LA «FINTA» AUTOCRITICA DI ENRICO LETTA

Il problema del lavoro?
Sorry, ci eravamo distratti

Letta ammette: il Pd ha dimenticato il problema del lavoro

Intervistato dal quotidiano La Stampa il segretario del Partito Democratico Enrico Letta per una volta non si limita ad attaccare Giorgia Meloni e il suo schieramento, ma si cimenta in una autocritica sul delicato tema del lavoro. Ma non assumersi la responsabilità delle proprie mancanze è grave. Fingere di farlo è peggio. Perché ci si aggiunge l’ipocrisia di un ripensamento fittizio.

Letta ammette: il Pd ha dimenticato il problema del lavoroPrima si è stati degli incapaci, per non dire di peggio. Adesso si prova a nascondere tutto sotto il velo, comodissimo, dell’errore involontario.

La pseudo confessione di Letta

Nell’intervista Enrico Letta se ne esce, tra l’altro, con questa pseudo confessione: «Negli anni scorsi abbiamo perso il rapporto col mondo del lavoro, il nostro partito ha sottovalutato la trasformazione di quel mondo, la precarietà, la necessità di protezione anche da eventi che vengono da fuori. Ma in questa campagna elettorale vogliamo rimettere al centro il tema: meno tasse sul lavoro, aggressione del lavoro nero, basta stage».

C’è bisogno di sottolinearlo? La questione che avevano «sottovalutato» è quella del lavoro. Un problemino da nulla che è sotto gli occhi di tutti e di cui si discute da decenni. O meglio: se ne discute da decenni da parte di chi ha intenzione di occuparsene, anziché di sorvolare a vantaggio di tutt’altro. Come le proprie carriere, per dirne una.

Che questo settore stia profondamente cambiando, e non da oggi, è cosa arcinota. C’entra la globalizzazione, con la sua concorrenza asimmetrica, e quanto mai iniqua, tra sistemi produttivi che non sottostanno alle medesime regole.

C’entra l’automazione, ivi incluso l’incombente avvento dell’Intelligenza Artificiale, che ha già cancellato milioni di posti di lavoro e assai di più ne cancellerà in futuro. Qui in Italia, in aggiunta, c’entra l’enorme peso del prelievo tributario e contributivo: il cosiddetto «cuneo fiscale».

Fenomeni – ribadiamolo – dilaganti e su vastissima scala. Non distorsioni di nicchia che per scoprirle te le devi andare a cercare col lanternino.

Qui mi «scuso», qui mi assolvo

Cosa dichiara Enrico Letta, invece? Che nel Pd, eh già, si è «perso il rapporto col mondo del lavoro, il nostro partito ha sottovalutato la trasformazione di quel mondo». Come se si trattasse di una distrazione qualsiasi. Magari spiacevole ma tutto sommato comprensibile. Una disattenzione che può benissimo capitare, quando si è presi da tante altre cose più urgenti o persino indispensabili (tipo i matrimoni gay e l’accoglienza dei migranti nessuno-escluso).

L’intervistatrice della Stampa, manco a dirlo, si guarda bene dal farglielo notare. Mica gli chiede come sia possibile, «sottovalutare» un processo di questa portata che è in atto già da molto tempo. Ma figuriamoci. Mette lì, invece, la tipica considerazione fintamente critica che serve, in realtà, a deviare il discorso altrove.

«Gli operai di Mirafiori – dice Francesca Schianchi – sembrano più interessati alle proposte sulle pensioni del centrodestra…».

Replica: «La nostra è una proposta sulle pensioni fattibile basata su un’uscita flessibile, non sono idee campate per aria da campagna elettorale. Il programma della destra non ha copertura economica e finanziaria: fanno come Pinocchio e il campo dei miracoli, la loro copertura è l’idea del Gatto e la Volpe, di fregare Pinocchio, ma noi non ci faremo fregare».

Come no? Sul «programma della destra» sono attenti come non mai. Vigili e indefessi. Guardinghi e all’erta.

Una giravolta di facciata

Le trasformazioni del lavoro, viceversa, gli erano sfuggite. Benché la precarietà e le paghe risicate, quando non addirittura truffaldine, siano problemi diffusissimi. Che investono milioni e milioni di lavoratori, specialmente tra gli appartenenti alle nuove generazioni.

Ecco fatto. Per le colpe precedenti, facendo finta che si tratti davvero di colpe involontarie e non di scelte consapevoli e perciò dolose, ce la si cava con una mezza ammissione buttata lì a cuor leggero. Una giravolta di facciata che non ha niente a che vedere con un vero mea culpa, nei confronti chi ha subìto e continua a subire le conseguenze di quelle omissioni.

Non è scusarsi realmente. È scusare sé stessi. È l’ennesima autoassoluzione per il passato. In attesa di tornare a fare lo stesso, chissà quante altre volte, anche in futuro.

Gerardo Valentini

 

 

 

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