LA MANOVRA DI BILANCIO

Le difficoltà di Tria
a far quadrare i conti

 

Povero Tria: non fa in tempo a «far tornare i conti» che subito qualcuno gli strappa il foglio. Come fanno i bulli a scuola con i cosiddetti «secchioni», quelli che ora definiamo nerd.

Infatti, dopo aver trovato 500 milioni con tagli ad alcuni programmi della Difesa, si affrettava baldanzoso a dichiarare: «Abbiamo trovato i fondi per il Reddito di Cittadinanza, saranno 600 milioni già dal prossimo anno» ma subito qualcuno dall’ultima fila dei banchi, nello specifico Salvini, lo smentisce «no i milioni saranno subito 1.700». Insomma è calato il gelo.

Intanto sono rimaste solamente le due settimane alla dead-line, la data ultima, per la presentazione del Def, il documento di economia e finanza ed ancora non vi è alcuna certezza sulle cifre. Sembra essere chiaro solo un punto: dal prossimo anno pagheremo 8 miliardi di tasse in più. Altro che tagli alle imposte.

Gli animi si sono riscaldati dopo la bocciatura dell’Ufficio Parlamentare di Bilancio che ha negato la bollinatura, non promuovendo l’ultimo aggiornamento del Def.

Da quanto presentato, comunque, la Legge di Bilancio 2019 ammonterebbe a 37 miliardi di euro. Di questi, 22 sono in deficit, 6,9 sarebbero tagli alla spesa e 8,1 miliardi di aumento di entrate, leggasi nuove tasse. Stando così i conti, sembra che la parte più sostanziale della manovra sia finanziata con nuovi balzelli, come era prevedibile per coprire le spese contenute nel contratto firmato dopo le elezioni.

La parte del leone la fanno il «carissimo» reddito di cittadinanza e l’intervento sulle pensioni, il cosiddetto «quota cento». La riforma sulle pensioni se approvata, metterebbe a rischio, tra gli altri, i meccanismi di turn-over della pubblica amministrazione generando un esodo nella sanità, per esempio, difficilmente bilanciabile con nuove assunzioni e che porterebbe scompiglio negli ospedali dove già si soffre una carenza d’organico cronicizzata di medici ed infermieri. Comunque il costo stimato per il reddito di cittadinanza e per la riforma pensionistica è di 16 miliardi all’anno. Per il pubblico impiego ci sarebbero 1,8 miliardi nel 2019, 3,2 nel 2020 e 4,1 nel 2021 e le spese indifferibili a politiche invariate che ammontano a 2,3 miliardi nel 2019, 3,4 nel 2020 e 2,4 nel 2021. Gli investimenti 3,5 miliardi nel 2019, 5 nel 2020 e 6,5 nel 2021.

L’aumento dell’Iva, al momento, sembra scongiurato. Tagli draconiani saranno inevitabili in vari ministeri. Alla famigerata «flat tax» è riservata una quota «residuale», ossia 600 milioni per il 2019, che salgono a 1,8 nel 2020 e 2,3 nel 2021.

È proprio qui che Matteo Salvini ha reagito ed è partito lancia in resta ed ha smentito Tria ricordando che per l’aliquota unica al 15% siano stati stanziati un miliardo e 700 milioni.

Poi, la baruffa è rientrata e Salvini assieme al Ministro Tria, hanno rilasciato un comunicato congiunto dove hanno precisato che sono state dette «le stesse cifre con una prospettiva diversa. Le risorse stanziate sono quelle dette da Tria cioè 600 milioni nel 2019, 1,8 miliardi nel 2020 e 2,3 miliardi nel 2021: in totale a regime ci sono 1,7 miliardi all’anno come sostiene Salvini. Nel triennio abbasseremo le tasse con una media annuale stimabile in 1,7 miliardi». Insomma la dura vita di un secchione arrivato alla poltrona di Ministro.

Lino Rialti

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