LE TENSIONI NEL GOVERNO

Le minacce si susseguono,
ma restano incollati alle poltrone

Governo Conte 2. Collante poltrone più forte della crisi

 

In carica da 15 mesi il governo Conte bis ha dimostrato di eccellere in un’arte in particolare: quella di non mollare mai e poi mai la poltrona.

Governo Conte 2. Collante poltrone più forte della crisiUna ben nota caratteristica della politica italiana, tanto più valida stavolta, considerato che il Pd e gli alleati di sinistra dopo la disfatta delle Politiche 2018 mai avrebbe pensato di governare in questa legislatura ed ora invece tornati nella stanza dei bottoni minacciano crisi quotidiane ma poi nei fatti non affondano mai il colpo.

Che Conte avrebbe dovuto guardarsi più dagli amici che dai nemici si capì meno di due settimane dopo il giuramento quando l’ex premier Matteo Renzi dopo tanti annunci lasciò il Pd per fondare Italia Viva, ovvero un movimento dal 3% o poco più che avrebbe spesso ricattato l’esecutivo.

Bizzarra circostanza, considerando che lo stesso politico toscano nel 2016 ideò una riforma costituzionale che avrebbe tolto a questi partitini il potere di condizionare il governo.

Le periodiche minacce di crisi

Le prime minacce di crisi arrivarono nell’ottobre 2019 sull’onda del Russiagate con Renzi che incalzava Conte affinché riferisse al Copasir mentre il governo, e tutto il Parlamento, erano alle prese con la riforma costituzionale per il taglio dei parlamentari.

Subito dopo, forse per festeggiare il primo mese di vita, Iv minacciò gli alleati di non votare l’abbassamento del tetto all’uso del contante da 3mila a mille euro.

A novembre fu la giustizia a creare scontri tra gli alleati, in particolare la legge sulla prescrizione con i Dem e Iv che volevano sospendere l’entrata in vigore della legge per poi esaminare la questione insieme alla riforma del processo penale mentre il ministro Bonafede (M5S) non voleva saperne tanto che Stefano Ceccanti, capogruppo Pd in Commissione Affari costituzionali tuonò: «È evidente che se Bonafede insiste sulla non negoziabilità dell’entrata in vigore del blocco della prescrizione dopo il primo grado, varata dal precedente Governo, l’esecutivo rischia».

A dicembre le parti, complice la manovra, iniziarono a litigare per i soldi.

Nell’occasione la richiesta di Iv era quella di abrogare del tutto la «plastic tax», la «sugar tax» e la tassa sulle auto aziendali, ottenendo il sostegno del centrodestra con il premier Conte costretto a chiedere ai tecnici del ministero dell’Economia e della Ragioneria dello Stato di fare «un ulteriore sforzo» per trovare le risorse mentre Renzi andava in tv e preannunciava una crisi di governo al 50% perché: «Litigano su tutto, ci sta che si voti».

Nemmeno il tempo di digerire il panettone che Renzi a gennaio minacciava una nuova crisi di governo annunciando di non votare il «Milleproroghe» per la norma su Autostrade, sottolineando: «Sarà un anno non facilissimo per i Cinque Stelle».

Lo scontro tra Iv e Pd

Governo Conte 2. Collante poltrone più forte della crisiA metà gennaio il governo a mettere in crisi il governo è lo scontro tra Iv e Pd in Commissione Giustizia alla Camera dove la maggioranza boccia la proposta di legge di Enrico Costa (Forza Italia) che stravolgerebbe la riforma Bonafede per lo stop alla prescrizione dopo il primo grado, ma Italia Viva, in nome del garantismo, vota con il centrodestra. M5s, Pd e Leu la spuntano 23 a 22 grazie al voto inusuale della presidente della Commissione, la cinquestelle Francesca Businarolo.

A febbraio è ancora Renzi a minacciare la tenuta del governo sul tema della prescrizione minacciando di sfiduciare il ministro Bonafede con l’ex segretario Pd che arrivava perfino a tuonare: «Si tengano le loro poltrone, noi ci teniamo i nostri valori», con Conte che recepisce il messaggio e rinuncia a inserire nel decreto un emendamento su cui porre la fiducia.

A marzo divampa il Covid-19 e le polemiche vengono messe, momentaneamente da parte anche se il Dl di maggio, con i relativi soldi da spendere, divide ancora la maggioranza con il ministro Teresa Bellanova che minacciava le dimissioni se i 5 Stelle avessero bloccato la norma sulla regolarizzazione dei migranti.

A settembre erano in calendario le Regionali ed ovviamente Renzi non perdeva l’occasione per far notare la sua presenza nell’esecutivo a suon di polemiche. «Queste elezioni sono fondamentali per la tenuta istituzionale del Governo» aveva detto il politico toscano, magari nella speranza che un risultato superiore al 3% del suo partito potesse permettergli di presentare il conto al Premier e strappare altre poltrone.

L’irrompere dei Dpcm

Arriva poi il voto sulla riforma del Mes, nessuno minaccia crisi ma la tensione è alta tanto che in Senato il sì ottiene appena 156 voti, cinque in meno rispetto alla maggioranza assoluta, ma Conte non può dormire sonni sereni perché si parla anche dei fondi del recovery plan con Renzi che come sempre cerca di trovare visibilità; «è ora – sostiene – di ‘dipiciemizzare’ la politica» minacciano le dimissioni delle ministre Iv se «il dibattito in Parlamento non sarà alla luce del sole».

Tra mille polemiche e mille Dpcm si arriva allo scorso dicembre con Conte che, forse esasperato dalle continue minacce di Renzi apre ad una verifica di governo per vedere se ci sono i voti anche se il Pd frena subito temendo di andare sotto e portare gli italiani alle urne con Rosato (Iv) che fa la voce grossa: «La minaccia delle elezioni è una minaccia che con noi non funziona; poniamo questioni di metodo e di sostanza».

Alla fine una settimana prima di Natale, Renzi incontra il Premier e gli presenta la lista delle richieste del suo movimento. Ancora una volta la crisi è rimandata anche se dal Palazzo si fanno sempre più insistenti le voci che parlano di rimpasto.

Nemmeno il tempo di alzarsi dal tavolo delle trattative che Renzi torna a minacciare azioni disperate se Conte non dovesse mollare la delega sui Servizi segreti e no rendesse gli alleati partecipi nelle decisioni sul recovery found.

La crisi, anche questa volta, sembra dietro l’angolo ma vedere le ministre di Italia Viva lasciare le poltrone appare francamente impossibile.

Fabrizio Di Ernesto

 

 

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