REFERENDUM GIUSTIZIA

Un flop annunciato,
ma per colpa di chi?

Referendum Giustizia. Al voto soltanto il 20% degli elettori

 

I Referendum sulla Giustizia sono stati un fallimento generale e indiscutibile, se si guarda solo all’affluenza. O alla non-affluenza, se preferite. Il dato finale si è fermato appena al di sopra del 20 per cento. A enorme distanza, quindi, dal quorum del 50 per cento più uno che è necessario per dare validità alla consultazione.

Referendum Giustizia. Al voto soltanto il 20% degli elettoriLa cruda verità è questa. Ma per quanto smaccata, sul piano numerico, non chiude affatto la questione. Al contrario: la rilancia. Sia nel caso specifico, sia riguardo allo strumento del referendum.

Ne parleremo a più riprese. Oggi e nei prossimi giorni.

Cominciamo dall’accusa fondamentale. Erano davvero «troppo tecnici», i cinque quesiti sulla Giustizia?

Bisogna essere molto chiari, su questo punto: non lo erano certo per un capriccio di chi li ha proposti. Lo erano – lo sono – per forza di cose.

In Italia solo Referendum abrogativi

Qui in Italia, infatti, i referendum possono essere solo abrogativi (Art. 75 della Costituzione) e perciò non c’è scampo: devono indicare in dettaglio quali norme intendono cancellare. A volte delle leggi in blocco. Altre volte dei singoli passaggi. Citandoli per filo e per segno. Il resto viene da sé.

Primo: quelle norme sono scritte come sono scritte, usando un linguaggio prettamente giuridico. Secondo: non è consentito semplificarle utilizzando parole più semplici e immediate.

Il tecnicismo, quindi, non dipende dai promotori del referendum ma è imposto dal Legislatore. Le schede che verranno consegnate ai cittadini non possono essere strutturate altro che così. Roba da specialisti. O giù di là.

E indovinate un po’ chi dovrebbe essere, a dare un aiuto decisivo per superare queste difficoltà?

Nel silenzio dei grandi media

I media, ovviamente. In particolare quelli più diffusi e seguiti, a cominciare dalla Rai.

Sono loro che hanno il compito di aiutare i cittadini a comprendere il senso di quelle formule da giuristi. E, ancora prima, quello di suscitare interesse e coinvolgimento riguardo ai temi su cui si sarà chiamati a esprimersi.

Occhio, però: parlarne occasionalmente non basta. Bisogna tornarci a più riprese e in modo stimolante. Non è un compitino da sbrigare per togliersi l’impiccio e poi lavarsene le mani.

I professionisti della comunicazione lo sanno benissimo. E quando si astengono dal darci dentro, come in questo caso, non c’è alcun dubbio che la conclusione può essere solo una: lo hanno fatto di proposito. Per vanificare la consultazione di turno. E magari, peggio ancora, per togliere credibilità a questo strumento, potenzialmente straordinario, di democrazia diretta.

Dobbiamo averlo caro, invece. Noi cittadini che non siamo succubi del potere. Dobbiamo averlo caro e non dimenticarci mai che il referendum è una pianta preziosa e delicata: se non la «innaffi» con cura, e con assiduità, è destinata a seccarsi.

Gerardo Valentini

 

I QUESITI

Cinque Sì per una Giustizia giusta del 26 maggio 2021

 

 

 

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