LA CHIUSURA DEI PORTI

Una misura estrema
ma forse necessaria

 

Migranti, una parola che scotta, che divide, che inquieta. Quando la politica si occupa di problemi così seri deve avere strumenti e capacità e al tempo stesso deve essere in grado di fornire la giusta tutela ai cittadini.

L’evidente «superficialità» ha portato a una distorsione, esasperando gli animi e sconvolgendo intere comunità. Già da subito andava fatta una netta distinzione tra profughi, clandestini e migranti economici.

Pensando solo ad accogliere, si è permesso di entrare ed insinuare soggetti pericolosi e incontrollabili nel nostro paese, nelle nostre città, togliendo dignità e credibilità alle vittime, quelle vere, di guerre e discriminazioni.

Certo è semplice pensare che farli venire in Europa vuol dire salvarli, ma non sono sicura che questa sia la salvezza, almeno non per tutti. Senza dimenticare che sono arrivati anche criminali e delinquenti, stupratori seriali, maniaci o semplicemente gente con evidente incompatibilità con la nostra civiltà e il nostro modo di vivere.

Allora emerge il lato più inquietante. L’integrazione e l’accettazione a tutti i costi anche quello di dimenticare chi siamo, di rinnegare il nostro credo e i nostri simboli, tanto da suscitare il rifiuto e in alcuni casi l’odio dei nostri concittadini.

Ora il ministro degli Interni, decide di chiudere i porti italiani. Giusto, forse, un segnale andava dato. Ora, però, penso alle vittime delle situazioni di pericolo di vita reali, al meccanismo messo in piedi da trafficanti di uomini, alle strutture di raccolta nei paesi come la Libia e inorridisco al solo pensiero di quello che possono subire uomini, donne e bambini, illusi e usati da un sistema nato con l’avallo dei governi e dei politici dei cosiddetti paesi civili tra cui anche il nostro. Che Dio ci perdoni.

Ernesta Cambiotti

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