Nel turno di ballottaggio per le elezioni comunali il Centrodestra si aggiudica 5 capoluoghi di provincia — Ancona, Pisa, Siena, Massa e Brindisi—, la sinistra vince solo a Vicenza, mentre a Terni si impone un indipendente.
Con i sindaci eletti al primo turno — Imperia, Latina, Sondrio e Treviso — il Centrodestra conquista 9 capoluoghi di provincia, mentre la sinistra aggiunge un solo primo cittadino a quelli di Brescia e Teramo di due settimane fa.
Ieri si è anche tenuto il primo turno delle elezioni comunali in alcuni importanti capoluoghi siciliani ed in alcuni comuni sardi. Il Cd si è aggiudicato Catania e Ragusa, mentre la sinistra ha vinto a Trapani. Al ballottaggio invece Siracusa.
Mentre dopo il primo turno i giornali vicini alla sinistra avevano parlato di un arresto nella crescita della coalizione di governo, stavolta con 11 sindaci eletti contro 4, l’ammissione della sconfitta è finalmente arrivata.
E ci mancherebbe altro, dopo questa ulteriore e indiscutibile vittoria del Centrodestra. O della Destracentro. Come è stato detto per sminuirla (i soliti sovranisti-populisti-postfascisti…) e come invece è la pura verità, visto il ruolo trainante di Fratelli d’Italia e specialmente di Giorgia Meloni.
«Una sconfitta netta», ha riconosciuto Elly Schlein. Subito dopo, però, ha aggiunto che «il voto conferma che soffia ancora un vento di destra».
La stessa identica formula, guarda caso, campeggia nel titolo di apertura a tutta pagina di Repubblica: «Il vento della destra».
Dove il riferimento va al di là delle Comunali nostrane e si estende a quello che è accaduto nelle Amministrative che si sono appena svolte in Spagna. Portando lo Stato iberico «al voto anticipato dopo il tracollo socialista che apre la strada a Popolari e Vox».
Chiaro: il linguaggio è figurato e sia i politici che i media lo usano a piene mani. In teoria puntano all’immaginario collettivo. Di fatto sprofondano nel luogo comune. Si illudono di essere efficaci e sono solo ripetitivi. La banalità della forma riflette la pochezza della sostanza.
Anche in questo caso, ancora una volta, è proprio l’approccio a essere sbagliato. La metafora in chiave meteo tende a ridurre il poderoso successo degli avversari a un fenomeno passeggero: il vento si leva e poi cade. Basta aspettare.
La superbia di Pd e dintorni
Per il partito di Elly Schlein e dintorni è così. E non può essere che così. La loro mentalità è questa ed è refrattaria al cambiamento. A un ripensamento profondo e sincero che non sia solo una mossa in chiave tattica. Ovvero, l’equivalente politico di una campagna di marketing. In cui a cambiare è solo, o più che altro, la confezione.
La confezione o il testimonial. Il segretario-testimonial. Elly Schlein, appunto. Così moderna, così internazionale, così trendy. Wow: ha fatto la volontaria negli Usa, nei comitati pro Obama.
Doppio wow: non ha paura di farsi intervistare da Vogue e di dire che ha una consulente per lo shopping e un’altra, l’ormai citatissima «armocromista», per scegliere i colori degli abiti più adatti alla sua carnagione.
Sacrosanto: chissà quante donne, giovani, fanno altrettanto o lo farebbero volentieri. Donne, ma anche uomini. Uomini, ma anche individui «fluid gender». Tutti da coccolare. Da includere. Da portare, o riportare, alle urne.
L’operazione è stata questa. E sarebbe bene non dimenticare i toni entusiastici che avevano accompagnato l’elezione-exploit, decretata dai gazebo a fine febbraio. All’insegna del «non ci avevano visti arrivare» e della riscossa a portata di mano.
Solo che il marketing, per fortuna, non è proprio la stessa cosa della propaganda politica. E anche volendo rimanere nel marketing, un conto è magnificare un prodotto tutto nuovo, che nessuno ha mai provato e che quindi si presta al raggiro, e tutt’altro è recuperare la fiducia dei clienti che sono stati delusi in dieci-cento-mille occasioni, sull’arco di svariati anni.
È qui che casca, due volte, l’asino
La prima volta è quando il Pd – anzi il «Pd & partner» – minimizza le proprie mancanze, tentando di spacciarle per semplici sviste. Errori di valutazione occasionali, per quanto prolungati. Mentre invece sono autentici vizi costitutivi e hanno poco o nulla di accidentale.
La seconda volta è nel guardare all’ascesa delle destre come a una sorta di allucinazione collettiva. Un bizzarro testacoda della Storia che si è determinato chissà come. Ma che, essendo in antitesi con le meravigliose istanze del progressismo, è destinato per definizione a non durare un granché.
Perché il progressismo, mai dubitarne, è il destino obbligato dell’umanità. E perciò, nonostante qualche inciampo lungo la via, o prima o dopo non potrà che trionfare.
È una visione sciocca e sprezzante. Ma non per questo la dobbiamo sottovalutare.
Sia quando viene agitato lo spauracchio della «democrazia in pericolo», dipingendo i leader della parte opposta come dei subdoli autocrati.
Sia, a maggior ragione, quando ci si erge a guida illuminata e globale: la fascinazione dei populismi si spegnerà, fatalmente, e a riscattare i popoli del mondo ci saranno loro.
Gli alfieri dei diritti civili e del politicamente corretto. Le sedicenti élite – ma in realtà le rapaci oligarchie – dell’alta finanza e della tecnocrazia.
Gerardo Valentini
IL PRIMO TURNO DELLE COMUNALI
Il Pd traballa ma non crolla ed Elly pensa di aver vinto del 17 maggio 2023