Chi domina le parole domina le menti e impedisce la critica e l’approfondimento. È noto come un ricco vocabolario sia l’antidoto all’omologazione. Ebbene, due Disegni di Legge sul contrasto all’antisemitismo, presentati al Senato, sembrano ispirati più al Grande Fratello del romanzo distopico «1984» di George Orwell che alla nostra democrazia. Si tratta dei Dl a prima firma Massimiliano Romeo il primo e Maurizio Gasparri il secondo.
Entrambi partono dall’utilizzo di una controversa definizione dell’Alleanza internazionale per la memoria dell’Olocausto del 2016 assolutizzando gli orientamenti di una sua possibile applicazione.
L’antisemitismo è una certa percezione degli ebrei che può essere espressa come odio per gli ebrei. Manifestazioni di antisemitismo verbali e fisiche sono dirette verso gli ebrei o i non ebrei e/o alle loro proprietà, verso istituzioni comunitarie ebraiche ed edifici utilizzati per il culto
Tra gli orientamenti più discutibili: accusare lo Stato di Israele di esagerare i contenuti dell’Olocausto; accusare i cittadini ebrei di essere più fedeli a Israele; negare agli ebrei il diritto dell’autodeterminazione, per esempio sostenendo che l’esistenza dello Stato di Israele è una espressione di razzismo; fare paragoni tra la politica israeliana contemporanea e quella dei nazisti.
Come si può vedere non manca uno spiraglio di interpretazione in bonam partem, ossia che non mischi arbitrariamente critica politica con antisemitismo, ma l’orientamento si presta a essere strumentalizzato. E così è stato.
I Dl Romeo e Gasparri
I due Dl prendono come base giuridica la dichiarazione della Commissione Ue del 2018 sulla strategia globale di contrasto all’antisemitismo e sono stati presentati sulla spinta di contestuali fatti di cronaca.
La dichiarazione «esorta gli Stati membri che non l’hanno ancora fatto ad approvare la definizione operativa giuridicamente non vincolante di antisemitismo utilizzata dall’Alleanza internazionale per la memoria dell’Olocausto (Ihra) quale utile strumento di orientamento nell’istruzione e nella formazione, anche per le autorità di contrasto nelle loro iniziative volte a individuare e indagare sugli attacchi antisemiti in modo più efficiente ed efficace.»
Il Decreto Legge Romeo prevede:
- Art. 3. 1. Il diniego all’autorizzazione di una riunione o manifestazione pubblica per ragioni di moralità, di cui all’articolo 18 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza di cui al regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, può essere motivato anche in caso di valutazione di grave rischio potenziale per l’utilizzo di simboli, slogan, messaggi e qualunque altro atto antisemita ai sensi della definizione operativa di antisemitismo adottata dalla presente legge.
Il riferimento, nemmeno tanto velato è all’oceanica partecipazione alle manifestazione di piazza a sostegno della popolazione di Gaza, volutamente distorta in chiave antisemita.
Si parla di «rischio», con ampia discrezionalità, mentre agli articoli precedenti si punta ad una complessa opera persuasiva attraverso diversi canali.
Il Dl Gasparri, è addirittura più esplicito. In esso, in nome della specifica definizione dell’Associazione, si pretende di inasprire della metà le pene previste dal reato di cui all’art. 604-bis del Codice Penale:
- qualora l’offesa sia recata con l’uso, in qualsiasi forma, di segni, simboli, oggetti, immagini o riproduzioni che esprimano, direttamente o indirettamente, pregiudizio, odio, avversione, ostilità, lotta, discriminazione o violenza contro gli ebrei, la negazione della Shoah o del diritto all’esistenza dello Stato di Israele.
Lo slogan «From the river to the sea», ad esempio, è stato già bollato come antisemita da più di un quotidiano, senza volerne far capire il senso e il significato.
Ciò che preoccupa di più è il seguente esplicito passaggio che bolla tout court l’antisionismo (specie) come una forma di antisemitismo (genere):
- Il Ministro dell’istruzione e del merito istituisce, presso le scuole di ogni ordine e grado, corsi annuali di formazione rivolti agli studenti, al fine di favorire il dialogo tra generazioni, culture e religioni diverse, e di contrastare le manifestazioni di antisemitismo, incluso l’antisionismo.
Tuttavia la strumentalità dell’operazione si coglie dalle premesse:
- La moltiplicazione di episodi antisemiti si è in parte fondata – analogamente a quanto purtroppo ancora succede per l’Olocausto – sul negazionismo delle violenze, soprattutto contro le donne e i bambini, perpetrate il 7 ottobre, e su un radicale rifiuto di Israele.
In concomitanza con la presentazione del disegno di legge, infatti, proprio Gasparri attacca la giornalista di Rai 3 Lucia Goracci chiamandola «negazionista del 7 ottobre» (si badi alla neolingua), per aver detto riferendosi alle parole del Premier israeliano: «che riconoscere lo stato di Palestina è un premio ai killer del 7 ottobre, agli stupratori, a chi ha bruciato bambini. Quest’ultima è stata più volte dimostrata essere una fake news, da varie inchieste giornalistiche»
Si tratta di una evidente inibizione della ricerca giornalistica indipendente, un invito alla tribalizzazione dell’informazione.
L’opposizione a Netanyahu
Al momento del recente discorso di Donald Trump alla Knesset, il parlamento monocamerale d’Israele, c’è stato un momento significativo, quando due deputati del partito di opposizione Hadash, Ayman Odeh e Ofer Cassif, hanno alzato un piccolo foglio con su scritto «Riconosci la Palestina!» e sono stati prontamente sbattuti fuori dall’aula, tanto da suscitare l’invidia del tycoon per l’efficienza.
Ebbene, proprio la loro formazione politica, riconosciuta nello Stato di Israele, pone molti dubbi sulla deriva dei nostri legislatori.
Infatti, il partito Hadash si definisce esplicitamente non sionista, ed è per la soluzione «Due Popoli e due Stati» con eguali diritti per i palestinesi. Oltre a loro, in Israele ci sono esempi di rabbini anti sionisti che credono che la costruzione dello Stato di Israele violi i piani di Dio e sia anti ebraica.
Ebbene, costoro, che hanno agibilità politica (non senza sofferenze) in Israele, sarebbero criminalizzati in Italia. E che dire degli studenti palestinesi ospitati con tanto vanto dall’Italia. Dovranno subire un lavaggio del cervello?
Infatti, tra le opinioni politiche riguardanti la fine del conflitto tra i palestinesi e lo Stato di Israele, c’è chi sostiene, invece della soluzione «Due Popoli e due Stati», quella di uno Stato binazionale, laico, con eguali diritti, contrapponendosi alla definizione etno-religiosa di Stato ebraico di Israele formalmente assunta dal 2018 e, quindi, di fatto ad uno Stato d’Israele. Da qui lo slogan «Dal fiume al mare».
Infatti, per costoro, essere sionisti nel presente quadro politico, significherebbe accettare de plano la caratterizzazione dei palestinesi come cittadini di serie B.
Ciò, al di là delle questioni sull’identità palestinese dello Stato su cui si è insediato quello israeliano.
Le alternative di Nexus Document e Jda
Questi punti sono stati presi esplicitamente in considerazione in altre definizione di organismi ebraici (Nexus Document e Jda) più attenti a non strumentalizzare la memoria dell’Olocausto.
Inoltre, la proposta del senatore Maurizio Gasparri si pone, a mio avviso, anche in contraddizione con la norma che intende ampliare. Infatti, l’attuale ultimo comma dell’art. 604 bis cp recita:
Si applica la pena della reclusione da due a sei anni se la propaganda ovvero l’istigazione e l’incitamento, commessi in modo che derivi concreto pericolo di diffusione, si fondano in tutto o in parte sulla negazione, sulla minimizzazione in modo grave o sull’apologia della Shoah o dei crimini di genocidio, dei crimini contro l’umanità e dei crimini di guerra, come definiti dagli articoli 6, 7 e 8 dello statuto della Corte penale internazionale.
Come noto la Corte penale Internazionale ha emesso mandati di arresto per figure apicali del Governo israeliano, per cui minimizzarne la portata dovrebbe essere perseguibile, se associato ad una propaganda fondata sulla superiorità, ideologia che abbiamo peraltro assimilato: l’occidentalismo. A tal proposito le dichiarazioni con riferimento alla Corte e al diritto internazionale dei nostri rappresentanti suscitano più di una perplessità.
La giustificazione assolutoria rispetto a tali accuse è, poi, sempre più spesso, un’accusa di antisemitismo, che, associata all’antisionismo tout court, e, quindi, al suo portato anti colonialista (e quindi razzista), comporterebbe l’ennesimo corto-circuito.
Per uscire fuori da questa empasse, bisognerebbe evitare associazioni rigide come quelle proposte negli orientamenti dall’Ihra, e men che meno assolutizzarle in una norma.
In definitiva, anche gli esempi del presente articolo dimostrano l’assoluta varietà di posizioni politiche sia tra gli ebrei, sia tra i cittadini israeliani, sia tra i partiti, sia, vorrei dire, all’interno del movimento sionista, anche se sempre di più è caratterizzato secondo logiche di incompatibilità con la democrazia.
Collettivizzare le responsabilità è sempre un male, ma dovrebbe tanto più valere nelle narrazioni di chi si vorrebbe farsi portatore di certi valori.
Parlare di Pallywood, rispetto alle sofferenze del popolo palestinese, inibire la legittimità di una lotta per l’autodeterminazione, che si spera diventi solo non violenta ma che deve portare al raggiungimento della sovranità e indipendenza piena, addirittura giustificare una punizione collettiva a tutta la popolazione per atteggiamenti di approvazione di alcuni (ma anche fossero di tutti) rispetto ai fatti del 7 ottobre, vanno esattamente nella stessa direzione rispetto al contestato antisemitismo.
Peraltro, i palestinesi, popolo semita, casomai, hanno recepito l’antisemitismo dalla mentalità europea, dovendo quindi evitare ancor di più la sovrapposizione tra antisionismo e antisemitismo.
Armando Mantuano