Michael J. Sandel è un filosofo e anche un economista, nel senso che indaga la filosofia del mercato, ossia le implicazioni etiche dell’economia liberista. Nel saggio Quello che i soldi non possono comprare analizza gli effetti di un mercato sempre più invasivo nella vita intima e pubblica delle persone.
Gli esempi di distorsioni del mercato sono innumerevoli, ma ancor più importante è la contestazione di una logica economica che assumiamo senza discussione alcuna come dogma.
I limiti morali del mercato
Al contrario del pensiero dominate, l’autore crede che esistano dei confini che il mercato non dovrebbe superare, pena la corruzione del significato di certi beni, soprattutto immateriali.
La vita, la dignità la partecipazione popolare, la sportività, l’autenticità, l’amore, l’educazione, sono solo alcuni degli asset, il termine è volutamente fuori contesto, che determinano la salute di una società.
Mentre per gli economisti classici nessuno di questi beni può essere corrotto, per l’autore la visione mercantilista non solo li svilisce, ma li corrompe, comportando deficit sociali e valoriali non quantificabili.
Ciò accade, ovviamente, anche quando tali valori sono aggrediti in via indiretta, attraverso beni che potrebbero essere definiti materiali.
La vendita di un rene, l’acquisto di servizi, l’affitto di auto, o di parti del corpo, per la promozione pubblicitaria.
Efficienza vs senso civico
Un’altra intuizione di Michael J. Sandel è la contestazione dell’efficienza come parametro unico per valutare le scelte degli uomini.
Collegata a ciò c’è la considerazione dei beni collegati all’altruismo, come beni deperibili, da conservare, e magari riservare per le relazioni familiari, utilizzando al meglio il carattere egoista del criterio economicista.
Quello che individua l’autore è una perdita di ruolo e di funzione dell’economia a scapito dell’ambito umano e pubblico.
Ad esempio, permettere l’incentivo economico in ambiti di scelta caratterizzati dal senso civico, corrode quel senso civico, stravolgendone il significato e la rilevanza.
Permettere l’acquisto a terzi di assicurazioni sulla vita promuove il senso cinico dell’esistenza altrui che si ha l’interesse a vedere terminata il prima possibile.
Anche qualora il criterio economicista comporti l’equità e la libertà delle scelte, condizione che si dà spesso per scontata, la questione è morale, nel senso che l’allocazione efficiente di risorse, in se un fine buono, si risolverebbe in una promozione di una logica che deteriora il bene comune.
Ma qui le domande si fanno più filosofiche, bisogna definire cosa sia il bene comune, cosa lo caratterizzi e le caratteristiche dei beni morali.
Partendo dall’ultima questione, l’autore intuisce che tali beni si rafforzano con l’uso e che, al contrario delle teorie conservative che ne limiterebbe la rilevanza a pochi e selezionati ambiti, la mancata progressione e promozione li atrofizza. E sono i beni della democrazia, quindi, paradossalmente si potrebbe dire che il mercato senza confini finisce per corromperla. Proprio il contrario di quello che saremo abituati a pensare.
La ricerca del bene comune
Per quanto riguarda il bene comune, l’autore contrappone alla visione degli economisti di mercato, una propria intuizione.
Il bene, infatti, anche se non lo dice espressamente, non è solo un’aggregazione di molte valutazioni che gli individui fanno sul proprio benessere. Senza formulare una teoria morale indipendente da tali preferenze, egli si discosta da un modello in cui le scelte individuali (anche complessivamente intese) sono sovrane.
Da questo punto di vista sarebbe utile riprendere in mano quanto dice la dottrina morale cattolica che ha affrontato la questione sociale a partire dall’enciclica Rerum Novarum di Papa Leone XIII del 1891. Il bene comune, infatti non è definito solo come la somma dei beni individuali, ma è l’insieme delle condizioni sociali che permettono lo sviluppo integrale della persona umana anche nelle formazioni sociali, prima fra tutte la famiglia. Questo attraverso la promozione della persona della giustizia sociale, della partecipazione, della solidarietà e dalla pace.
Sandel si chiede se in una società democratica «la questione dei mercati è davvero una questione su come intendiamo vivere insieme. Vogliamo una società in cui ogni cosa è in vendita? Oppure ci sono certi beni morali e civici che i mercati non onorano e che i soldi non possono comprare?
Le origini del degrado valoriale della nostra società è identificato con la perdita di terreno dei dibattiti morali, impauriti che le nostre posizioni possano farci considerare intolleranti, con ciò dando via libera ai mercati che hanno dato significato a tutto quanto.
«Una volta che vediamo che i mercati e il commercio cambiano il carattere dei beni che toccano — osserva Sandel —, dobbiamo chiederci dov’è il loro posto, e dove non lo è. E non possiamo rispondere a questa domanda senza riflettere sul significato e sul fine dei beni, e sui valori che dovrebbero governarli.
Tali riflessioni toccano, inevitabilmente, concezioni della vita buona in competizione tra loro. Si tratta di un terreno che talvolta abbiamo paura di calpestare. Temendo il dissenso, esitiamo a portare le nostre convinzioni morali e spirituali sulla pubblica piazza. Ma arretrare di fronte a questi interrogativi non li lascia irrisolti. Comporta semplicemente che i mercati li risolveranno al posto nostro.
Questo è l’insegnamento degli ultimi tre decenni. L’era del trionfalismo dei mercati ha coinciso con un periodo in cui il dibattito pubblico si è largamente svuotato di contenuti morali e spirituali».
Ed ancora: «Non appena il servizio a favore della comunità cessa di essere l’interesse primo dei cittadini, ed essi preferiscono servire più con la loro borsa che con la loro persona, lo stato è già prossimo alla rovina.
Aristotele insegnava che la virtù è qualcosa che coltiviamo con la pratica: ‘compiendo azioni giuste diventiamo giusti, con azioni temperate temperanti, con azioni coraggiose coraggiosi’. Rousseau aveva una posizione simile. Più un paese chiede ai propri cittadini, più devozione ottiene. In uno stato ben ordinato ciascuno corre alle assemblee’. Sotto un cattivo governo, nessuno partecipa alla vita pubblica ‘perché nessuno si interessa a ciò che vi si fa’».
«Alcune persone vi si oppongono sulla base del fatto che raramente, per non dire mai, è davvero volontaria. Costoro sostengono che chi vende il proprio corpo a scopi sessuali vi è solitamente costretto, vuoi dalla povertà, dalla tossicodipendenza o dalla minaccia della violenza.
È questa una versione dell’obiezione dell’equità. Ma altri si oppongono alla prostituzione per il fatto che è degradante per le donne, che vi siano o meno costrette. Sostengono che la prostituzione è una forma di corruzione che umilia le donne e promuove atteggiamenti sbagliati nei confronti del sesso.
L’obiezione del degrado non dipende da un consenso alterato; essi la condannerebbero persino in una società senza povertà, persino in casi di prostitute d’alto bordo a cui piace quel lavoro e che lo hanno scelto liberamente».
L’impostazione dell’autore permette di ridare credibilità all’approccio morale rispetto alle questioni etiche sulle quali si dibatte oggi, quali le leggi sul fine vita, la procreazione medicalmente assistita e la gestazione per altri, ad esempio.
Infatti, ad essere messa in discussione del libro non è solo una teoria economica, ma l’assunto che l’autodeterminazione sia il criterio di ogni scelta, di cui il liberismo economico è il primo precipitato.
Al nocciolo della questione c’è una visione antropologica e comunitaria, come di valori condivisi, che si contrapponga all’uomo che «conosce il prezzo di tutto e il valore di niente».
Armando Mantuano
Michael J. Sandel
Quello che i soldi non possono comprare
Feltrinelli, pp.240