REGIONE TOSCANA

Suicidio assistito dalla Asl,
e Marco Cappato brinda

La Toscana ha inserito il suicidio assistivo nelle prestazioni del Servizio Sanitario Regionale

 

Con l’attività di aiuto al suicidio del presidente Marco Cappato, l’Associazione «Luca Coscioni» ha già raggiunto l’obiettivo della depenalizzazione del reato nella parte dell’agevolazione materiale che non viene più considerata favoreggiamento del proposito «omicida». Ma alla lobby, tale in quanto mancante di rappresentanza popolare, questo «successo» non basta e punta a condizionare l’agenda politica, partendo dalle Regioni.

Una di queste, la Toscana, ha raccolto l’appello.

Marco Cappato, presidente dell'associazione 'Luca Coscioni' Lo strumento è sempre quello di forzare l’intervento favorevole della magistratura in funzione vicaria rispetto al potere politico, approfittando dell’erosione, in atto, della divisione dei poteri che vede la sovrapposizione del potere giudiziario al potere legislativo del Parlamento.

Se infatti, in teoria, nel nostro ordinamento, la discrezionalità è più rigida vincolandosi alla legge positiva esistente, in pratica, c’è spesso la tendenza ad assecondare i modelli di common law, dichiarandosi esperti dell’aggiornamento sociale e del «sentimento popolare».

Anche la sollecitazione, della Magistratura, a legiferare in materia, dal carattere sempre più vincolante, con ultimatum di sostituzione e addirittura termini a riguardo, non può che orientarsi in quel contesto.

Iniziative giudiziarie e «rinforzi» regionali

In difetto di una rappresentanza politica nazionale capace di portare avanti la propria particolare agenda, è sempre più consuetudine la legiferazione a macchia di leopardo su base regionale, in contrasto con la necessaria uniformità in ambiti essenziali, giustificata dal condurre una pressione politica sul Governo.

In ciò non si può non vedere una richiesta, e spesso attuata, sincronia col potere giudiziario, come se due invasioni di campo si sanassero vicendevolmente.

Gli esempi sono molteplici, i registri per i cosiddetti «testamenti biologici», una terminologia «sinistra», prima ancora della legge sulle Dichiarazioni anticipate di trattamento (Dat), oppure quelli sulle unioni civili, prima della relativa legge Cirinnà, sono solo due esempi di questa strategia di ingegneria sociale, con una risposta peraltro irrisoria dalla popolazione, che evidenzia, al contrario, la sua superfluità.

Per quanto riguarda come affrontare dal punto di vista medico il fine vita c’è peraltro un altro discorso da fare.

L’implementazione delle cure palliative rimane la priorità se il fine è veramente quello di evitare quella sofferenza insostenibile individuata anche dalla Corte Costituzionale come condizione sine qua non per la richiesta di eutanasia attiva.

Nel caso, infatti, si presentasse un problema di mera volontà contraria alla propria permanenza in vita, il problema sarebbe quello dell’aiuto al suicidio.

La pressione sul Servizio Sanitario Nazionale

L’intervento giudiziale ha un po’ sovrapposto eutanasia e suicidio, dando adito ad ulteriori rivendicazioni.

Non a caso, la stessa Associazione Luca Coscioni, fa leva sulla mera volontà di essere contrari alle sedazione palliativa per «rimanere lucidi fino alla fine», una fine, però, arbitrariamente individuata.

Anche l’emigrazione terminale in Svizzera, promossa dalla stessa associazione, cerca di presentare l’«opportunità» del suicidio come un privilegio riservato a chi dispone di notevoli risorse, forzando l’inclusione nel Servizio Sanitario Nazionale.

In realtà la questione è anche di politica economica, e della direzione che deve prendere l’assistenza e il welfare, se verso la cura o verso la, magari più economica, soppressione.

Se in teoria gli ambiti venissero ritenuti indipendenti, nella pratica l’implementazione di una si conduce a scapito dell’altra, o con un forte condizionamento.

L’idea poi che certe condizioni di malattia comportino meno dignità della relativa vita si pone in antitesi con il valore, si direbbe assoluto, da dare ad ogni vita da parte del medico.

I limiti di incostituzionalità

Al di là di tali discorsi di bioetica, sul piano del diritto si pone il contrasto di detta legge con l’art. 117 della Costituzione per cui lo Stato ha competenza esclusiva sulla legislazione nelle seguenti materie:

  • l) giurisdizione e norme processuali; ordinamento civile e penale; giustizia amministrativa;
  • m) determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale.

In un precedente autorevole la Corte di Cassazione n.262/2016 aveva escluso che la Regione Friuli Venezia Giulia potesse legiferare sulle Dat, in assenza di una legge nazionale, stante l’individuazione del principio all’autodeterminazione che non consente la competenza regionale.

Analogamente l’insistere sull’autodeterminazione terapeutica del paziente soggetto alla Legge regionale toscana non fa che evidenziare l’incostituzionalità della stessa.

Peraltro, la stessa individuazione di una gratuità di spesa qualifica il suicidio assistito come diritto soggettivo, al contrario della stessa sentenza della Corte costituzionale n 242 del 2019 che individua mere ipotesi di esenzione dalla punibilità della condotta.

Si richiamano anche prinicpi di diritto europeo (par. 2.2.): «La presente declaratoria di illegittimità costituzionale si limita a escludere la punibilità dell’aiuto al suicidio nei casi considerati, senza creare alcun obbligo di procedere a tale aiuto in capo ai medici, dall’art. 2 Cost. – non diversamente che dall’art. 2 Cedu – discende il dovere dello Stato di tutelare la vita di ogni individuo: non quello – diametralmente opposto – di riconoscere all’individuo la possibilità di ottenere dallo Stato o da terzi un aiuto a morire.

Che dal diritto alla vita, garantito dall’art. 2 Cedu, non possa derivare il diritto di rinunciare a vivere, e dunque un vero e proprio diritto a morire, è stato, del resto, da tempo affermato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, proprio in relazione alla tematica dell’aiuto al suicidio (sentenza 29 aprile 2002, Pretty contro Regno Unito).

Proprio in virtù di tale sentenza, come anche di quella che ha dichiarato inammissibile il referendum abrogativo del reato ex art. 579 Codice penale (omicidio del consenziente), sembra che la costruzione di un vero e proprio diritto soggettivo a porre termine alla propria vita possa considerarsi incostituzionale, a prescindere anche dall’individuata competenza statale a riguardo.

La Legge della Regione Toscana

Anche se la norma della Regione Toscana che inserisce il suicidio assistito nel Servizio sanitario regionale viene presentata come mera applicazione della sentenza della Corte costituzionali n. 242 nel dettare tempi e modalità, senza considerare che già questo rappresenterebbe una fattispecie scriminante sul piano penale, le relative prestazioni rappresentano indubbiamente una diversificazione dei livelli essenziali di assistenza.

Ogni legge, poi, si fonda sull’interpretazione delle condizioni per la sua applicazione, quindi una tale discrezionalità a livello regionale minerebbe un consenso comune e generalizzato.

Significativo poi che la legge Regionale non contempli l’ipotesi di un’obiezione di coscienza, ambito prioritario della tanto declamata tutela all’autodeterminazione, eliminando un bilanciamento doveroso degli interessi dei soggetti coinvolti.

Evidentemente non si avrebbero neanche i mezzi per condurre un dibattito conforme sul tema, e ciò discende dalla sostanziale incompetenza regionale sul punto.

Non c’è quindi tanto margine di dubbio sulla incostituzionalità della proposta, che sembra una mera trovata pubblicitaria, attuata, non a caso, nella giornata mondiale del malato, per coinvolgere ancora la Corte Costituzionale nella sua supposta funzione politica vicaria.

Armando Mantuano *avvocato

Lascia un commento