CINA

L’immagine di Pechino cresce, nonostante il Coronavirus

Il soft power cinese cresce nonostante il contraccolpo del Covid-19

 

Per quanto paradossale possa sembrare l’emergenza Covid-19 ha rilanciato l’immagine di Pechino dando nuovo slancio al soft power cinese che si sta sviluppando da anni.

Cresce il soft power cinese. I medici cinesi giunti in aiuto dell'ItaliaL’epidemia partita da Whuan ha inizialmente messo in crisi il colosso asiatico ma ad oggi con circa 90mila contagi, stando ai numeri ufficiali diffusi da Pechino, su una popolazione di oltre 1,4 miliardi di persone la Cina ha contenuto l’emergenza meglio di molti altri paesi e non è nemmeno tra i dieci più colpiti. Ciò ha quindi permesso alla Cina di poter aiutare le altre nazioni a gestire l’epidemia.

Il governo di Xi Jinping infatti pur soddisfacendo il fabbisogno interno di contenimento e ripresa del lavoro e della produzione ha esportato numerose forniture antiepidemiche in oltre 190 paesi attraverso appalti basati sul libero mercato.

Sicuramente un bello spot propagandistico per il paese accusato di aver causato il tutto che ora è quello che sta aiutando gli altri a superare le difficoltà.

540 Istituti Confucio nel mondo, 12 in Italia

Sono anni però che il regime di Pechino cerca di rifarsi il look per rendersi accattivante ed attraente agli occhi dell’occidentale.

Cresce il soft power cinese. I principali Istituti Confucio italianiFondamentali in questa opera di esportazione del «chinese way of life» sono sicuramente gli Istituti Confucio l’equivalente dei nostri Dante Alighieri. Attualmente nel mondo ce ne sono oltre 540, un terzo dei quali solo in Europa e ben 12 nel nostro paese e non vi è una grande città, da Roma a Milano passando per Napoli e Bologna, che ne sia sprovvista.

Ufficialmente questi, nati nel 2004, sono una diretta emanazione dell’Ufficio «Hanban» del ministero dell’Istruzione cinese per la diffusione della lingua e della cultura cinese insieme a strategie culturali, sociali e persino diplomatiche. Rappresentano inoltre una piattaforma di scambi culturali con Università, Centri di Ricerca e Istituzioni Accademiche cinesi operando spesso al fianco delle università che offrono corsi di laurea in lingue e culture orientali.

Ovviamente però la loro crescita suscita più di un timore in Occidente. Negli Usa gli esponenti repubblicani hanno più volte sostenuto che queste scuole al di là delle operazione culturali cui sono preposti, fungerebbero da organo avanzato di propaganda del Partito comunista cinese con il fine, nemmeno troppo nascosto, di «modificare l’immagine di Pechino agli occhi del mondo» edulcorando la visione che diversi paesi del mondo hanno del regime cinese e nel contempo quello di porre dei veti più o meno palesi nei confronti di iniziative culturali sgradite alla classe dirigente cinese anche se effettuate dall’altra parte del mondo.

Le tre T invise a Pechino

Le tre T invise a Pechino: la questione di Taiwan, l'occupazione del Tibet e il ricordo di TienanmenIn particolare, sostengono i detrattori, scopo principale di questi istituti sarebbe quello di controllare il pensiero e la propaganda sulle tre T invise a Pechino: Taiwan, Tibet e Tienanmen, tre aspetti su cui i punti di vista tra Occidente ed Oriente sono diametralmente opposti e rappresentano tre fronti aperti a livello politico e diplomatico che il governo cinese cerca in tutti i modi di nascondere con la polvere sotto il tappeto e che invece l’occidente utilizza per fare pressioni a livello diplomatico.

Sospetti e accuse che sembrano aver trovato conferma alla fine dello scorso anno quando il direttore dell’Istituto Confucio dell’Università libera di Bruxelles, Xinning Song, è stato sostituito perché accusato di spionaggio e che avrebbe approfittato del proprio ruolo per promuovere la visione del mondo cinese sfruttando l’influenza dell’Istituto per indirizzare la ricerca dell’università belga su territori non sfavorevoli al governo cinese.

Avrebbe inoltre reclutato studenti cinesi in visita in Europa per raccogliere informazioni e – di fatto – fare attività d’intelligence per conto di Pechino.

Spionaggio o meno, fatto sta che oggi il cinese è la terza lingua più studiata al mondo e che, essendo parlata solo in Cina a differenza di inglese e spagnolo parlati in diversi paesi, i testi in lingua mandarina, giornali in primis, arrivino principalmente da Pechino con il governo che ne controlla il contenuto. È evidente quindi che le idee che si faranno gli studenti saranno principalmente quelle volute dal regime comunista.

I successi sportivi e le limitazioni della lingua

Il soft power cinese cresce. Imbattibili da anni le tuffatrici del colosso asiaticoAltro veicolo utile alla crescita del soft power cinese, che segue lo schema già utilizzato da Usa e Urss durante la Guerra fredda, è quello dei successi sportivi. A partire dalle Olimpiadi del 2000 gli atleti cinesi hanno infatti iniziato a fare incetta di medaglie, 59 a Sidney 63 ad Atene 100 in casa (e primo posto nel medagliere per gli ori conquistati), 88 a Londra e 70 a Rio ed il tutto solo per mostrare al mondo quanto fossero efficaci i metodi di allenamento cinesi, oltre ad un misterioso brodo di tartaruga di cui si parlò nel 2000 per spiegare le tante vittorie nel nuoto.

L’unico campo in cui la Cina non riesce a seguire le orme degli States è quello artistico. Se la musica del nuovo mondo ed i film, obbligatoriamente a lieto fine, made in Hollywood hanno fatto crescere generazioni di europei ora Pechino non riesce a fare altrettanto per vari motivi. In primis la lingua.

Gli Usa potevano contare su un idioma già reso internazionale dall’impero coloniale britannico ed anche i film rispecchiavano uno stile di vita tutto sommato occidentale con il classico canovaccio narrativo del buono che alla fine vince sul cattivo, il nazista nei film ambientati durante la II Guerra mondiale, il sovietico o il russo nei film di spionaggio.

La Cina ha provato ad utilizzare la settima arte per esportare la propria cultura ma al di là di pochi riusciti film, su tutti la Tigre e il dragone, i film made in Pechino rimangono confinati all’interno del mercato interno, al massimo di quello asiatico.

Poiché però le potenzialità del cinema e della televisione sono ben conosciute queste vengono utilizzate all’interno per gestire e modellare l’opinione pubblica.

Un esempio su tutti: nel 2007 è andata in onda una serie intitolata La strada del rinnovamento (Fuxingzhilu), una docu-fiction sulla storia della Cina moderna a partire dal 1840, ovvero ai tempi della I Guerra dell’oppio, in cui venivano descritte le sofferenze e le umiliazioni subite a opera delle potenze occidentali e del Giappone per poi descrivere tutti i grandi traguardi raggiunti grazie all’opera svolta durante gli ultimi 70 anni di storia patria.

Un modo come un altro per rilanciare il soft power interno e bloccare i possibili influssi di quello occidentale che tramite internet ed i viaggi all’estero può corrompere le menti dei cinesi.

Fabrizio Di Ernesto

 

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