Rischiamo grosso: desertificazione, siccità ma anche alluvioni, inondazioni e molte coste sott’acqua, interi arcipelaghi tropicali sommersi per sempre. Carestie, epidemie e conseguenti migrazioni di massa. Non si tratta della trama di un film dell’orrore: è lo scenario reale di un prossimo futuro che non vorremmo mai vedere ma che invece, se non corriamo subito ai ripari, sarà la realtà nei prossimi anni a venire.
Questo è l’allarme lanciato dall’Onu. Se non ci muoviamo da subito la temperatura salirà di oltre 1,5 gradi e, quello che abbiamo sin qui visto, rappresenta un antipasto di un pranzo veramente indigesto, anzi mortale. Il rapporto delle Nazioni Unite appena pubblicato è chiaro: se tutti i paesi del pianeta non prenderanno seri provvedimenti per limitare i gas serra, il riscaldamento globale potrebbe superare la fatidica soglia di 1,5 gradi, ossia l’obiettivo, considerato a torto, ambizioso dell’Accordo di Parigi. Questo fra solo 12 anni. Già, si tratta del vicinissimo 2030.
Ecco l’apocalisse descritta molto chiaramente dal rapporto dell’Onu-Ipcc «Riscaldamento globale a 1,5 gradi». Frutto dello studio sui dati confluiti assieme ai delegati nella cittadina sud coreana di Incheon. Il rapporto ci ricorda che «Le attività umane abbiano causato approssimativamente 1 grado di riscaldamento globale dai livelli pre-industriali, con una variazione probabile da 0,8 gradi a 1,2 gradi». E che «Il riscaldamento globale è probabile che raggiunga 1,5 gradi fra il 2030 e il 2052, se continua ad aumentare al tasso corrente». E questo porterebbe ai citati cataclismi, senza possibilità di correzione, avendo innescato un cambiamento climatico unidirezionale, ossia non correggibile.
Il Gruppo Intergovernativo sul Cambiamento Climatico dell’Onu (Ipcc), afferma nel rapporto che «se si cominciasse da subito a ridurre drasticamente le emissioni e ad assorbire la Co2 esistente nell’atmosfera, si potrebbe raggiungere l’obiettivo di mantenere il cambiamento globale entro 1,5 gradi, poiché le emissioni del passato da sole non provocherebbero il superamento di questa soglia».
Quindi è vitale ed urgentissimo accelerare la decarbonizzazione. Ma come: a partire dai trasporti. L’Italia è storicamente indietro, siamo il fanalino di coda del mondo industrializzato in questo campo. Nessun produttore italiano di automezzi ha ancora commercializzato auto o camion ibridi o elettrici, si parla del 2020 per il lancio di una Jeep ibrida a marchio Fca. Come si potrebbe eliminare il divario con Giappone, Germania, Francia e Stati Uniti? Sicuramente non incentivando l’acquisto di auto ma sovvenzionando la ricerca e lo sviluppo per nuovi motori non termici al alte prestazioni e nuove batterie più performanti. Il futuro della mobilità è sicuramente elettrico quindi a «zero emissioni».
Se si considera che il 40% del gas serra proviene dal ciclo produttivo della carne, urge la riconversione degli allevamenti. È oramai risaputo che fare gli allevatori oramai non è più remunerativo. Sono costretti, per restare sul mercato, a vendere i propri capi, sempre più spesso, a prezzi molto vicini al costo di produzione. L’allevatore di oggi era il contadino di ieri. Hanno attrezzatura e know-how per tornare a coltivare la terra per venderne i frutti. Una formazione adeguata, da parte delle associazioni di categoria, farebbe comprendere che con i giusti prodotti si tornerebbe a guadagnare salvando il pianeta. L’Europa potrebbe aiutare in questa fase smettendo la sovvenzione alle colture oleose (utilizzate per il cosiddetto biodiesel) e, ad anni alterni, per la dismissione o la nuova piantumazione della vite da vino e facendo invece convergere i fondi sulla premialità alla riconversione virtuosa anti gas serra.
La dismissione di centrali elettriche a carbone, la modernizzazione dei cicli di produzione delle industrie carbonivore come quelle dell’acciaio. La realizzazione di certificazioni di sostenibilità delle filiere produttive per tutti i prodotti ma, in primis, per quelli provenienti da Cina ed India dove l’attenzione alle emissioni è ancora scarsa. Lì si che sarebbe opportuna l’istituzione di pesanti dazi che sarebbero di sprone anche per i produttori orientali.
C’è poi da considerare l’eliminazione delle caldaie civili ed industriali, a partire dalle più inquinanti come quelle ad olio combustibile e quelle a gasolio. La co-generazione come via alla riduzione da subito lo spreco di combustibili fossili. Infatti generiamo calore per le nostre case ma le nostre abitazioni disperdono, dissipandolo, calore d’inverno da una parte e richiedono, dall’altra, raffrescamento in estate. E poi l’ipotesi di una carbon tax così da rendere conveniente ristrutturare coibentando gli edifici potrebbe essere una soluzione valida. Metterebbe in moto anche l’economia delle costruzioni che è in forte crisi da anni spostando in su anche qualche punto di Pil.
Ripensare ai sistemi di produzione, imballaggio e distribuzione delle merci. Eliminare tutti gli imballi e gli incarti usa e getta. Promuovere il riuso dei contenitori. La promozione della cosiddetta economia circolare di recupero e riuso per prodotti e materie prime. Insomma tanto si può fare da subito. Senza perdere altro tempo prezioso. Anche come singoli, avendo comportamenti virtuosi. Ma la vera differenza si ottiene attraverso politiche comuni. Abbiamo bisogno di governanti competenti e sensibili pronti a compiere anche scelte impopolari per il bene comune invece di rincorrere «la pancia» del popolo per qualche voto. Solo così salviamo il pianeta, solo così salviamo le nostre vite e solo così garantiamo un futuro ai nostri figli.
Lino Rialti