VIA ACCA LARENTIA

Quarant’anni fa la strage
rimasta impunita

 

Migliaia di persone hanno sfilato a Roma per ricordare la strage di via Acca Larentia, avvenuta 40 anni fa, nella quale furono uccisi due giovani militanti del Fronte della gioventù, Franco Bigonzetti e Francesco Ciavatta, mentre un terzo, Stefano Recchioni, venne ucciso poche ore dopo durante le proteste seguite all’agguato.

L’omaggio ai ragazzi uccisi è andato avanti per tutta la giornata. Il gruppo più numeroso è stato quello di Casapound che ha raggiunto in un corteo silenzioso il luogo dove si trovava la sezione del Msi. Alla commemorazione del mattino ha partecipato l’ex sindaco di Roma, Gianni Alemanno, che ha lamentato che alla deposizione della corona di fiori non abbia preso parte alcun esponente del Comune, come invece accaduto in passato.

Ecco come ha ricostruito l’agguato il giornalista Adalberto Baldoni su «Il Tempo»: Il 7 gennaio 1978 intorno alle 18.20 un gruppo di militanti del Fronte della Gioventù sta uscendo alla sezione di via Acca Larentia per recarsi ad un volantinaggio in Prati. «Un gruppetto di cinque o sei giovani girato l’angolo di via Evandro, avanza velocemente verso la sezione. Apre il fuoco. Bigonzetti non riesce neppure a fare due passi: investito dal piombo è colpito alla testa, cade davanti alla sezione. Due sagome si staccano dal gruppo dei killer, si avvicinano e sparano di nuovo, mentre Segneri, ferito al braccio destro, fa in tempo a rientrare, spingendo a terra gli altri due giovani che si trovano sulla soglia del locale. Ma per Ciavatta che segue Bigonzetti, non c’è scampo: tenta di fuggire attraverso la rampa di scale che porta a via delle Cave. È come se vivesse la sua morte al rallentatore: giunto al secondo gradino viene investito da una raffica di proiettili. È ferito, ma con la morte aggrappata addosso, raggiunto il ballatoio in cima alla scalinata, si butta giù dalla rampa. Poi crolla a terra. Gli assassini si fermano davanti alla porta della sezione missina. Non sono riusciti ad ammazzare gli altri ‘fascisti’. Si allontanano.

Un silenzio pesante scende sulla zona. Lentamente la porta blindata della sezione viene riaperta. I tre superstiti tentano di soccorrere Bigonzetti. Qualcuno lo solleva, lo scuote, poi lo trascina. Ma si accorge che sta soltanto aiutando un cadavere. Dalla rampa di scale arriva un lamento flebile: Francesco Ciavatta rantola, ma non ha perso conoscenza. Qualche finestra dei caseggiati attigui si apre. Passa qualche minuto e in via Acca Larenzia piombano a sirene spiegate un’Alfetta dei carabinieri e una volante della polizia. Gli agenti prendono a bordo Vincenzo Segneri, diciotto anni, operaio in un’officina meccanica che sanguina dal braccio. Un quarto d’ora e arriva la prima autoambulanza. Gli infermieri caricano Ciavatta che nel frattempo ha perso conoscenza. È una corsa disperata, inutile.

(…). Con il passare delle ore, centinaia di giovani di destra, accorsi da ogni parte della città, si affollano a via Acca Larenzia. C’è chi piange, chi urla, chi depone fiori davanti alla sezione. Si consuma un’altra tragedia. Alcuni ragazzi prendono a calci una 127 dei carabinieri che lanciano candelotti lacrimogeni. La situazione degenera. Si sentono alcuni colpi di pistola. Un giovane, colpito alla fronte, stramazza al suolo. È Stefano Recchioni, diciannove anni, militante della sezione Colle Oppio. Morirà neppure quarantotto ore dopo all’ospedale».

Quasi dieci anni dopo magistratura, Digos e carabinieri sono costretti a riaprire le indagini su Acca Larenzia, grazie al ritrovamento in un covo delle Br a Milano nel giugno 1988, di una mitraglietta Skorpion. In verità, cercavano l’arma che aveva ammazzato Aldo Moro. Ma, fatta la perizia balistica, il risultato è sconvolgente: è l’arma che ha ucciso nel marzo 1985 l’economista Ezio Tarantelli, nel febbraio 1986 l’ex sindaco di Firenze Lando Conti e nell’aprile 1988 il senatore Roberto Ruffilli. I periti accertano – dato che la matricola non era stata cancellata – che la mitraglietta Cz 61 Skorpion calibro 7. 65 era anche la stessa che aveva colpito ad Acca Larenzia il 7 gennaio 1978.

(…) Sulla base delle confessioni di una ‘pentita’, il 30 aprile 1987 il giudice istruttore Guido Catenacci, spicca cinque ordini di cattura, contro i presunti appartenenti ai Nuclei armati per il contropotere territoriale, responsabili dell’agguato ai giovani missini. Tra questi c’è Mario Scrocca, figura fondamentale per capire da chi e perché era stato compiuto l’eccidio. Per la magistratura, infatti, è il ‘Mario’ visto dalla pentita nella casa dove si svolgevano le riunioni degli estremisti. All’epoca dell’eccidio aveva diciannove anni e militava in Lotta Continua. L’ordine di cattura contro Scrocca parla di duplice omicidio, tentato omicidio, associazione sovversiva e partecipazione a banda armata. Il 30 aprile 1987 Mario Scrocca varca il cancello del carcere romano di Regina Coeli dove viene interrogato dai magistrati Catenacci e Franco Ionta ai quali nega di aver partecipato all’azione armata di nove anni prima, pur ammettendo la sua militanza politica dell’epoca. Ma il giorno dopo con un rudimentale cappio fatto con un asciugamano si impicca ad una inferiata».

Pino Lancia

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