GIANFRANCO PASQUINO

Fascismo
Quel che è stato, quel che rimane

Fascismo. Giacomo Balla, Marcia su Roma (retro), 1932 e il 1935, olio su tela, Torino, Pinacoteca Giovanni e Marella Agnelli

 

Il ritorno della storia. Difficile pensare ad un incipit diverso quando si affronta la lettura di un testo quale Fascismo. Quel che è stato, quel che rimane a cura di Gianfranco Pasquino, edito da Treccani.

Mario Sironi, La Giustizia, 1936-1938, Mosaico, Milano, Palazzo di GiustiziaSi tratta di una raccolta di saggi che coprono non solo l’intero arco temporale in cui si è sviluppata la vicenda storica del fascismo, dalle origini alla Repubblica Sociale fino ad arrivare al neofascismo, ma che affronta anche alcuni nodi tematici al di fuori della stessa narrazione storica, che a titolo esemplificativo vanno dall’interpretazione del fascismo, all’analisi della storiografia sul tema, dalla cultura fascista all’antifascismo, sino ad arrivare al rapporto tra autoritarismo e populismi.

Una ricognizione trasversale, quindi, che permette di coprire tutti i temi essenziali per un tentativo non solo di comprensione ma anche di approccio sistematico al tema, sul terreno della storia e della ricostruzione del pensiero politico, coperto dall’indubbia autorevolezza di Gianfranco Pasquino, che ne ha coordinato la redazione.

Non si tratta però soltanto di una novità sul piano strettamente del metodo o anche nei contenuti perché a nostro avviso sono anche altri gli aspetti che contribuiscono a rendere notevole tale lavoro.

Approcci diversi senza pregiudizi

In primo luogo la trasversalità degli autori, per molti versi il meglio tra gli animatori dell’attuale dibattito storiografico su un tema cruciale come il fascismo. Per citarne solo alcuni ma l’elenco è estremamente qualificato, Alessandro Campi, Marco Tarchi, Simona Colarizi, Giuseppe Parlato, Antonio Carioti, Marco Palmieri e Mario Avagliano.

Approcci diversi sul piano delle idee ma con una elevata capacità di astrazione da qualunque finalità o pregiudizio di carattere ideologico. Una ricerca concentrata sui fatti, sull’analisi delle fonti senza alcuna preoccupazione di dover sostenere a tutti i costi tesi pregiudizialmente confezionate e pronte all’uso per finalità ulteriori.

Questo sorprende perché non è certamente quanto offerto dallo spirito del tempo in tema di ricerca storica in particolare su un punto dolente come quello legato all’esperienza fascista.

Lontani da logiche «etico-ammonitorie»

Abbiamo infatti assistito negli ultimi mesi, favorito dal centenario della Marcia su Roma, al riesplodere di una tendenza che si era, peraltro, manifestata già ampiamente negli ultimi anni, ad un revival prepotente di una pubblicistica storica, ampiamente presente nella divulgazione più che nella ricerca stretta, tutta legata ad una pregiudiziale condanna tout court di quegli anni, basata su un approccio moralistico e strumentale ad un utilizzo puramente e solo politico.

La storia come una clava utilizzata per colpire l’avversario politico di turno soprattutto in tempi di forte ripresa della destra politica, usata come elemento discriminatorio e di demonizzazione dell’avversario.

Giornalisti con pretese da storici, divulgazione teatrale, pamphlet pubblicati di corsa per agganciare il momento commerciale propizio, una corsa alla pubblicazione garantita da un qualche sicuro successo perché il prodotto commercialmente tira sempre, è garanzia di quasi sicuro successo.

Mussolini ed il fascismo continuano a suscitare un forte interesse da parte del pubblico ma spesso a quest’interesse non è corrisposto, negli ultimi anni, l’innalzamento della qualità e capacità di lettura da parte, ripetiamo, di una pletora di aspiranti storici che puntano solo alla vendita di una tesi preconfezionata. Da questo punto di vista le oltre 200mila copie dichiarate vendute dell’invettiva di Aldo Cazzullo (non a caso intitolata Mussolini il capobanda) forniscono un’eccellente testimonianza non solo del perdurante interesse sul tema, ma anche della trasformazione del linguaggio che sin dal titolo garantisce un’interpretazione di taglio politico.

E da letture teatrali o audiolibri

A questa inversione del metodo d’indagine storico che dovrebbe partire dai fatti per arrivare ad un livello di interpretazione scevro da pregiudizi si accompagna poi un altro elemento frutto anch’esso di questi anni ma che si sta rapidamente imponendo e che consiste nella proliferazione del messaggio attraverso tutte le forme potenzialmente fruibili da parte della platea dei potenziali interessati.

In quest’ottica il pamphlet di Cazzullo diventa fruibile anche attraverso letture teatrali o attraverso audiolibri, con una semplificazione sempre più accentuata della lettura storica che si avvicina alla brutale semplicità della comunicazione via social.

Il paradosso è che tutto questo finisce per consentire ad alcuni, peraltro eccellenti, scrittori di accreditarsi sul piano storiografico pur utilizzando una metodologia espressiva diverse come, ad esempio, quella del romanzo storico che poco o nulla però ha a che fare con il rigore del metodo scientifico tipico della ricerca storica.

Ecco allora che il lavoro eccellente di uno scrittore accreditato come Antonio Scurati viene percepito e presentato non più come un romanzo, con tutte le licenze e le libertà ricostruttive che esso comporta, ma come un vero e proprio saggio storico a tutti gli effetti (sebbene zeppo di tutti gli errori che assai argutamente sono stati evidenziati ad esempio da Ernesto Galli della Loggia) finendo anch’esso per alimentare il circuito della comunicazione semplificata di cui si diceva, dalla riduzione teatrale alla prossima immancabile versione in serie televisiva.

Ricerca storica e non evento mediatico

Emilio Gentile, Storia del Fascismo, LaterzaTutto questo, ci chiediamo, fa davvero bene alla ricerca storica? Aiuta davvero la comprensione di un fenomeno storico? Favorisce una divulgazione qualitativa nel grande pubblico oppure è solo funzionale ad un can can mediatico, oppure spinto solo da finalità di natura diversa?

Sono domande a cui ciascuno può dare le risposte che crede opportune ma che sicuramente ci permettono di comprendere come l’uscita in libreria di una serie di opere come quella a cura di Gianfranco Pasquino come anche la monumentale Storia del fascismo di Emilio Gentile, vera e propria summa della pluriennale ricerca storica da parte dell’autore (senz’altro lo storico più autorevole sul tema), rappresentino una vera e propria boccata d’ossigeno per chi ha a cuore il destino della ricerca storica nel nostro paese.

Un ritorno al metodo storico in un’epoca di semplificazione e riduzione della storia a evento mediatico.

Non s’intende certamente affermare l’irrilevanza o l’inutilità di una divulgazione non strettamente e rigorosamente strutturata sul metodo storico.

Sarebbe peraltro sciocco sottovalutare il peso e la forza di diffusione e anche solo di aiuto nell’approccio alla conoscenza storica che hanno avuto, ad esempio, opere come la Storia d’Italia di Indro Montanelli, Mario Cervi e Roberto Gervaso (peraltro accusati anche allora di revisionismo e semplificazione assolutoria)

Il problema è che se queste opere s’inseriscono in un circuito mediatico già ampiamente avvelenato da tossine ideologiche, allontanano sempre più da un’analisi equilibrata e rigorosa di un periodo storico, quale esso sia, e non comprendere non aiuta certo a superare errori e orrori.

Studiare e comprendere i fatti storici, lasciando gli slogan e le invettive alle rispettive tifoserie, pensare più alla qualità del prodotto che alla sua commerciabilità, mirare ad allargare la platea di consumatori riflessivi e non di ultras del pensiero spesso unico.

Speriamo di non chiedere troppo alla nostra industria della comunicazione.

Adriano Minardi Ruspi

 

 

 

Gianfranco Pasquino
Fascismo. Quel che è stato, quel che rimane
Treccani, pp.437

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