Romano Prodi, incalzato sul Manifesto di Ventotene, tema salito alla ribalta per la citazione fatta dalla Premier in aula, ha risposto in maniera tracotante e aggressiva alla giornalista Lavinia Orefici di Quarta Repubblica.
Una scena imbarazzante, volgare, che ripugna e che sulle prime è stata minimizzata dalla stampa di sinistra.
L’ex Presidente del Consiglio e della Commissione Europea si è difeso con una bugia: «Le ho messo una mano sulla spalla, perché diceva cose assurde». Ovvero un gesto di paternalismo, da barone universitario, nei confronti di una studentella ai primi mesi. Invece che verso una giornalista che sta ponendo delle domande, ossia sta facendo il suo lavoro.
Eppure già i primi video circolati mostrano Romano Prodi con in mano una ciocca di capelli chiara. C’è da chiedersi se, quando l’intervistato agita le mani all’altezza del viso della giornalista, le afferra una parte del corpo e la tira, non sia una sorta di aggressione, limitata, forse, solo dalla debolezza fisica.
Che Prodi non fosse sereno si deduce anche da alcune delle risposte fuori tema fornite nell’intervista. Quando tenta di giustificare le parti «scomode» del Manifesto di Ventotene perché «sa, erano internati dal fascismo, mica stavano pensando all’art. 2 della Costituzione». Oppure quando si lancia in una paragone tra Maometto e gli estensori del Manifesto. Che quindi sarebbe il Corano della sinistra!
Il video de LA7
Come se non bastasse anche Giovanni Floris ha tirato fuori a DiMartedì un video che sbugiarda le difese di Prodi e l’atteggiamento condiscendente della sua corte.
La scena ripresa da una diversa angolazione, infatti, mostra chiaramente quello che chi non ha la cataratta ideologica già aveva visto. Romano Prodi, dopo aver agitato la mano a pigna davanti alla bocca dell’intervistatrice, le tira intenzionalmente una ciocca di capelli.
Un gesto che una volta acclarato non può che suscitare l’ilarità della stampa straniera rafforzando gli stereotipi sull’italiano. Non proprio una promozione internazionale da parte di un esponente delle istituzioni europee.
Magari, con questa ispirazione, uscirà anche un nuovo classico del cantante estone Tommy Cash, quello del tramontabile «espresso macchiato», un inno trash euroatlantico, candidato a vincere l’Eurovision.
Il disprezzo di Oriana Fallaci
Il disprezzo preventivo mostrato a suo tempo da una grande giornalista come Oriana Fallaci è quasi una giustizia premonitrice verso l’affronto fatto verso Romano Prodi nei confronti di un’altra giornalista e donna.
Nella Forza della Ragione, Oriana Fallaci aveva scritto riguardo il leader dell’Ulivo : «Signor Presidente della Commissione Europea, so che in Italia la chiamano Mortadella. E di ciò mi dolgo per la mortadella, che è uno squisito e nobile insaccato di cui andar fieri, non certo per lei che in me suscita disistima fin dal 1978, in cui partecipò a quella seduta spiritica per chiedere alle anime del Purgatorio dove i brigatisti nascondessero il rapito Aldo Moro».
Un fatto strano, da cui emerse l’indicazione «Gradoli» che gli inquirenti associarono alla cittadina vicino Viterbo, mentre, poi, il Brigatista Moretti capo della cellula terroristica responsabile dell’omicidio dello statista della DC, si trovava a Roma, proprio in via Gradoli, in zona Cassia.
Ebbene, è strano questo Prodi esoterico che racconta come un gioco quello che qualsiasi credente cattolico maturo (come si definiva) vedrebbe non solo come sospetto, ma pericoloso, considerandolo uno dei canali di irruzione del demonico nel quotidiano. Tra i partecipanti a quella «riunione» anche altri esponenti di spicco della politica italiana, come si evince dalla loro lettera al presidente della Commissione d’inchiesta sulla strage di via Fani.
A ben guardare, la reazione verso la Lavinia Orefici, non solo immotivata e sproporzionata, ma incongruente con l’indole del professor Prodi, o meglio, quella che si percepisce, ha qualcosa di innaturale, e ogni tentativo di minimizzazione provoca ancora più ripulsa.
Le scuse tardive di Prodi
Alla fine, dopo qualche giorno, Prodi si è scusato. O precisamente ha detto che è stato un errore, un gesto fuori contesto (lui in ambito familiare farebbe così), però ritiene che dalle immagini non si evinca alcuna aggressione e intimidazione (e, allora, di grazia, di cosa scusarsi?).
In realtà, la codifica delle immagini nella loro manifesta eloquenza, non permettono alcuna confusione con una presunta intimità e confidenza non richiesta (anch’essa grave) e inopportuna. L’agitare le mani precedente, all’altezza del viso dell’interlocutrice, avvicinandosi con il corpo, per poi concludere l’azione con la presa dei capelli, notoriamente parte sensibile e vulnerabile del corpo di una donna, da cui «piegarla» al proprio volere, non permette esitazioni.
«Questa vicenda ― afferma ancora Prodi ― mi offre l’occasione per una riflessione che forse è utile. Penso sia un diritto di ciascuno, non importa affatto quale ruolo abbia ricoperto nella vita, rivendicare la propria storia e la propria onorabilità e non accettare, come un destino inevitabile, la strumentalizzazione e persino la derisione dilaganti, anche grazie alla potenza della Rete. Come se un’intera vita non contasse, come se il futuro non esistesse».
Si sarebbe giocato la propria onorabilità, con quel gesto? Suvvia, non esageriamo. In realtà è stato l’atteggiamento successivo, ossia l’incolpare la giornalista e il rivendicare una qualche forma di affettività ad allarmare, anche perché sono gli stessi che pretenderebbero anche di educare all’affettività. Tutto ciò è stato poi aggravato anche dal silenzio dei difensori dello schwa, o dallo schierarsi con quel #iostoconromano di Enrico Letta, e di Gori a nome di tutto il Pd al parlamento Ue, arrivando addirittura a congratularsi per aver colpito i sicari di regime, come Massimo Giannini.
Perché non scusarsi ― magari subito ― con la giornalista, dicendo, non mi sono reso conto? E magari promettere un più ampio contributo sulla questione della difesa dei diritti individuali unita alla promozione della solidarietà sociale alla stessa professionista?
Proprio per la propria personale storia, di cui si dovrebbe essere fieri, che era esattamente quello che interessava all’opinione pubblica.
Non si dovrebbe infatti dimenticare che ogni sgarbo fatto ad un giornalista è un disprezzo agli utenti dell’informazione, ossia alla democrazia.
Armando Mantuano
