sceneggiatura di John Paxton si ispirava a un racconto di Frank Rooney apparso su una rivista, ispirato a un fatto realmente accaduto nel 1947, quando una banda di motociclisti spadroneggiò nella cittadina di Hollister in California, la didascalia di apertura del film fu: «Questa è una storia traumatizzante, non bisogna permettere che ciò si ripeta». Una produzione che punta agli incassi sfruttando anche la popolarità e l’appeal crescente dell’attore.

Il film capostipite del filone sul ribellismo giovanile, accusato all’epoca di istigazione alla violenza, tanto che in Inghilterra venne vietato per quattordici anni. Brando divenne un’icona del divismo cinematografico, in sella a una Triumph Thunderbird, nella parte del teppista Johnny, capo dei Black Rebels.

L’Oscar con «Fronte del porto»

La locandina di 'Fronte del porto' del 1954 che valse a Marlon Brando il primo premio OscarCon il film Fronte del porto (1954), il punto focale del personaggio si sposta sul pensiero e sul lavoro interiore e psicologico. Nel ruolo di Terry, lo scaricatore di porto con il dilemma morale se confessare i crimini di cui è stato testimone, compromettendo la propria posizione, Marlon Brando inscena un cammino di purificazione, in cui mette a nudo le proprie fragilità nei panni del personaggio.

La performance è ritenuta tra le più valide e raffinate per precisione psicologica del cinema di quel periodo, tanto da valere a Brando l’Oscar come miglior attore, nel 1955.

All’apice del successo critico e commerciale, però, Marlon si invischiò in operazioni non ben riuscite, interpretando film quali, Désirée di Henry Koster nel 1954, il musical Bulli e pupe di Mankiewicz nel 1955 e La casa da tè alla luna d’agosto di Daniel Mann nel 1956.

Nel 1957 lavorò al film Sayonara di Joshua Logan, in cui si affrontò un tema importante come la discriminazione razziale durante l’occupazione militare del Giappone da parte degli Stati Uniti durante gli anni Cinquanta.

Marlon Brando tra i Giovani leoni

Nello stesso anno si sposò con l’attrice gallese Anna Kashfi, ma divorziarono dopo pochi mesi; nel 1958 tornò a offrire un’interpretazione memorabile con il ruolo del tormentato ufficiale nazista Diestl nel film I giovani leoni di Edward Dmytryk. Marlon Nel 1960 Marlon si sposò con l’attrice messicana Movita Castaneda e fondò una sua casa di produzione, la Pennebaker Productions; esordì alla regia nel 1961 con I due volti della vendetta.

L’anno successivo Marlon Brando e l’attrice tahitiana, Tarita, porteranno sullo schermo la celebre vicenda degli Ammutinati del Bounty e si innamorarono durante le riprese del film, tanto che i due convolarono a nozze dopo il secondo divorzio di Marlon.

Questo remake si rivelò, però, un fallimento produttivo perché venne cambiato il regista in corso d’opera e la sceneggiatura subì continue modifiche. Forse anche perché la precedente edizione del film, del 1935, aveva come interprete l’indimenticabile Clark Gable.

L’impegno politico dell’attore

Nel 1963 l’attore si mostrò impegnato sul fronte sociale e politico, come altri esponenti di Hollywood: partecipò alla dimostrazione antirazzista ad Hollywood, manifestando un gesto di «solidarietà verso i negri contro la discriminazione».

Nella sua longeva e gloriosa carriera, Marlon Brando sperimentò personaggi molto diversi, dando prova di versatilità, tuttavia fino ai capolavori degli anni ’70, rimase noto nell’immaginario come l’interprete del «lower-class anti-hero», e questo stile divenne sinonimo della recitazione di Metodo.

Ci sembra infine opportuno citare due performances degli anni Settanta che testimoniano l’evoluzione e l’approfondimento delle tecniche di recitazione di Brando. Parliamo de Il padrino e di Ultimo tango a Parigi (entrambe le pellicole del 1972).

Il secondo Oscar con «Il padrino»

Marlon Brando nei panni di Vito Corleone ne 'Il padrino' del 1972Francis Ford Coppola, si ispirò al libro di Puzo, creando uno dei capolavori cinematografici per eccellenza, ovvero la trilogia Il Padrino (insieme ad altri registi come Brian De Palma e Martin Scorsese), nutrì un particolare interesse per la vita e cultura italoamericana interpretato in maniera non soltanto accurata ma anche stereotipata, la figura del gangster e il degrado della mafia.

Un’altra caratteristica importante è l’aspetto psicologico dei protagonisti, interpretati da: Marlon Brando, Al Pacino, Robert Duvall, Diane Keaton con maggiore enfasi sullo sviluppo mentale dei personaggi. Fu Brando stesso a creare l’aspetto del suo personaggio (Don Vito Corleone), decise per un viso con una mascella marcata.

Il successo del film risollevò la carriera dell’attore, vincendo il suo secondo premio Oscar (ma non si presentò a ritirare la statuetta mandò al suo posto l’attivista e nativa americana Sacheen Littlefeater).

 «Ultimo Tango a Parigi»

Marlon Brando in 'Ultimo tango a Parigi' del 1972Del film Ultimo Tango a Parigi ci interessa sottolineare la qualità della performance e delle tecniche in essa messa a frutto. Brando, lavorando nel settore per venticinque anni e studiando, prima allo Studio e poi con la propria coach Stella Adler, aveva affinato la propria tecnica, cercando di emanciparsi dallo stereotipo dei ruoli giovanili.

Nella pellicola diretta da Bernardo Bertolucci, Marlon utilizzò gli esercizi di Strasberg di affective memory, private moment e improvvisazione.

Per la prima volta in quasi vent’anni riprese un modo di parlare e uno stile autenticamente di Metodo, con pause gravide di sottotesto, sussurri, battute a mezza voce, improvvisate o cambiate spontaneamente; e intere scene, improvvisate per preparare le circostanze del personaggio, venivano istintivamente integrate con quelle del copione e trovavano spazio nel film.

In questa fase della carriera, la libertà espressiva data dall’esperienza e dalla posizione gli consentì di tornare allo stile che lo rese famoso con una consapevolezza e una profondità ancora più raffinate. Nell’assistere alle nevrosi e alle pulsioni erotiche del personaggio sembra di vedere un distillato dei precedenti personaggi interpretati, che avevano attinto all’autentica emotività dell’attore.

È come se l’intero bagaglio esperienziale, emotivo, onirico, attoriale di Marlon Brando sia stato messo al servizio della vita di Paul, americano trapiantato a Parigi e tormentato dall’incontrollabile attrazione per la giovane Jeanne. La loro passione, che scocca senza che per la gran parte del film i due non sappiano nemmeno i nomi l’uno dell’altro, sfocerà in tragiche conseguenze.

Marlon Brando, così come James Dean, è stato un eroe ribelle. Il pubblico li amava entrambi perché trasmettevano spontaneità, energia, istintività e onestà. Tutti tratti anticonvenzionali e per questo profondamente interessanti e umani.

Marlon Brando morì il 1 luglio 2004 a Los Angeles all’età di 80 anni. La causa fu attribuita a una crisi respiratoria, dovuta a un enfisema polmonare che lo affliggeva da tre anni.

La grande e numerosa filmografia di Marlon Brando ha reso questo divo «immortale» non solo emblema della golden age, come vengono considerati gli anni Cinquanta, ma simbolo e maestria di recitazione di ogni epoca.

Serena Lamolinara

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