DIETRO LE STRAGI IN SRI LANKA

Le due jihād
e il confronto fra le religioni

 

Sono oramai 40 le persone arrestate in Sri Lanka. Tutte coinvolte, a vario titolo, nelle stragi contro i cristiani del giorno di Pasqua. La jihād è tornata, dopo 10 anni di relativa calma, anche in Sri Lanka. La triste conta è arrivata, al momento, a 310 morti e circa 500 feriti, ma le prossime ore ci renderanno un numero sicuramente peggiore. La polizia cingalese ha comunicato l’arresto anche dell’autista del furgone usato dai kamikaze. Altro arresto quello del proprietario di una casa dove alcuni attentatori avevano soggiornato a ridosso dell’attentato.

Intanto, quando tutto sembrava essere tornato alla calma, una nuova esplosione si è verificata a Colombo. A saltare in aria un furgone parcheggiato nei pressi della chiesa di Sant’Antonio. Lo scoppio è avvenuto mentre gli artificieri tentavano il disinnesco di una carica esplosiva che invece è detonata. Anche un cronista italiano, il ternano Raimondo Bultrini, inviato del quotidiano Repubblica, è rimasto ferito lievemente da una scheggia.

Tra i 310 morti accertati 36 sono stranieri. La città è assediata da polizia ed esercito che hanno imposto il coprifuoco. La situazione è ancora molto calda. Infatti sono stati trovati 87 detonatori vicino ad una la principale stazione di autobus di Colombo.

Sicuramente, quando ancora la conta dei morti e dei feriti non è ultimata, già divampano le polemiche. I ritardi della macchina preventiva e dell’intelligence non hanno funzionato. Il capo della polizia, l’11 aprile, aveva lanciato l’allarme su un rischio di attacchi kamikaze in chiese importanti. Ma a causa di dissidi, tra le diverse fazioni politiche al potere, non erano state prese decisioni.

Il gruppo terrorista Ntj. Ad essere incolpato degli attentati un piccolo gruppo islamico, il National Thowheeth Jama’ath (Ntj). Prima di questa serie di attentati il gruppo terrorista si era solo distinto per danneggiamenti e piccole scaramucce. Anche per questo, gli investigatori sospettano che gli attentatori siano stati finanziati ed aiutati nella pianificazione da gruppi jihadisti più strutturati.

Questa di Pasqua è una delle stragi di cristiani più sanguinose degli ultimi anni. Peggiore anche dell’attacco avvenuto alla vigilia del Venerdì santo del 2015 in una scuola salesiana del Kenya quando un commando fece irruzione in un campus uccidendo 147 persone, in gran parte studenti, molti trucidati ancora nel sonno. Al terzo posto di questa macabra hit parade la strage di Lahore, in Pakistan, 72 morti il 28 marzo 2016, preceduta da quella di Kaduna, in Nigeria, 50 morti l’8 aprile del 2012 per mano dei terroristi di Boko Haram, e seguita da quella di Alessandria d’Egitto, 45 morti nella Domenica delle Palme del 2017.

Il bilancio complessivo, forse nemmeno completo, porta a 4.136 cristiani uccisi per la loro fede nel 2018. Questo l’impressionante dato pubblicato da World Watch List, il rapporto sulla persecuzione anti-cristiana nel mondo e reso pubblico in Italia dalla ong Porte Aperte.

In crescita le uccisioni dei cristiani. Un trend, quello dello sterminio dei cristiani, in crescita se si considera il dato a raffronto con quello dell’anno precedente, infatti nel 2017 erano stati «solo» 3.066 i morti tra i cristiani sacrificati per il loro credo religioso. Insomma 11 cristiani vengono uccisi ogni giorno per la loro fede. Nel 2018, si legge nel rapporto, sono saliti a 245 milioni i cristiani perseguitati nel mondo. 150 paesi monitorati, 73 hanno mostrato un livello di persecuzione alta, molto alta o estrema, mentre l’anno precedente erano 58. E così si legge che tra i paesi che rivelano una persecuzione definibile estrema c’è lo Sri Lanka che è alla quarantaseiesima posizione.

Al primo posto c’è la Corea del Nord, dove si stimano tra 50 e 70 mila cristiani detenuti nei campi di lavoro. L’Afghanistan si piazza al secondo posto poi la Somalia al terzo, la Libia al quarto. L’India è al decimo posto. Caso a parte la Cina, dove nuove norme cercano di controllare tutte le espressioni di fede, molte chiese sono state costrette a chiudere, le croci sono state rimosse da diversi edifici e alcuni credenti sono stati inviati in «campi di rieducazione».

Le persecuzioni, se si escludono Cina, Corea del Nord e parte dell’India, sono operate normalmente da gruppi estremisti islamici che trovano nella guerra santa, la Jihad, appunto, la ragione della loro esistenza. Ma vediamo di capire di più.

I due significati di Jihād. Da dove arriva la parola che oggi ha l’accezione di «Guerra santa». La parola jihād deriva dalla radice jahada che significa «sforzare, lottare, fare uno sforzo». I musulmani spesso si rifanno a due significati di jihād. Si parla di jihād minore (esteriore) inteso come uno sforzo militare come autodifesa e jihād maggiore (interiore) inteso come sforzo per autoemendarsi. Il significato più letterale di jihād è dunque semplicemente «sforzo».

Fino agli anni 70, molti genitori davano questo nome ai loro figli. La gente conosceva il vero significato che sicuramente non riconduceva all’accezione attuale. Un caso emblematico è avvenuto anche in Italia nel maceratese quando Ahmed, operaio marocchino arrivato nelle Marche alla fine degli anni Ottanta per studiare, voleva mettere nome alla figlia Jihad. Per evitare che la piccola potesse avere problemi in futuro decisero di cambiarle nome in Giada.

Ma perché? La jihad oggi è entrata a far parte della terminologia quotidiana ma questo sostantivo ha acquisito il significato esclusivo di «guerra santa», in particolare quella condotta dai musulmani contro i «non credenti». Una modificazione indotta all’accezione e dovuta alla storia recente.

Invece per i musulmani, quelli considerati più moderati, l’accezione di «guerra santa» sarebbe un errore marchiano. Questo ha iniziato un processo tra esponenti religiosi per tentare di ripristinarne il vero significato.

La più importante sarebbe la «lotta interiore». Dopo gli attentati di Parigi il Consiglio superiore degli Ulema emise una Fatwa (una specie di editto sacro) per chiarire ciò che realmente è jihād nell’Islam in cui si parla di jihād contro sé stessi, attraverso l’educazione, la purificazione dell’anima e la sua preparazione ad assumersi le responsabilità. Jihād attraverso il pensiero per plasmare così la mente in modo da servire gli interessi dell’umanità. Jihād attraverso la scrittura, attraverso la pubblicazione di lavoro utile, la preparazione di articoli illuminanti e contrastare le false accuse contro l’Islam e contro i musulmani. Jihād attraverso il denaro, attraverso l’impegno rivolto alla distribuzione della ricchezza, con generosità e per il bene della comunità e contribuendo alla sviluppo socio-economico. Infine jihād con le armi al solo scopo difensivo.

Per il combattimento non si parla di jihād, bensì di qitāl (appunto combattimento) e harb (guerra), che di per sé non ha nulla a che vedere con la religione, ma si colloca nel contesto storico e politico della penisola arabica ai tempi di Maometto fissandone delle regole.

Le differenze tra le due religioni. Ma vediamo le principali differenze fra le due principali religioni, quella musulmana e quella cristiana. Sono entrambe monoteiste. Per l’Islam Dio (Allah) è Uno e Unico. Dio è il Clemente e il Misericordioso. Per l’islam, Gesù è un profeta molto rispettato, ma non Dio egli stesso. La Trinità risulta inaccettabile per l’islam. I Cattolici credono in un Dio in tre Persone: Padre, Figlio e Spirito Santo. La comunione con il Padre avviene mediante l’unione con Cristo, la cui rivelazione è resa permanente dalla presenza nella Chiesa dello Spirito Santo.

Per i musulmani Dio si rivela nel testo sacro del Corano, che ci dice che ha parlato all’umanità attraverso i profeti, tra cui Abramo, Mosè e Gesù stesso. Il ciclo profetico si chiude con Maometto definito perciò «Sigillo dei Profeti». Per i cristiani Dio, dopo aver parlato per mezzo dei profeti, si è rivelato in Cristo: «Chi ha visto me ha visto il Padre» (Giovanni 14,9), afferma Gesù stesso. Il Vecchio e il Nuovo Testamento sono libri sacri ispirati da Dio.

Riguardo al peccato originale per i Musulmani Adamo ed Eva si pentono del loro peccato e vengono perdonati, per cui l’uomo nasce in armonia con Dio e ha l’obbligo di ricordarsene e mantenerla. Se non avrà cura di tutto il creato, ne risponderà nell’ultimo giorno. Per i cristiani Adamo ed Eva disobbedirono a Dio, cedendo alla tentazione di innalzarsi al Suo livello, con la conseguenza del dolore, del peccato e della morte. Il sacrificio di Cristo, nuovo Adamo, riporta l’uomo a quella condizione originaria.

I diritti della persona. Parte spinosa sono i diritti della persona. Per i musulmani sono stabiliti direttamente da Dio nel Corano e nella tradizione successiva (Sunna). La società islamica (Umma) è garante dei diritti e dei doveri che il Corano e la Legge islamica (la Shari’ah), riconoscono, concedono e negano. Per i cristiani nel mondo occidentale i diritti fondamentali fanno capo alla persona umana. Nel Cristianesimo, in quanto creata a immagine e somiglianza di Dio. Anche le legislazioni laiche si sono ispirate ai principi della centralità della persona umana e delle aggregazioni in cui essa vive.

Le figure e le rappresentazioni sacre: per i musulmani sono escluse tutte le rappresentazione di Dio in quanto comunque riduttive delle sue qualità infinite. Anche i profeti non vengono rappresentati per rispetto nei loro confronti. Le moschee sono decorate con motivi geometrici e con versetti coranici. Per i cristiani le immagini rappresentative di soggetti sacri sono ammesse in quanto Cristo è stata l’incarnazione di Dio in una figura umana in un certo momento della storia. Alcuni Concilii hanno tuttavia condannato l’eccesso di immagini e il loro uso licenzioso o superstizioso.

Le donne e l’Islam. Capitolo a parte il rapporto tra donne e Islam. È molto più complesso di quanto spesso non appaia. Il mondo musulmano è infatti un universo variegato, caratterizzato da molteplici correnti di pensiero che interpretano, con diverse sfumature, la dottrina ufficiale.

Sono molteplici gli aspetti: dal diritto formale ai dettami del Corano, l’infibulazione, alla questione identitaria del velo. Sicuramente negli ultimi anni abbiamo assistito ad una recrudescenza dei fenomeni tendenti alla limitazione della libertà di espressione, di autonomia e di relazione della donna musulmana. Il velo, anche quello più integrale, è sempre più visibile anche per le nostre strade. Trovare ragazze, dichiaratamente musulmane, che si affaccino al mondo del lavoro è difficile.

Insomma esistono differenze, anche molto corpose. Una convivenza pacifica e rispettosa non è solo auspicabile ma sicuramente necessaria. Il rispetto della cultura e delle tradizioni del paese ospitante sono alla base dell’integrazione. Dobbiamo ricordarcene e farlo ben capire, anche attraverso l’emanazione di norme nuove che aiutino la convivenza e impongano a tutti il rispetto delle regole permettendo l’eradicazione dei fenomeni estremistici.

Lino Rialti

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