Le proteste degli agricoltori sta mettendo a soqquadro l’Europa intera. Le proteste si stanno facendo sentire anche in Italia nonostante l’esplicito sostegno del governo Meloni alle loro richieste.
In questi giorni la ribalta mediatica nel nostro paese ruota intorno al Festival di Sanremo e da qui il tormentone: ci andranno o non ci andranno, sul palco dell’Ariston, i leader degli agricoltori in lotta?
Darà il via libera, Mamma Rai? E in che misura? Amadeus li accoglierà in carne e ossa o si limiterà a leggere un comunicato?
Nulla di più fuorviante. E tuttavia, purtroppo, di consueto. Come se fosse normale aver bisogno del supporto di un grosso spettacolo televisivo per ottenere un riconoscimento pubblico e politico. Per dare un crisma di validità e di urgenza alle proprie ragioni.
Sei parte dello show? Allora ti ascoltiamo. Visto che non possiamo fare diversamente.
Non sei riuscito a rientrarci? Allora puoi rimanere nel limbo. O quantomeno non saremo costretti a starti a sentire, fino a quando non saremo noi stessi ad averlo deciso.
I conti che non quadrano
Le questioni economiche all’orige delle proteste degli agricoltori balzano all’occhio, ma non sono affatto le sole.
Dietro la gravissima disparità tra i costi di produzione elevati e i ricavi esigui c’è una lunga serie di cause. Che da un lato dipendono da fattori interni, come i ricarichi dei grossisti e quelli della grande distribuzione.
Mentre dall’altro sono dovute a condizionamenti esterni, dalle regole restrittive dell’Unione Europea alla concorrenza, più o meno asimmetrica e quindi scorretta, dei produttori esteri.
Le ripercussioni emergono dai bilanci. Ciò che le influenza, o addirittura le determina, sono le scelte politiche.
Bella cosa, l’espansione planetaria dei commerci. Bellissima cosa, la tutela dell’ambiente.
Globalizzazione & rivoluzione green
In entrambi i casi, però, bisognerebbe aggiungere subito una precisazione: belle, o bellissime, ma in teoria. Ossia senza tenere conto delle conseguenze effettive.
La versione ufficiale è che i benefici sono pressoché universali. Gli esiti concreti sono ben diversi. A cominciare dal fatto che gli attori economici non sono tutti uguali – per dimensioni e risorse, per modalità operative e capacità di resistere agli squilibri e alle turbolenze dei mercati – e perciò i vantaggi degli uni non corrispondono necessariamente a quelli degli altri.
Al contrario: le opportunità delle imprese di vertice, tanto più se multinazionali, sono spesso in antitesi con quelle delle aziende meno grandi.
Gli agricoltori italiani, e più in generale quelli europei, non possono essere visti soltanto come dei produttori di derrate. Che devono sbrigarsela da soli: e se ce la fanno bene, altrimenti pazienza.
Perché in alternativa ci approvvigioneremo altrove. Magari spendendo anche meno, se si tratterà di Paesi in via di sviluppo.
Il ruolo dell’agricoltura, e di chi la pratica, va molto al di là di questo. È un ruolo, che nasce come attività privata ma che diventa un compito anche pubblico, di valorizzazione e presidio del territorio.
Non bisognerebbe mai dimenticarlo: l’ammontare del Pil è un valore aggregato in cui confluisce di tutto. Ma accanto alla cifra complessiva, e in realtà ancora prima, si stagliano i giudizi sulla società in cui viviamo.
In cui vogliamo, o non vogliamo, vivere.
Gerardo Valentini