La lettura del bel libro Viaggiatori straordinari mi ha fatto tornare alla mente la storia di un esploratore italiano dell’Amazzonia, il cui percorso è analogo a quelli narrati da Marco Valle. Si tratta del fotografo, geografo ed etnografo Ermanno Stradelli (1852-1926).
Avevo incontrato la sua figura mentre raccoglievo materiale per un libro sull’Ação Integralista Brasileira (Aib), il primo partito di massa del Brasile, che negli anni Trenta raccolse il meglio dell’esperienza fascista italiana e la rielaborò grazie allo spessore culturale del suo gruppo dirigente.
L’omaggio di Luís da Câmara Cascudo
Nella preziosa biblioteca romana dell’Istituto Italo Latino Americano (Iila) scoprii un libretto dal titolo Em Memoria de Stradelli, scritto nel 1936 da uno dei dirigenti dell’Aib, lo storico e antropologo Luís da Câmara Cascudo.
Per questo omaggio il governo italiano, attento a quell’epoca alla valorizzazione dell’operato degli italiani nel mondo, fece assegnare allo studioso brasiliano il titolo di Cavaliere della Corona.
Câmara Cascudo, forse il più grande studioso delle leggende e del folclore del paese tropicale, era rimasto colpito dalla lettura del vocabolario «lingua generale degli indios-portoghese» uscito postumo nel 1929, per la mole e l’accuratezza dei dati raccolti, nonché per la capacità dell’italiano di entrare in sintonia con il mondo della foresta amazzonica.
«Stradelli – scrive Cascudo – non è un esploratore, non è un commerciante. È un innamorato. Non è soltanto un geografo, un naturalista, un botanico, un classificatore paziente, minuzioso, disciplinato. È un entusiasta, un sedotto, un viandante apprendista, che vuole vedere, comprendere e amare tutto».
Una descrizione che corrisponde all’identikit degli esploratori italiani tracciato da Marco Valle nel suo libro: «La curiosità verso l’altro e l’ansia di conoscenza dell’altrove si accompagnò a una spontanea capacità di accostarsi in modo ricettivo, originale e rispettoso, a mondi sideralmente diversi. (…) In ognuno di questi stravaganti viandanti ritroviamo puntualmente il disgusto profondo verso la piaga dello schiavismo, unito a sincera pietas per le popolazioni meno fortunate e la diffidenza se non il pieno rifiuto verso ogni forma di colonialismo predatorio».
Chi era Ermanno Stradelli
Nato nel 1852 a Borgotaro (Parma) in una famiglia nobile da cui ereditò il titolo di conte, il giovane Stradelli studiò nel collegio Santa Caterina di Pisa, si iscrisse alla facoltà di giurisprudenza di quell’ateneo ma ben presto si dedicò per conto proprio a studi di etnologia, topografia, farmacologia e omeopatia, botanica e zoologia, fotografia, portoghese e spagnolo. Ovvero tutto quanto riteneva necessario per realizzare il suo sogno di diventare esploratore e geografo.
Fin da ragazzo, scrive il biografo brasiliano, «le sue letture predilette sono le narrazioni di viaggi, che gli evocavano lotte, misteri, la valentia fisica, lo stupore delle foreste vergini, dei deserti silenziosi, degli indio incomprensibili, degli animali favolosi».
Nel 1879 partì, a sue spese, per il Brasile, diretto a Manaus, la capitale dell’Amazzonia che diventò la base delle sue spedizioni nell’immenso territorio tropicale.
Il vocabolario Lingua amazzonica-Portoghese
Frequentò i missionari francescani italiani, cercando di capire come potersi relazionare con gli indigeni. Nel luglio del 1880, navigando il Rio Amazonas, conobbe il conte Alessandro Sabatini, che lo iniziò allo studio della lingua indigena che gli permetterà di realizzerà il primo vocabolario «nheengatu-portoghese».
Stradelli strinse amicizia con lo studioso Maximiliano José Roberto, discendente dei capi indigeni Manaos e Tariana. Visitò la regione del Vaupés, ai confini con la Colombia, una prima volta nel 1881 e di nuovo nel 1882, quando risalì il Vaupés fino a Yavaraté e il Papurí fino a Piracuara.
Alla prima pietra del Teatro Amazonas
Nel febbraio 1884, prima di tornare in Italia per portare a termine rapidamente gli studi universitari, si recò a Manaus per partecipare alla cerimonia della posa della prima pietra dello splendido teatro dell’opera che sarà realizzato da una ditta italiana ed impreziosito con i marmi di Carrara.
Nel 1887 si imbarcò nuovamente, stavolta per il Venezuela, con l’ambizioso proposito di individuare le sorgenti dell’Orinoco, dubitando della primogenitura di questa scoperta vantata da un esploratore francese.
A Caracas venne accolto dal presidente Guzmán Blanco al quale comunicò la sua intenzione di intraprendere la traversata fino al Manaus. Nel 1890 tornò nel Vaupés e nel 1891 raggiunse le cascate di Yuruparí.
Le relazioni per la Società Geografica Italiana
Durante i suoi viaggi redasse carte geografiche, raccolse leggende, scattò fotografie, la maggior parte delle quale sono oggi perdute. Le relazioni dei suoi viaggi vengono inviate alla «Reale Società Geografica Italiana» che le pubblica nel suo Bollettino: «Un viaggio nell’Alto Orenoco» nel 1888, «Rio Branco» e «Dal Cucuhy a Manaos» nel 1889, «L’Uaupés e gli Uaupés», la «Leggenda dell’Jurupary» nel 1890 e «Iscrizioni indigene della regione dell’Uaupés» nel 1900.
Ermanno Stradelli era conosciuto e stimato dai nativi del Vaupés. Pronto a condividere esperienze con i suoi ospiti era tra i pochissimi bianchi cui fosse permesso percorrere liberamente la zona.
Guardava con preoccupazione l’approccio che indistintamente militari, commercianti ed evangelizzatori bianchi avevano con i nativi e considerava una grave sventura la scomparsa dei popoli indigeni e l’annientamento del loro modo di vivere e interpretare il mondo.
La leggenda dell’Jurupary
Il suo studio su Yuruparí nacque in risposta ai problemi creati nel 1883 dai francescani italiani Coppi e Canioni che dal pulpito della chiesa di Ipanoré avevano profanato il culto locale, scatenando una rivolta.
La figura mitica di riferimento degli indigeni del Vaupé era stata equiparata al diavolo. Ma per Stradelli l’idea che quelle credenze e cerimonie tradizionali, di cui aveva già avuto notizia, fossero una sorta di religione demoniaca era un’esagerazione dei religiosi, prevenuti contro tutto quanto usciva dall’orbita cristiana.
Per verificare questa sua intuizione, Stradelli cominciò a indagare su quel mito e ebbe la fortuna di poter trascrivere in italiano la versione della leggenda fornitagli in língua geral dall’amico Maximiano José Roberto, saggio capo indigeno discendente da capi Manaos e Tariana, il quale aveva ordinato criticamente gli apporti di diversi altri indigeni.
Da tale pregevolissimo documento etnografico e letterario si delineò la figura di Yuruparí, come un antico eroe legislatore, né malefico tentatore né destinatario di preghiere o sacrifici, bensì protagonista di una saga amazzonica e maestro di costumi ritualizzati in feste collettive.
Poiché il manoscritto originale è andato perduto, questo ciclo mitologico fondamentale si studia in America Latina partendo dal testo italiano di Stradelli.
La gomma dell’Amazzonia
Nel 1893 Ermanno Stradelli si naturalizza brasiliano, convalida il proprio titolo di studio e prende ad esercitare l’avvocatura a Manaus.
Nel 1897 compie un breve viaggio in Italia con il proposito di fondare una compagnia italo-brasiliana nel settore della gomma, in grado di rompere il monopolio degli esportatori inglesi.
La gomma veniva estratta dall’albero di Seringueira, a quel tempo ancora presente unicamente in Brasile. Stradelli aveva compreso i risvolti dell’economia della gomma, organizzata intorno al sistema piramidale dell’«avviamento».
All’ultimo gradino si trovava il solitario raccoglitore, «imprigionato» senza possibilità di uscita nella foresta amazzonica, ma al vertice della catena produttiva c’erano i ricchi imprenditori anglosassoni che esportavano il prezioso prodotto in Europa e negli Stati Uniti.
L’ingegner Giovanni Battista Pirelli non gli diede tuttavia ascolto e così l’esploratore non perse tempo e ripartì subito per l’Amazzonia.
Nel 1895 ottenne un incarico pubblico che esercitò fino al 1923 quando andò in pensione e su insistenza della famiglia pensò a rimpatriare. Gli viene però diagnosticata la lebbra.
Ermanno Stradelli visse così gli ultimi anni in un lebbrosario improvvisato nei sobborghi di Manaus, in compagnia di mappe, manoscritti e ricordi, fino alla morte avvenuta nel 1926.
Nel 2026 saranno trascorsi 100 anni e la ricorrenza potrebbe essere l’occasione per far uscire finalmente dall’oblio questo italiano straordinario.
Vincenzo Fratta
ERMANNO STRADELLI
In Italia Ermanno Stradelli resta una figura praticamente sconosciuta. Le relazioni dei suoi viaggi sono nell’archivio della Società Geografica Italiana, che ha sede a Roma all’interno di Villa Celimontana.
Negli anni Novanta il giornalista italiano Danilo Manera intraprese un viaggio nella regione amazzonica percorsa da Stradelli, raccontata poi nel libro Yuruparí. I flauti dell’anaconda celeste, che contiene in appendice il testo dell’esploratore italiano. Le immagini sono state invece raccolte nel libro fotografico «Vaupés» di Graziano Bartolini.
In Brasile al Memorial da América Latina di San Paolo si è svolto nel 2013 un seminario di studi stradelliani con la partecipazione di studiosi di entrambi i paesi, nel corso del quale è stato presentato un documentario dal titolo «Ermanno Stradelli. O filho da cobra grande», realizzato dal cineasta italiano Andrea Palladino.
Sempre nel 2013 l’Ambasciata del Brasile nella galleria Portinari di piazza Navona a Roma ha allestito una mostra fotografica dedicata all’esploratore italiano.
Nel 2016 per le edizioni Unesp è uscito il libro collettaneo A única Vida Possível: Itinerários de Ermanno Stradelli na Amazônia.
Nel 2019 l’editore Martins ha pubblicato una raccolta di lavori di Stradelli intitolata Lendas e Notas de Viagem.
Sempre nel 2019 a Rio de Janeiro è stata organizzata la mostra «Ermanno Stradelli, fotografo pioniere dell’Amazzonia»
La ricorrenza del centenario della morte, fra due anni, potrebbe essere l’occasione per far uscire finalmente dall’oblio questo italiano straordinario.