Oggi, più che in passato, Roma e le grandi città in generale, stanno diventando laboratori a cielo aperto di un cambiamento silenzioso ma radicale. In una società dei consumi esasperati che tende all’uniformità e alla perfezione levigata, l’usato propone l’asimmetria, l’irregolarità, la novità. E queste caratteristiche diventano oggi sempre più accattivanti.
Il desiderio oggi è ingegnerizzato: gli algoritmi ci mostrano quello che «dovremmo volere». L’usato scardina questa logica. Non è progettato per piacerti. Non ti viene suggerito: lo devi cercare. E quando lo trovi, spesso ti sorprende.
In pochi secondi possiamo ordinare qualsiasi cosa, ovunque. Ma in parallelo cresce l’attrazione per ciò che non è immediato, non perfetto, non automatico.
In passato, gli oggetti avevano un’anima e si tramandavano di generazione in generazione, legati a momenti importanti della vita quotidiana.
Un rapporto diverso con le cose
Oggi, sebbene il concetto sia cambiato, l’usato può in parte recuperare questa funzione. Non si tratta più soltanto di comprare o vendere un articolo, ma di ristabilire un rapporto diverso con le cose, che va oltre il semplice possesso. Inoltre da un punto di vista economico, l’usato permette di risparmiare senza rinunciare alla qualità o alla funzionalità.
Ma non si tratta solo di risparmiare: si tratta di non contribuire alla produzione superflua, di rifiutare l’omologazione e di costruire un’estetica personale più autentica. Ogni oggetto già vissuto è una piccola forma di resistenza alla cultura dell’usa e getta.
Non solo Porta Portese
Roma è piena di spazi dove l’usato trova casa. C’è Porta Portese, ovviamente, il mercato domenicale che è quasi un rito, ma ci sono anche tanti mercatini minori, nati nei quartieri residenziali.
Ecco perché la cultura dell’usato a Roma non è una moda. È un’espressione coerente con l’anima della città: una città che ha fatto del riuso una filosofia di vita, una città che è sempre cambiata senza mai cancellarsi.
C’è anche chi abbraccia l’usato per una questione di stile. Perché è stanco del fast fashion, dei mobili tutti uguali, delle cucine «instagrammabili».
Nel vintage, nell’oggetto recuperato o ridipinto, c’è l’imperfezione che racconta, il dettaglio che resiste, il tempo che non è nemico, ma valore aggiunto.
In questo modo, l’usato diventa una pratica che fa bene al portafoglio e, allo stesso tempo, aiuta a gestire in modo più consapevole ciò che possediamo. È una strategia semplice, ma efficace, per mettere ordine in un sistema che troppo spesso punta solo alla novità e al consumo veloce.
Maria Facendola
