GIÀ FINITO IL DIALOGO M5S-PD

Meglio ridare
la parola agli elettori

 

Domenica 29 aprile è stata una giornata importante per la politica italiana. Due gli accadimenti, diversi fra loro, ma entrambi destinati ad avere ripercussioni per la formazione del nuovo Governo. In Friuli Venezia Giulia si sono svolte le elezioni regionali che hanno materializzato il successo annunciato del Centrodestra, che si aggiunge alla recente vittoria nel Molise. A «Che tempo che fa», il salotto televisivo di Fabio Fazio, l’ex segretario Matteo Renzi ha chiuso ad ogni ipotesi di un appoggio del partito democratico ad un governo del Cinque Stelle Di Maio.

Il nuovo governatore del Friuli è il trentasettenne leghista Massimiliano Fedriga che ha ottenuto il 57,1%. Il candidato del centrosinistra Sergio Bolzonello si è fermato al 26,8%, mentre il grillino Alessandro Fraleoni Morgera non è andato oltre l’11%, a fronte del 24,6% che il Movimento Cinque Stelle aveva avuto nelle politiche del 4 marzo.

All’interno della coalizione di Centrodestra, la Lega che «giocava in casa» e con il traino del candidato governatore, tocca il 34,9%, Forza Italia il 12,1%, Fratelli d’Italia il 5,5% e la lista Autonomia Responsabile il 4%.

Scegliendo di parlare su Rai1, Matteo Renzi ha «bruciato» la direzione del suo partito in programma per giovedì 3 maggio, mettendo una pietra tombale sul fragile dialogo che il reggente del Pd aveva avviato con Di Maio. Maurizio Martina ha accusato il colpo, dichiarando l’impossibilità di guidare il partito «in queste condizioni». L’uscita di Renzi non è piaciuta neppure a molti dei notabili del Pd, da Franceschini a Orlando e Zanda.

Mentre esplodeva la rissa interna al Pd, Luigi di Maio si è affrettato a proporre il ritorno alle urne a giugno, e i leader del Centrodestra sono tornati a chiedere un incarico a Salvini per un governo disposto a cercarsi in parlamento i voti mancanti per ottenere la fiducia.

Entrambe le soluzioni paiono non piacere al presidente Mattarella che renderà note le sue decisioni dopo la direzione del Partito democratico.

Per le elezioni anticipate a giugno il Quirinale lascia trapelare che non ci sarebbero i tempi, in quanto la legge sugli italiani all’estero prevede un «preavviso» di almeno 60 giorni per avviare le procedure elettorali, mentre è noto che Mattarella consideri un incarico per formare un governo di minoranza un «azzardo» non praticabile.

Allo stato delle cose il ritorno alle urne è senz’altro la scelta migliore. Non sappiamo se sia possibile forzare la data di giugno, superando l’ostacolo tecnico attraverso un apposito decreto. Anche a legge elettorale invariata siamo infatti convinti che gli elettori saprebbero giudicare al meglio i comportamenti che i principali partiti hanno tenuto durante le trattative per la formazione del governo e variare di conseguenza le proprie scelte elettorali.

Se si dovesse puntare al voto in ottobre occorrerebbe invece avere il coraggio di provare a modificare la legge elettorale.

Ci auguriamo che il presidente Mattarella non voglia ricorre ad altre soluzioni, a degli «ibridi» che finirebbero per risultare in contrasto con la volontà espressa dagli elettori il 4 marzo.

Vincenzo Fratta

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