AUSTRALIA

L’alba color ambra
del mio sbarco a Sidney

 

Imbarcandomi sull’aereo a Fiumicino sapevo che all’arrivo non avrei trovato la solita Australia, ma non avevo idea di cosa mi attendeva in realtà. Scendendo dal Boeing 747 non ho trovato il solito cielo altissimo ed azzurrissimo al quale ero abituato. Una alba color ambra, una nebbiolina pestilenziale, un odore di fumo acre, questo il benvenuto di Sydney.

Ma il peggio doveva ancora arrivare. Un reporter di guerra: questo il grado della tragedia alla quale assisto, dalla quale sono circondato. Infatti I pompieri qui vengono chiamati «fire fighters», veri combattenti del fuoco. Eroi ai quali, troppo spesso, viene chiesto l’estremo sacrificio. Per la maggior parte corpi volontari, come spesso avviene nel mondo anglosassone.

Come in guerra, strade sbarrate, impossibilità di raggiungere intere contee. Il fuoco, visibile da chilometri, soprattutto di notte, alto anche quaranta metri, sembra inarrestabile. La siccità che dura da oltre quattro anni, ha reso tutto così secco e facile da bruciare. È già bruciato un territorio grande quanto l’Austria uccidendo oltre un miliardo di animali.

Insomma una catastrofe, una ecatombe, un disastro di dimensioni bibliche. Ancora in crescendo, il fuoco avanza nella sua macabra danza, ondeggia con le sue fiamme sinuose ed avvolgenti in un abbraccio mortale.

Tutto sarebbe partito da alcuni «dry thunder» fulmini senza precipitazioni che avrebbero innescato i primi focolai sparsi tra i bellissimi boschi e le inesplorate foreste dello stato del Nuovo Galles del Sud. Certo, come si sa, la mamma degli imbecilli è sempre gravida, infatti sono stati arrestati nel corso di queste ultime due settimane, 183 soggetti, 40 minorenni, per aver innescato volontariamente o per leggerezza, alcuni incendi. Rischiano fino a ventun anni di galera. Qui la legge non è buonista. Se vieni condannato vai in galera e paghi per le tue colpe.

Insomma, una esperienza, la mia, che cambia l’approccio alla vita. Il fumo, che raschia la gola, è un buon promemoria. L’oceano Pacifico è, tutto attorno, saturo di cenere. La fuliggine si deposita, appiccicosa, su ogni cosa, anche nell’acqua dei rubinetti. Dobbiamo tutti fare qualcosa, da subito, per egoismo, per sopravvivenza. Per salvare la nostra vita, non quella del pianeta.

La terra non è una madre, come spesso la si descrive, ma una matrigna. Se l’avessimo trattata bene ci avrebbe ripagato con amore, avendola bistrattata, violentata, tentata di piegare ai nostri desideri, si è risentita. Ce la fa pagare. Forse siamo ancora in tempo per farci perdonare. Dobbiamo assolutamente provarci. Ne va del nostro futuro, e, soprattutto, di quello di tutte quelle generazioni che non hanno colpe.

Cambiare stili di vita. Abbandonare i combustibili fossili. Cambiare modelli economici. È necessario da subito.

Qui, in Australia, ho potuto vedere cosa può succedere, ho toccato con mano, ho inspirato ed espirato l’aria di guerra. Una guerra senza bombe ma con morti e feriti e devastazioni inimmaginabili per chi ha perso tutto tra le fiamme ma ha avuto salva la vita per errore.

Dobbiamo, ognuno, trovare il coraggio di cambiare. Il pianeta non ce la fa più a reggere le leggi economiche dello sfruttamento delle risorse non rinnovabili. Un nuovo Piano Marshall per il pianeta urge.

Lo dobbiamo egoisticamente a noi stessi. Il pianeta sopravvivrà comunque e ricomincerebbe da zero proprio come dopo l’estinzione dei dinosauri. Altre forme di vita verrebbero generate.

Questo film dell’orrore, del quale ho potuto vedere qui il trailer, l’anteprima, non deve uscire nelle sale della vita. Dobbiamo fermarne la produzione convincendo i registi, i politici e gli attori, noi stessi, di cambiare copione.

Lino Rialti
Sydney (Nuovo Galles del Sud)

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