GUBBIO Caccia al cinghiale. Ma chi è la vittima?

Qualcosa non torna. Succede a Gubbio in una frazione, la prima a est della città. É domenica mattina, approfitto per dormire un po’ di più, ma il rumore di spari molto vicini mi fa sobbalzare dal letto.

Un attimo e realizzo che mi avevano avvertito che oggi ci sarebbe stata una battuta di caccia al cinghiale, autorizzata in seguito alla richiesta di risarcimento presentata dal mio vicino per i danni subiti in un piccolo vigneto.

Preferisco non fare commenti sul valore della vita di una creatura a fronte di qualche bottiglia di vino in meno. Faccio uscire un attimo i cani per fare e bisogni e sbircio oltre la recinzione.

Un cacciatore da la schiena alla mia abitazione, di fronte ne ha un’altra, non ho voglia di verificare le distanze, sono troppo arrabbiata. Penso al cinghiale che stanno cacciando, a quello che può provare… faccio rientrare i cani, temo per loro. Le gatte rigorosamente dentro! Accendo la televisione a tutto volume, per non sentire gli spari.

Poi, scatta qualcosa e decido di uscire, ma non c’è più nessuno. Poco dopo scopro che la squadra di cacciatori sta facendo colazione, dopo aver ammazzato il povero cinghiale. Provo a intavolare una discussione, per capire, e, cosa emerge? Che le vittime sono loro, poveri cacciatori. Cacciano perché sono obbligati, perché i danni causati dai cinghiali non possono essere risarciti. A loro non fa piacere cacciare i cinghiali, ma c’è un’emergenza e se non intervengono rischiano sanzioni.

Non so se ridere o piangere e, dopo un vivace scambio di opinioni, salgo in macchina e me ne vado. Forse domani ci sarà un’altra battuta di caccia. Ma la soluzione al problema è a monte: i cinghiali autoctoni non sono così prolifici e la matriarca del branco va salvaguardata, pena la gravidanza delle altre femmine.

Le istituzioni, anche loro sono vittime? Da una parte i cacciatori e dall’altra gli agricoltori? Mi sorge un dubbio, anzi più di uno.

Ernesta Cambiotti
Presidente Animal Mind Italia sezione Umbria

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