CHIESA E ARTE CONTEMPORANEA

Ricostruire un’alleanza
con gli artisti

Un’analisi dei difficili rapporti tra la Chiesa e arte. Nella foto il quadro donato a Papa Francesco da Luigi Caflisch

 

Nella sua omelia alla «Messa degli Artisti», al termine del suo primo anno di pontificato (1964), Paolo VI, riallacciando un rapporto che la modernità sembrava avere interrotto, si rivolse agli artisti intervenuti affermando: «Noi abbiamo bisogno di voi», con la motivazione che il ministero della Chiesa è di rendere «accessibile e comprensibile, anzi commovente il mondo dell’invisibile».

Se la Chiesa dovesse mancare dell’aiuto dell’arte, aggiunse, il suo ministero «balbettante ed incerto e avrebbe bisogno di fare lo sforzo di diventare esso stesso artistico […]. Per assurgere alla forza della espressione lirica della bellezza intuitiva, avrebbe bisogno di far coincidere il sacerdozio con l’arte».

Queste affermazioni in bocca ad un pontefice sono molto forti perché sottolineano che il cammino dell’arte e quello religioso conducono entrambi al mondo dell’ineffabile.

La rottura del dialogo tra Chiesa e arte

Paolo VI andava oltre, fino a chiedere perdono, attribuendo la responsabilità della rottura del dialogo tra Chiesa e mondo dell’arte alla stessa Chiesa, quando ha voluto imporre come canone «l’imitazione» e ha fatto ricorso «alla oleografia, all’opera d’arte di pochi pregi e di poca spesa […], dove e l’arte e la bellezza – e ciò che è peggio per noi – il culto di Dio sono stati male serviti». E concludeva: «Noi dobbiamo ritornare alleati, la Chiesa cattolica aspetta da voi la controriforma», perché «il mondo nel quale viviamo ha bisogno di bellezza per non sprofondare nella disperazione».

Il papa sembra sfiduciato del mondo ecclesiastico e consegna ogni sua speranza di ripresa del dialogo all’iniziativa degli artisti.

Egli riconferma con forte determinazione questa sua visione, questa sua convinzione e questo impegno della Chiesa, alla fine dell’anno successivo, nel messaggio di chiusura del Concilio Vaticano II.

Il valore della creatività dell’artista

Chiesa e Arte. Luigi Caflisch, Crocifisso umanoPaolo VI muore nel 1978. Bisognerà aspettare il 1999 perché il suo successore, Giovanni Paolo II, riprenda il discorso. Nel giorno di Pasqua di quell’anno, in una lettera inviata agli artisti, egli ripete quanto affermato da Paolo VI, che la Chiesa ha bisogno dell’arte (perché «la bellezza è cifra del mistero e richiamo del trascendente».

Espressione che utilizzerà più tardi anche Benedetto XVI), e si chiede se anche gli artisti hanno bisogno della Chiesa, non soltanto come committente e/o mecenate, ma come fonte di ispirazione, in un contesto in cui il sacro può venire considerato come alla radice della bellezza.

Più recentemente papa Francesco, nel suo discorso agli artisti partecipanti all’incontro promosso in occasione del cinquantesimo anniversario dell’inaugurazione della collezione d’arte moderna dei Musei Vaticani, parla di un rapporto di amicizia tra la Chiesa e gli artisti, perché «l’artista prende sul serio la profondità inesauribile dell’esistenza, della vita e del mondo». Egli ricorda a tutti che la dimensione in cui ci muoviamo è quella dello Spirito. «La creatività dell’artista — aggiunge — partecipa della passione generativa di Dio».

Un senso diffuso di disorientamento

Noi pensiamo che, dal momento in cui l’arte ha messo in discussione o ha addirittura abbandonato il concetto di «mimesi» (l’imitazione di cui parlava Paolo VI), la Chiesa, come peraltro gran parte delle persone che la frequentano, sia stata colta da un senso di diffuso disorientamento e si sia aggrappata al passato.

Il clero si è trovato culturalmente impreparato ad affrontare tale crisi e, quindi incapace di aprire un dialogo su questo terreno, da una parte, con gli artisti e, dall’altra, con i fedeli.

È stato facile abbandonarsi ad una forma di pigrizia intellettuale rivestita non di rado di insofferente supponenza che consigliava di rifugiarsi nostalgicamente nel passato, disertando le vie dell’innovazione indicate dalla modernità e dall’insegnamento conciliare e pontificio.

In alcuni casi, di cui siamo stati testimoni, abbiamo potuto assistere a interventi da parte del clero rivolti a stravolgere coraggiose e significative opere d’arte architettoniche, di grande interesse anche sotto il profilo delle soluzioni liturgiche con deprimenti interventi Kitsch che mostravano una palese incapacità di capire e di affrontare il presente, mortificando il genio degli artisti e diseducando il popolo dei fedeli.

I limiti e le difficoltà della pittura sacra

Particolarmente mortificante è quanto sta succedendo con la pittura. Un esempio: spesso, nell’arredo liturgico, si è fatto e si continua a fare ricorso alla iconografia neo-bizantina, che ha conosciuto un vastissimo successo, a giudicare dalla quantità di icone che tappezzano le pareti delle nostre nuove (e talvolta anche antiche) chiese, che manifestano l’intenzione – divenuta una tendenza – di mettere in dialogo la spiritualità occidentale con la spiritualità orientale. O più semplicemente perché ritenute «belle».

Si tratta di una tendenza che solleva notevoli perplessità. Le principali sono due. Innanzitutto non si comprende come l’immagine sacra, per farsi attuale e contemporanea debba ricorrere a un linguaggio lontano nel tempo e nello spazio che ripropone caratteristiche formali come la ieraticità, abbandonata nella cultura occidentale fin dai tempi di Giotto.

Se l’icona non è una vera icona

In secondo luogo, le icone che addobbano le nostre chiese non sono dissimili da quelle che troviamo in vendita in tutte le botteghe di souvenir religiosi che sorgono ovunque nei pressi di basiliche e santuari.

Queste icone non sono vere icone. Sono manufatti fatti in serie che farebbero infuriare il grande Pavel Florenskij.

Secondo Florenskij, nell’icona si fa visibile l’invisibile, si fa manifesta la superiore realtà del mondo spirituale. Le vere icone sono opere di «santi» che ci offrono l’immagine delle loro visioni.

Nell’icona che dipingono essi non sono testimoni di sé, ma di Dio. Così l’icona si deve sempre riconoscere come un fatto di natura divina. È la reminiscenza di un archetipo celeste. Se non è così, l’icona diventa un atto blasfemo. Ebbene, le icone delle nostre chiese non appaiono collegate ad alcuna esperienza religiosa. Sono quasi sempre copie di copie. Sono immagini di niente.

Di recente, questo insieme di problemi che caratterizzano i rapporti tra la Chiesa e l’arte/gli artisti, nella specifica realtà italiana e romana, sono stati riproposti dal pittore Luigi Caflisch, ma la sua iniziativa è arenata per ora nel disinteresse o addirittura nel rifiuto da parte del clero. Esiti diversi e in gran parte positivi hanno registrato alcune iniziative nell’Italia Settentrionale (Lombardia, Veneto, Emilia), oltre che all’estero (Germania, Francia).

I soggetti sacri di Luigi Caflisch

Chiesa e Arte. Chiesa e Arte. Luigi Caflisch, La trasfigurazione (Roma, Chiesa di San Bonaventura)Nell’opera recente di Luigi Caflisch i soggetti sacri sono frequenti. Molti di essi si ispirano alla narrazione evangelica. L’intenzione dichiarata dell’artista è che queste opere trovino collocazione in un luogo destinato al culto, perché in questa prospettiva sono concepite.

Questa sua aspirazione finora non è stata recepita, con l’eccezione di una non recente mostra presso la parrocchia romana di San Bonaventura.

In questa occasione le opere vennero disposte non secondo i tradizionali criteri espositivi adottati nelle mostre, ma in funzione delle celebrazioni liturgiche. E questa è una grande novità, accolta forse con una curiosità venata di perplessità, da attribuire all’assenza di una preparazione preventiva e soprattutto a problemi di lettura da parte di persone prive di strumenti interpretativi e di una sensibilità educata.

La pittura di Caflisch è figurativa, ma esce dagli steccati della rappresentazione tradizionale per impegnare chi ne viene a contatto in una disponibilità interiore a coglierne il messaggio, a lasciarsi coinvolgere emotivamente, ad accogliere l’invito alla contemplazione e al godimento che l’arte vera sempre riesce a donare.

Chi si mette di fronte a un dipinto di Caflisch è chiamato a decrittarne i significati che lo stile di una pittura d’impulso svela e nasconde. I fedeli, per poter intraprendere questi percorsi bisogna che vengano educati a cogliere per via di sentimento gli stimoli che l’opera offre, a unirsi all’artista nella ricerca dell’ineffabile, indicibile in altro modo.

Ciò richiede loro di vincere la pigrizia che li tiene ancora adagiati su un più comodo passato, che però non ha più alcun legame con la cultura che vive oltre le mura delle chiese. Cosciente di questa situazione, papa Francesco chiede agli artisti di aiutare il clero a «intravedere la luce e la bellezza che salva». Nella «vera bellezza — sottolinea il papa — si comincia a provare la nostalgia di Dio».

In questo quadro, significativa è la calda accoglienza con cui Francesco ha accolto l’opera — una rivisitazione carica di introspezione e di espressività emotiva di uno degli angeli della passione di Bernini — donatagli da Luigi Caflisch.

Una nuova alleanza con gli artisti

Chiesa e Arte. Luigi Caflisch, Angelo della PaceQuesti processi richiedono un diverso atteggiamento anche da parte del clero che, come disse Paolo VI, si deve sentire chiamato a «firmare un grande atto di nuova alleanza» con gli artisti, il porti alla rinascita dell’arte religiosa, come auspicano da oltre cinquant’anni la Costituzione della sacra Liturgia, che il Concilio Vaticano II ha promulgato per prima, e la successiva Gaudium et Spes.

Questo dialogo – ha aggiunto Giovanni Paolo II – non deve essere dettato da circostanze storiche o da motivi funzionali, ma radicato nell’essenza stessa sia dell’esperienza religiosa che della creazione artistica, che chiama in causa in modo particolare la Chiesa nella molteplicità delle espressioni in cui prende forma il suo ministero.

E Francesco, con espressioni di inconsueta intimità, alla fine confessa: «Vi sento alleati per tante cose che mi stanno a cuore, come la difesa della vita umana, la giustizia sociale, la cura della casa comune, il sentirci tutti fratelli» e soprattutto la pace, perché l’arte «non addormenta le coscienze. Le tiene sveglie. […] Siete alleati del sogno di Dio!».

Mario Bertin

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