L’OMICIDIO DI CHARLIE KIRK

In morte
di un cultural warrior

Durante un incontro con gli studenti dell’Università dello Utah l’attivista e influencer conservatore Charlie Kirk è stato colpito a morte da un proiettile sparato da lontano con un fucile di precisione.

 

Le immagini sono agghiaccianti, il 31enne attivista conservatore Charlie Kirk prende il microfono che è il suo strumento di dibattito, di lavoro, di sensibilizzazione, magari anche di propaganda, e sta per continuare il suo discorso agli studenti dell’università dell’Utah circa l’utilizzo delle armi da fuoco negli Usa.

Charlie Kirk con la moglie Erika Frantzve Kirk, 36 anni, e i due figli piccoliUn colpo preciso, sparato da 200 metri, lo ferisce irrimediabilmente sotto il collo, in un punto sensibile e estremamente vulnerabile, senza possibilità di scampo. Il proiettile affonda come nel burro, ne esce un rivolo di sangue, lo speaker cade riverso con la testa di lato in una posizione innaturale, e perde conoscenza prima di accasciarsi al suolo, con di fronte l’ultima sua platea. Muore durante il trasporto in ospedale.

Charlie Kirk era un astro nascente della politica statunitense, cofondatore dell’organizzazione giovanile conservatrice Turning Point Usa (Tpusa). Lascia la moglie e due figli piccoli, una bambina di tre anni e un maschietto di uno.

Le prime reazioni all’omicidio

Vengono diffuse le immagini che mostrano una persona appostata su un tetto, ma la folla è così numerosa che qualcuno è su una terrazza molto lontano pur di assistere al dibattito.

Si rincorrono le voci di un arrestato che è iscritto al partito democratico nello Utah, e via con le accuse, gravi, nei confronti degli avversari politici.

L’arrestato che grida alla folla: «sparatemi, sparatemi!», ma nonostante ciò, viene rilasciato, un altro ancora, avrà la stessa sorte, dopo l’interrogatorio.

Il dibattito sulle armi

Charlie Kirk, molto vicino a Trump, stava affrontando un tema delicato: quello della licenza di possedere un’arma per le persone transgender, di cui contestava l’equilibrio mentale, sulla scia della recente strage di bambini alla scuola cattolica.

Fiero oppositore della cosiddetta ideologia woke, stava sicuramente facendo valere un parallelismo tra un’azione violenta contro dei bambini e chi violenta il dato naturale e reale.

Le convinzioni dei Repubblicani in tema di armi, sostengono che i cittadini onesti ben armati sarebbero un argine per circoscrivere i rischi di un loro utilizzo nocivo. Un paradosso, che in molti, visto l’esito del dibattito, forse in maniera inopportuna, evidenziano.

Gli appelli alla preghiera

Charlie Kirk e Donald TrumpAppena appresa la notizia dell’attentato a Charlie Kirk, il presidente Trump, e contestualmente quello israeliano, avevano fatto appelli alla preghiera per la vita del giovane esponente repubblicano. Poco dopo, però, è arrivata la notizia della sua morte.

Gli appelli alla preghiera non sono poi fuori luogo vista la personalità di Kirk. La sua Fede non solo era manifesta, ma era una fede militante, che coincideva con i valori positivi espressi dalla sua nazione, valori che lui allargava al cosiddetto occidente, in cui includeva, in maniera automatica, anche Israele.

Ecco che lo scontro politico, per lui, si trasformava in una lotta tra il bene e il male, quest’ultimo incarnato quasi sempre dalle iniziative della sinistra.

Una visione certamente manichea e anche semplicistica, ma comunque, appassionante, capace di catalizzare schiere.

La consuetudine dei dibattiti pubblici

La tradizione di dibattere, anche riguardo la fede, è un particolarità protestante derivante dal libero esame.

L’era social ha portato a questi dibattiti una più vasta platea, consentendo l’avanzamento dell’analisi di idee che vorticosamente si affacciano nel panorama sociale, stravolgendo la vita delle persone comuni.

Le idee calate dall’alto, che sono diventate parole d’ordine per la sinistra radicale (traduco «radical left»), non riescono infatti ad imporsi nel contraddittorio, non solo culturale, ma comune.

Quando non ci sono timori reverenziali, o logiche accademiche (di potere, in definitiva), il valore delle idee può esprimersi in maggiore libertà e profondità.

Segnalo altri grandi apologeti, che si sono spesso confrontati anche con le obiezioni islamiche al cristianesimo, rispondendo a queste in maniera logica, e comunque offrendo sempre spunti interessanti: Cliffe Knechtle e Sam Shamoun (personalmente la mia preferenza tra i tre va a quest’ultimo).

C’è quindi un patrimonio prezioso, che alcuni opinionisti, bravissimi nel cavalcare le onde emotive collettive, hanno coltivato e anche indirizzato consapevolmente in ausilio di alcune parti politiche.

Non è un mistero che Charlie Kirk fosse un grande serbatoio di voti per Trump, nonché uno dei più noti esponenti Maga.

La base di Trump è ancora solida come dimostra la folla che assisteva, tuttavia si sono potute osservare crepe profonde e preoccupanti.

I tre pilastri del consenso a Trump

I pilastri della vittoria e del consenso attorno a Trump sono tre: i neoconservatori, gli evangelici e gli isolazionisti (nazionalisti protezionisti).

Se i primi sono alquanto ridimensionati, e in opposizione latente rispetto ali ultimi, gli evangelici sono spesso l’ago della bilancia.

Alcuni, come il sen. Lindsay Graham, credono (è il termine giusto) che gli Usa non si possano mai discostare dalla politica di Israele, e che questo connubio ha una valenza teologica ed è fondamentale per la stessa sopravvivenza degli Stati Uniti, legata alla sua missione.

Il peso di questo cristianesimo politico non è quindi da sottovalutare. Non a caso, ultimamente, ma certamente sempre più spesso nei momenti di crisi, Trump ha parlato di radici giudaico cristiane da rafforzare. Ma anche il buon Elon Musk, che non ti aspetteresti, ha detto recentemente: «Se si elimina la religione, credo che al suo posto si ottenga qualcosa di peggiore di quello che c’era prima. Si ottiene qualcosa di distruttivo, come il virus mentale woke che prende il posto della religione. Si ottengono religioni distopiche di fatto, autodistruttive.

Abbiamo bisogno di una sorta di rinascita della religione o di una filosofia coerente che possa entusiasmare le persone».

La recente foto posta da Trump, per il compleanno, l’8 settembre, della Madre di Gesù (foto che ritrae la statua della Regina della Pace a Santa Maria Maggiore), fa parte della medesima strategia.

Evidentemente il relativismo non è solo un sistema incoerente e incontrollabile per l’individuo, ma rappresenta il disfacimento di ogni società.

La questione di Israele

Posto ciò, la crisi è tutta esterna, e tutta interna. Un sondaggio di Cambridge ha rivelato come la maggioranza della Gen Z (a cui parlava Kirk) è addirittura più a favore della condotta della guerra di Hamas che di Israele.

Lo stesso Trump recentemente in un’intervista ha ammesso che: «Israele è incredibile… Israele era la lobby più forte che abbia mai visto. Avevano il controllo totale sul Congresso, e ora non ce l’hanno più».

Le avventure israeliane in Iran hanno infatti spaccato la base trumpiana. Gli effetti dell’attacco al Qatar, ossia un paese neutrale che ospita negoziati, con il collasso di questi ultimi e delle speranze per gli ostaggi, non si sarebbero certamente fatti attendere.

Mentre per alcuni il rispetto dei diritti umani è il discrimine per il sostegno ad Israele, per altri statunitensi, poi, il coinvolgimento militare americano non ha alcun senso, mancando interessi diretti ed, anzi, costituendo gli Usa, loro malgrado, un grande fattore di destabilizzazione regionale.

Di fronte ad una maturazione politica che non si ferma a «islamico brutto, occidente buono» (in Italia ancora da venire), le preoccupazioni di chi, su questa dicotomia, faceva leva sono evidenti (e non a caso oggi è l’11 settembre).

Da notare, a tal proposito, il messaggio di cordoglio del ministro israeliano Ben Gvir: «La collusione tra la sinistra globale e l’Islam radicale è il più grande pericolo per l’umanità oggi.

Charlie Kirk vide il pericolo e ci mise in guardia. Ma i proiettili di un ignobile assassino lo hanno fermato».

Le recenti affermazioni su Epstein

Ma c’è dell’altro. Il caso Epstein sta ricadendo pesantemente sulla testa del massimo promotore di presunte rivelazioni, ossia Trump.

Forse pensando di manipolare l’opinione pubblica, all’inizio, ora il Presidente si trova a dover sminuire il dossier.

I democratici hanno, però, fatto uscire già una lettera e una foto che riguardano Trump, con pesanti allusioni all’«interesse» -la morbosa oggettivazione del corpo femminile- in comune tra di loro.

Bene, Kirk, dal suo podcast, poco tempo fa ha detto delle cose molto interessanti:

Dal suo punto di vista c’erano delle evidenze che Epstein, una persona altrimenti senza arte né parte, fosse una creatura dei servizi (Mossad, Usa e Sauditi) per controllare i potenti attraverso l’arma del ricatto.

Una tesi che fa tremare, capace di rivelare quel famoso deep-state che lo stesso Trump aveva promesso di squadernare.

Se per Kirk non erano speculazioni (così si esprime), si comprende il terremoto che un approfondimento in tal senso avrebbe potuto comportare, soprattutto in un ambiente geloso della propria indipendenza e sovranità.

Incredibile è poi quanto scritto, un mese fa, da un altro commentatore conservatore MAGA, ossia che una sua fonte gli avrebbe detto che Kirk aveva paura di essere ucciso se si fosse rivoltato contro Israele.

In un video us ito dopo l’uccisione, lo stesso Harrison H. Smith, riprende l’argomento parlando di una sua percezione, dopo un’intervista titubante di Kirk, forse, confermata da questa fonte misteriosa.

Da un punto di vista oggettivo, ovviamente, queste sono tutte speculazioni; tuttavia, certamente, al contrario di quello che pensa il Ministro israeliano, non si tratta di un semplice assassino.

Non sono molti quelli capaci di colpire l’unico punto vulnerabile di un bersaglio con un proiettile che perde potenza, da 200 mt, colpendo l’arteria del collo.

Pare infatti che Kirk avesse il giubbotto antiproiettile.

Armando Mantuano

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