PRESENTATO IL QUESITO REFERENDARIO

Un voto popolare per dire No
al ritorno al proporzionale

 

La decisione del M5S di abbracciare il Pd e dar vita al governo rosso-giallo nasce essenzialmente dal desiderio di mantenere le poltrone ministeriali ed evitare il dimezzamento dei gruppi parlamentari annunciato in caso di elezioni anticipate.

Il partito di Zingaretti torna nella stanza dei bottoni, nonostante la serie di sconfitte inanellate nelle tornate elettorali regionali, e si predispone a condizionare la scelta del prossimo Presidente della Repubblica fra due anni. L’unico prezzo che paga è il non potersi liberare dei deputati renziani, la maggior parte dei quali in caso di elezioni non sarebbero stati rimessi in lista. Dopo aver incassato ministri e sottosegretari Renzi ha ulteriormente incrementato il suo peso (teorico, in mancanza di verifica elettorale), lasciando il suo ex partito e dando vita a Italia Viva.

Il passo ulteriore di questa maggioranza parlamentare, ma minoranza nell’opinione del Paese, è una modifica della legge elettorale in senso proporzionale che renda impossibile la vittoria di una coalizione (al momento, il Centrodestra), non permettendo così agli elettori di scegliere il proprio Governo attraverso il voto. In sostanza un ritorno ai giochi di Palazzo caratteristici della Prima Repubblica.

La risposta del Centrodestra intero (Lega e Fratelli d’Italia in primis con Forza Italia al traino) è stata quella di giocare d’anticipo la carta del Referendum abrogativo della parte proporzionale dell’attuale legge elettorale, il cosiddetto «Rosatellum» per farlo diventare completamente maggioritario.

Per proporre il quesito agli italiani non c’è stato neppure bisogno di raccogliere le 500mila firme, come accaduto in precedenza per i numerosi Referendum promossi dal partito Radicale, in quanto l’art.75 della Costituzione attribuisce questa facoltà anche alla volontà di almeno cinque Consigli Regionali. E il Centodestra, forte dei sui successi nel Paese, ha ottenuto il sostegno di ben otto Regioni: Veneto, Sardegna, Lombardia, Friuli, Piemonte, Abruzzo, Liguria e Basilicata.

Una delegazione, guidata dal vicepresidente del Senato Roberto Calderoli, ha potuto così depositare a piazza Cavour a Roma il quesito referendario in Cassazione. Si tratta del primo atto di un iter che prevede entro il 30 ottobre le osservazioni della Corte di Cassazione, entro il 20 novembre le eventuali controdeduzioni delle Regioni proponenti, il 15 dicembre l’invio alla Corte Costituzionale che entro il 10 febbraio dovrà deliberare sulla conformità del quesito. In caso di accoglimento si potrà celebrare il Referendum già nella primavera del 2020.

Alcuni costituzionalisti hanno subito storto il naso, ritenendo che la Corte potrebbe bocciare il quesito in quanto non sarebbe «autoapplicativo». Ossia che a seguito del taglio della parte proporzionale non si potrebbe votare direttamente ma sarebbe necessario un intervento del Parlamento.

«Per garantirsi altri anni di governo Pd e M5s propongono il ritorno del proporzionale della Prima Repubblica – ha dichiarato Matteo Salvini –. Noi siamo per chi prende un voto in più vince e governo. Doppio turno? Il nostro modello è quello delle regionali. Fanno un governo per disinnescare Salvini, fanno una legge elettorale per disinnescare Salvini… Facciano come credono, poi gli italiani votano».

Giorgia Meloni ribadisce che il ritorno al proporzionale sarebbe un passo indietro per il Paese e che il quesito referendario, al di là di ogni possibile ostacolo tecnico, è l’unico strumento per ribadire la volontà di dare la parola al popolo italiano.

Vincenzo Fratta

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